RILEVATO CHE:
Con gli avvisi di accertamento nn. (Omissis), notificati rispettivamente alle signore Da.Ze., Io., Ma. e Ro.An. (d’ora in poi, anche “le contribuenti” o “le odierne controricorrenti”), l’Agenzia delle Entrate recuperò a tassazione ai fini Irpef il corrispettivo di Euro 62.500 percepito pro capite dalle contribuenti nel periodo d’imposta 2011, a seguito della stipula dell’atto in data 18/10/2010, avente per oggetto la costituzione del diritto di superficie su terreni agricoli di proprietà a favore della società “SF – Adriatica Srl”, per la realizzazione di impianti fotovoltaici.
Ai fini della tassazione, l’Ufficio inquadrava tale compenso, in base a quanto precisato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36 del 19/12/2013, nella fattispecie di cui all’art. 67, comma 1, lett. 1) del D.P.R. n. 917/1986 (Tuir), quale reddito diverso derivante dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, atteso che la proprietà dei terreni agricoli era stata acquisita a titolo originario. Le contribuenti impugnarono gli avvisi di accertamento dinanzi alla C.T.P. di L’Aquila.
La C.T.P., previa riunione dei ricorsi, li accolse.
La C.T.R., su appello dell’Ufficio, confermò la sentenza di primo grado. Contro la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resistono le contribuenti con controricorso.
Esse hanno anche depositato una memoria difensiva in vista dell’adunanza.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. – Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e 132 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza d’appello per carenza di motivazione.
Il giudice d’appello avrebbe ignorato le censure mosse dall’Ufficio in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. In particolare, la C.T.R., dopo aver rilevato che nel caso di specie vi era stata una tassazione del 18% sulla cessione di un diritto, ha rilevato una duplicazione nella imposizione, accogliendo acriticamente le tesi delle contribuenti.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 163 del D.P.R. n. 917 del 1986, 67 del D.P.R. n. 600 del 1973, 67, comma 1, lett. l) del D.P.R. n. 917 del 1986, 1 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.“, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza impugnata perché avrebbe confuso la tassazione dovuta per la registrazione dell’atto pubblico in relazione alla costituzione del diritto di superficie con quella del corrispettivo ricevuto a fronte della costituzione del diritto di superficie.
Secondo l’Agenzia ricorrente, la costituzione del diritto di superficie produce effetti economici assimilabili a quelli derivanti da qualsiasi altra concessione di un diritto personale di godimento su un determinato bene.
Secondo l’Agenzia, la cessione di beni immobili acquistati a titolo originario non può essere ricondotta tra le ipotesi contemplate dall’attuale art. 67, comma 1, lett. b) del Tuir, sicché con la circolare n. 36/E del 2013 è stato ribadito che i compensi percepiti dal titolare del fondo a seguito della costituzione del diritto di superficie acquisito a titolo originario devono essere ricondotti alla diversa fattispecie recata dall’art. 67, comma 1, lett. l) del Tuir, cioè tra i redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
3. I due motivi di ricorso possono essere esaminati e decisi congiuntamente.
Essi sono infondati, sebbene debba procedersi a correggere in diritto la motivazione della sentenza impugnata.
Infatti, la ripresa a tassazione dell’Agenzia non è infondata perché in violazione del divieto di doppia imposizione.
Un conto, infatti, è l’assoggettamento di un contratto di costituzione di un diritto di superficie all’imposta di registro, che rientra nell’ambito delle imposte indirette; un altro conto è l’assoggettamento ad imposta, quali redditi diversi, dei compensi derivanti dalla costituzione su di un immobile del diritto di superficie, che rientra nell’ambito delle imposte dirette.
In realtà, i compensi percepiti a fronte della costituzione su un immobile di un diritto di superficie a favore di terzi non rientrano nella fattispecie impositiva di cui all’art. 67, comma 1, lett. l) del Tuir.
Il Collegio intende dare continuità all’orientamento secondo il quale “in materia di imposta sui redditi, la plusvalenza derivante da cessione del diritto di superficie dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dall’acquisto dell’immobile non è soggetta a tassazione come “reddito diverso” ex art. 81 (ora 67), comma 1, lett. b) o l), del D.P.R. n. 917 del 1986, qualora abbia ad oggetto un terreno agricolo, atteso che, da un lato, la lett. b) è applicabile solo alle aree fabbricabili e, dall’altro, la generale equiparazione del trasferimento di un diritto reale di godimento al trasferimento del diritto di proprietà, prevista dall’art. 9, comma 5, dello stesso decreto, non consente di ricondurre l’obbligo di concedere a terzi l’utilizzo di un terreno agli obblighi “di permettere”, di cui alla lett. l), che si riferiscono a diritti personali piuttosto che a diritti reali, senza che rilevi la durata determinata e non permanente del diritto di superficie, atteso che dalla fissazione di un termine, consentita dall’art. 953 c.c., non deriva il mutamento della natura reale di tale situazione soggettiva” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 2238 del 02/02/2021; cfr. anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15333 del 04/07/2014).
Ne consegue il rigetto del ricorso con la condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese del giudizio secondo il principio della soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore di Da.Ze., Io., Ma. e Ro.An., delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro settemilaseicento per onorari, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge, ed oltre ad Euro duecento per spese vive, col vincolo di solidarietà attiva.
Ai sensi dell‘art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.
