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Cassazione civile sez. trib., 22/04/2024, n. 10736

Massima

La mancata impugnazione di un atto di riscossione (quale un’intimazione di pagamento) notificato successivamente alla cartella rende il credito tributario irretrattabile anche riguardo a eventuali vizi degli atti presupposti, ma non trasforma né modifica il termine di prescrizione applicabile.

Supporto alla lettura

RISCOSSIONE COATTIVA

E’ procedimento attraverso il quale un ente pubblico (es. l’Agenzia delle Entrate) può agire per recuperare i crediti nei confronti di un contribuente che non ha ottemperato agli obblighi fiscali di varia natura, come il pagamento di imposte, tasse o multe.

La procedura di riscossione coattiva può includere una serie di azioni legali: la notifica di avvisi di pagamento, l’iscrizione a ruolo di cartelle esattoriali, l’iscrizione di ipoteche sulle proprietà del debitore, la procedura di vendita forzata dei beni pignorati, fino ad arrivare alla possibile azione di espropriazione dei beni del debitore.

La riscossione avviene attraverso un procedimento amministrativo, ed è per questo che segue una serie di passaggi stabiliti dalla legge. I principali sono:

– la notifica dell’avviso di pagamento: il creditore notifica al debitore l’avviso di pagamento, richiedendo il pagamento del debito entro un termine stabilito;

– l’iscrizione a ruolo della cartella di pagamento: se il debitore non paga entro il termine stabilito, il creditore iscrive a ruolo sia la cartella di pagamento che la notifica al debitore;

– la notifica della cartella di pagamento: il debitore riceve la notifica della cartella di pagamento, dove è riportato l’importo totale del debito non saldato e le relative sanzioni;

– il pignoramento: se il debitore non paga entro il termine stabilito nella cartella di pagamento, il creditore può procedere al pignoramento dei beni del debitore;

– la vendita all’asta dei beni pignorati: il creditore può procedere con la vendita all’asta dei beni pignorati per recuperare il debito;

– l’espropriazione: in casi estremi, il creditore può procedere con l’espropriazione forzata dei beni dei debitori.

Sono previsti alcuni limiti alla riscossione coattiva, per esempio quando il debito è prescritto, in caso di beni non pignorabili, se ci sono limiti alle rate, in caso di protezione dei consumatori, in caso di restrizioni alla riscossione internazionale.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

RILEVATO CHE:

1. oggetto del residuo contendere sono le pretese di due cartelle di pagamento concernenti l’Iva relativa all’anno 1994, nonché l’Irpef e contributo sanitario nazionale sempre del medesimo anno di imposta (1994), richiamate dall’ingiunzione di pagamento impugnata dalla contribuente;

2. la Commissione tributaria regionale della Toscana – per quanto ora occupa in relazione ai motivi di impugnazione – rigettava l’appello proposto dall’agenzia della riscossione con riferimento alle predette due cartelle di pagamento (dichiarando, per il resto, cessata la materia del contendere ai sensi dell’art. 4 D.L. 23 ottobre 2018, n. 119), assumendo che:

– non era stato dimostrato dall’agenzia il perfezionamento della procedura di notifica delle cartelle di pagamento;

– gli atti interruttivi della prescrizione non hanno rilevanza qualora risulti viziato in modo assoluto l’atto prodromico;

– in ogni caso, tra il pignoramento notificato nel 2006, l’intimazione notificata nel 2010 e l’atto impugnato notificato nel 2016, era decorso il termine di prescrizione (breve) dei crediti di cui alle citate cartelle, non assumendo valenza di effetto interruttivo i versamenti eseguiti dal terzo pignorato, trattandosi di pagamenti non spontanei e, come tali, non riconducibili alla previsione dell’art. 2944 cod. civ.;

– gli interessi e le sanzioni erano sottoposti alla prescrizione quinquennale;

3. l’Agenzia delle Entrate – Riscossione proponeva ricorso per cassazione avverso detta pronuncia con atto notificato alle suindicate controparti il 30 luglio 2019, formulando cinque motivi di impugnazione;

4. (omissis) resisteva con controricorso notificato il 23 settembre 2019, chiedendo il rigetto del ricorso, depositando in data 6 novembre 2023 memoria ex art. 380-bis.1, cod. proc. civ.;

5. l’Agenzia delle Entrate è restata intimata;

 

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia della riscossione ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 3, e 21, comma 1, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ponendo in evidenza che successivamente alle cartelle di pagamento sopraindicate erano state notificate alla contribuente un pignoramento presso terzi nell’anno 2006 ed un’intimazione di pagamento nell’anno 2010, per cui, anche a voler ammettere che le cartelle oggetto di giudizio, non fossero state validamente notificate, la previsione dell’art. 19, comma 3, del citato D.Lgs. (secondo cui “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente all’atto notificato ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”) avrebbe imposto alla contribuente di impugnare il citato pignoramento e l’intimazione di pagamento, alla luce del principio in base al quale l’omessa notifica di un atto presupposto non può che essere fatta valere mediante l’impugnazione dell’atto successivo nel termine di scadenza previsto per tale ultima impugnazione;

2. con la seconda doglianza, l’istante ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 138, secondo comma, cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 26, quarto e quinto comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e con l’art. 60, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, reputando erronea la valutazione della Commissione regionale nella parte in cui aveva ritenuto che la documentazione prodotta in giudizio non fosse sufficiente a dimostrare la regolare notifica di una delle due cartelle di pagamento, contrassegnata con il n. (Omissis), in quanto, come evidenziato nell’atto di appello, poiché la notifica era stata rifiutata senza motivo dalla contribuente/destinataria, come attestato dall’avviso di ricevimento, non occorreva alcun invio, né tantomeno la produzione in giudizio della raccomandata informativa, poiché l’art. 138 cod. proc. civ., richiamato dall’art. 26 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e dall’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede che, in caso di rifiuto del destinatario a ricevere l’atto, la notificazione si considera fatta a mani proprie;

3. con la terza censura, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha, ancora una volta con riferimento all’art. 360, primo comma, num.3, cod. proc. civ., denunciato la violazione del combinato disposto degli artt. 2946, 2948, primo comma, num.4) e 2953 cod. civ., in una con l’art. 2643, quarto comma, cod. civ., contestando la valutazione del Giudice regionale in ordine alla prescrizione dei crediti, assumendo che i crediti di natura tributaria si prescrivono nel periodo di dieci anni e che anche il credito relativo alle sanzioni si prescrive nell’analogo termine decennale previsto per la prestazione principale alla stregua del principio di unitarietà della complessiva pretesa creditoria;

4. con il quarto motivo di ricorso l’istante ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 6, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, come modificato dall’art. 1, comma 683, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, “ovvero” (v. pagina n. 21 del ricorso) dell’art. 20, comma 5, del medesimo decreto (secondo il testo previgente la predetta modifica), in uno con il combinato disposto degli artt. 77 d.P.R. 19 settembre 1973, n. 602 e 2943, quarto comma, cod. civ., sostenendo che, anche per i crediti relativi agli interessi, opera il termine prescrizionale lungo di dieci anni;

5. con la quinta ragione di impugnazione, l’istante ha lamentato, con riguardo all’art. 360, primo comma, num.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 cod. civ., assumendo che i pagamenti parziali del debito, benché eseguiti dal terzo debitor debitoris, per effetto del pignoramento presso terzi avviato dall’agente della riscossione, dovevano considerarsi come atti interruttivi della prescrizione, in quanto riconducibili ad un riconoscimento del debito, non rilevando che detti pagamenti fossero stati eseguiti dal terzo, ma contando la circostanza che la loro esecuzione era avvenuta senza l’opposizione della contribuente e quindi con la sua acquiescenza;

6. Il ricorso va parzialmente accolto nei termini che seguono, subito avvertendo che non può ricevere seguito il rilievo della carenza di interesse dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione a proseguire il giudizio in ragione della circostanza secondo cui la cartella n. (Omissis) “sarebbe stata quasi integralmente sgravata – se si guarda la colonna “sgravato”” (vedi doc. 1 prodotto con detta memoria), “mentre l’unica cartella rimasta in vita, per la quasi sua totalità ad oggi sarebbe la n. (Omissis) (doc. 2) sebbene detta cartella portasse un carico irrisorio ed ingiungesse a titolo di interessi ab origine un importo addirittura superiore al carico stesso (v. pagina 1 della memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ.);

6.1. la medesima contribuente, infatti, prospetta lo sgravio in termini eventuali (la cartella n. (Omissis) “sarebbe stata quasi integralmente sgravata”) e la verifica della “situazione debitoria” prodotta dalla controricorrente (doc. 1) risulta effettivamente non chiara, riportando dati di non immediata evidenza, indicando nelle voce “sgravato” importi non sempre coincidenti con il carico fiscale (in un caso in misura assai inferiore, v. prima colonna), nella voce “importi sospesi” il precedente carico fiscale e nelle voce “Importo residuo” l’indicazione “0”, non emergendo, quindi, se il debito sia ancora sospeso o sgravato ed in che misura (il carico di cui alla prima colonna indica uno sgravio di 220,20 Euro su di in carico di 2.667,50 Euro), per cui, anche in assenza di riscontri sul punto da parte dell’Agenzia, la causa va decisa;

6.2. a maggior ragione, stesse considerazioni valgono per la seconda cartella, in cui la stessa situazione debitoria prodotta esclude lo sgravio (v. secondo riquadro del documento), indicando poi nella voce “importi sospesi” il precedente carico fiscale e nella voce “Importo residuo” il numero “0”;

6.3. del resto, la suddetta questione risulta essere stata scrutinata anche dal Giudice regionale, con riferimento all’estratto del 17 ottobre 2018 su cui la contribuente aveva basato la richiesta di far dichiarare cessata la materia del contendere, riconoscendo la Commissione “ai carichi in esso riportati solo una funzione sospensiva e non tanto di annullamento in autotutela di competenza dell’ente impositore” (così nella sentenza impugnata);

7. va accolto il primo motivo di ricorso concernente la dedotta violazione dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546;

7.1. per quanto ora occupa, il nucleo fondante la decisione della Commissione regionale riposa sul rilievo secondo il quale “gli eventuali atti validi ai fini interruttivi perdono di rilevanza quando l’atto prodromico è viziato ed il vizio è assoluto” e che “anche nel caso che l’atto fosse valido risulta nella fattispecie che tra il pignoramento del 2006, l’intimazione del 2010 e l’ultima intimazione del 2016 ci sono stati sei anni di totale quiescenza e silenzio, che hanno determinato la prescrizione (ndr. breve) dei crediti richiamati nella cartella”;

7.2. la Commissione ha utilizzato l’aggettivo “eventuale” in relazione alla validità degli atti interruttivi, mentre – come pure ritenuto dalla difesa erariale – non ha avuto remore nel riconoscere, quanto meno implicitamente, l’esistenza della notifica dell’atto di intimazione del 2010, non avendo avuto altrimenti giuridico e logico senso ipotizzare la sua validità (“anche nel caso l’atto fosse valido”) e poi dar seguito all’accertamento del lasso di tempo intercorso tra detta intimazione e quella (del 2016) impugnata ed oggetto del presente giudizio, al fine di ritenere prescritto il diritto; è, poi, pacifico che l’intimazione di pagamento del 2010 non veniva impugnata;

7.3. in tale contesto, va, allora, osservato che:

1. eventuali ipotesi di invalidità del predetto atto interruttivo della prescrizione (intimazione del 2010) restano precluse dalla mancata impugnazione dell’atto medesimo;

2. diversamente da quanto opinato dalla Commissione è, infatti, costante nella riflessione di questa Corte l’affermazione del principio secondo cui il meccanismo di cui all’art. 19, comma 3, ultimo periodo, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 (a mente del quale – giova ripeterlo – “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”) comporta che, se l’intimazione di pagamento non viene impugnata (facendo valere la sua sola nullità per mancata notifica degli atti presupposti o anche l’illegittimità della pretesa per vicende ad essa attinenti, come la prescrizione della stessa), il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica;

3. questa Corte ha, infatti, chiarito che “(…) sia la cartella di pagamento sia gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti dell’Erario e/o degli Enti previdenziali e così via sono atti amministrativi privi dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (vedi, tra le tante: Cass. 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. 26 maggio 2003, n. 8335 (…)”, precisando, tuttavia, che “Questo, peraltro, non significa che la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione non produca alcun effetto, in quanto tale decorrenza determina la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, producendo l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito” (così Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397 e nello stesso senso, tra le tante, Cass., Sez. T. 5 maggio 2024, n. 5574; Cass., Sez. VI/III, 15 maggio 2018, n. 11800; Cass. Sez. VI/T, 3 maggio 2019, n. 11760; Cass. Sez. VI/T, 19 dicembre 2019, n. 33797);

4. la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, non comporta anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (v. giurisprudenza cit.);

5. tale principio si applica a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T. 4 aprile 2024, n. 8972 cit., proprio in tema di ingiunzione di pagamento, richiamando, tra le tante, Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397);

7.4. alla luce di quanto precede, dunque, la mancata impugnazione della predetta intimazione di pagamento ha reso soltanto irretrattabili i relativi crediti, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che, nella specie, è restato quello ordinario decennale;

7.5. secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, il termine prescrizionale dei tributi erariali (quali I.r.p.e.f., I.r.a.p., I.r.e.s. ed I.v.a.) e quello ordinario decennale, di cui all’art.2946 cod. civ., non potendosi applicarsi l’estinzione per decorso quinquennale prevista dall’art. 2948, primo comma, n. 4, cod. civ. “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, in quanto l’obbligazione tributaria ad essi connessa, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale, ha carattere autonomo ed unitario ed il pagamento non e mai legato ai precedenti, bensì risente di nuove ed autonome valutazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T. 4 aprile 2024, n. 8972 cit., che richiama, Cass., Sez. VI/V, 26 giugno 2020, n. 12740; Cass., Sez. VI/V, 11 dicembre 2019, n. 32308); medesime considerazioni valgono per il contributo sanitario nazionale, alla luce del disposto dell’art. 14, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, secondo cui “Ai fini della dichiarazione, dell’accertamento, della riscossione del predetto contributo e delle relative sanzioni si applicano le disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi”;

7.6. consegue a tanto che non può ritenersi corretta la valutazione della Commissione regionale; e ciò nella parte in cui:

(/’). ha considerato che “(…) gli atti interruttivi perdono di rilevanza quando l’atto prodromico è viziato ed il vizio è assoluto”, stante l’illustrata irretrattabilità del credito all’esito della mancata impugnazione dell’atto successivamente notificato (nel caso l’intimazione del 2010);

(//). non ha considerato l’effetto interruttivo della prescrizione decennale per la sorta capitale dei crediti Irpef (e contributi del servizio sanitario nazionale) ed Iva, il cui nuovo periodo non era decorso al momento della notifica (2016) dell’intimazione di pagamento impugnata;

8. le valutazioni che precedono assorbono l’esame del secondo motivo concernente la notifica della citata cartella di pagamento;

9. Le considerazioni sopra svolte consentono di ritenere fondato solo parte del terzo motivo di impugnazione, che riguarda la contestazione del termine prescrizionale dei menzionati crediti erariali linearmente stabiliti dal Giudice regionale nella misura di cinque anni;

9.1. come sopra esposto, infatti, i citati crediti, quanto a sorta capitale, sono sottoposti al termine decennale di prescrizionale e, pertanto, la censura avanzata sul punto dall’Agenzia risulta fondata;

9.2. scontano invece il termine breve (cinque anni) di prescrizione le sanzioni, come chiarito da questa Corte secondo cui “(…) il termine di prescrizione entro il quale debba essere fatta valere l’obbligazione tributaria relativa alle sanzioni (…) è quello quinquennale, così come previsto, rispettivamente, per le sanzioni, dall’art. 20, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997 (Cass., Sez. VI, 8 marzo 2022, n. 7486; Cass., Sez. VI, Cass., Sez. V, 22 luglio 2011, n. 16099), decorrendo la prescrizione dall’iscrizione a ruolo del credito, ossia dall’emissione dell’atto di irrogazione della (allora) soprattassa (Cass., Sez. V, 7 novembre 2011, n. 20600). Tale principio è stato ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 17 novembre 2016, n. 23397), secondo cui le sanzioni -come alcuni tributi non erariali – hanno prescrizione quinquennale e possono, al più, beneficiare dell’effetto dell’allungamento delle prescrizioni brevi in forza dell’actio iudicati a termini dell’art. 2953 cod. civ.; principio, questo, radicato nella giurisprudenza di questa Corte, che ha ritenuto esaustiva la disciplina prescrizionale di diritto speciale prevista dall’art. 20 D.Lgs. n. 472/1997, stante il carattere speciale dell’illecito tributario (Cass., Sez. V, 2 ottobre 2000, n. 12989)” (così Cass. Sez. T, 24 gennaio 2023, n. 2095 ai cui ampi contenuti si rinvia);

9.3. in applicazione di tale principio, va allora considerata corretta la decisione della Commissione nella parte in cui, accertando in punto di fatto, il decorso di più di cinque anni dall’intimazione del 2010 sino a quella dell’anno 2016, oggetto di impugnazione, ha annullato la pretesa con riferimento alle sanzioni;

10. medesime valutazioni comportano il rigetto della quarta doglianza con cui l’Agenzia ha rivendicato l’applicazione del più lungo termine prescrizionale anche per gli interessi;

10.1. come sopra, va, infatti, ricordato che la medesima pronunzia suindicata ha chiarito che “A differenza delle sanzioni relative a violazioni tributarie, che si nutrono di una disciplina speciale in ambito tributario, la prescrizione degli interessi che accedono a obbligazioni tributarie è regolata – secondo la giurisprudenza largamente prevalente di questa Corte – da una norma di diritto comune quale l’art. 2948, n. 4, cod. civ., secondo cui l’obbligazione relativa agli interessi riveste natura autonoma rispetto al debito principale e soggiace al generalizzato termine di prescrizione quinquennale fissato dalla suddetta disposizione (Cass., Sez. VI, 14 settembre 2022, n. 27055; Cass., Sez. VI, 28 aprile 2022, n. 13258; Cass., Sez. VI, 8 marzo 2022, n. 7486; Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2022, n. 1980; Cass., Sez. V, 3 ottobre 2021, n. 31283; Cass., Sez. V, 15 ottobre 2020, n. 22351; Cass., Sez. V, 10 luglio 2020, n. 20955; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30901; Cass., Sez. VI, 25 luglio 2014, n. 17020; Cass., Sez. V, 14 marzo 2007, n. 5954; in termini analoghi Cass., Sez. II, 27 novembre 2009, n. 25047; Cass., Sez. III, 21 marzo 2013, n. 7127)” (così Cass. Sez. T, 24 gennaio 2023, n. 2095 ai cui ampi contenuti si rinvia);

10.2. in termini corretti, dunque, il Giudice d’appello, accertando in punto di fatto, il decorso di più di cinque anni dall’intimazione del 2010 sino a quella dell’anno 2016, oggetto di impugnazione, ha annullato la pretesa con riferimento agli interessi, dovendo però sul punto precisarsi che, a differenza delle sanzioni, gli interessi maturano periodicamente sul capitale impagato, come tale ancora dovuto e produttivo di interessi, per cui la prescrizione può colpire solo gli accessori maturati nei cinque anni precedenti la notifica dell’atto impugnato;

11. risulta, invece, infondato il quinto motivo di impugnazione;

11.1. questa Corte ancora di recente ha ribadito che il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto e comunque da elementi incompatibili con la volontà di disconoscere la pretesa del soggetto attivo non può valere come riconoscimento del debito, restando, in ogni caso, rimessa al giudice di merito la relativa valutazione fattuale, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata (Cass., Sez. VI/I, 27 marzo 2017, n. 7820; Cass., Sez. III, 12 febbraio 2010, n. 3371; Cass., Sez. L., 2 gennaio 2018, n. 18);

11.2. il pagamento in questione risulta effettuato dal terzo pignorato, debitor debitoris, come tali da considerare coattivamente eseguito, il che vale ad escludere, a monte, per il principio sopra esposto l’effetto interattivo della prescrizione, poiché il pagamento è stato posto in essere in ambito esecutivo da un terzo e manca la specifica intenzione ricognitiva del debitore;

12. alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto in relazione al primo motivo e parzialmente in relazione al terzo, dichiarando assorbito il secondo, mentre vanno rigettati la seconda parte del terzo motivo, nonché il quarto ed il quinto motivo di impugnazione;

13. la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, accogliendo, limitatamente alle due cartelle (nn. Omissis e Omissis), parzialmente l’originario ricorso della contribuente, dichiarando non dovute le sanzioni e gli interessi maturati sino a cinque anni prima della notifica dell’intimazione impugnata;

14. il parziale accoglimento delle ragioni dell’originaria impugnazione giustifica l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio;

 

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e parzialmente il terzo, dichiara assorbito il secondo, rigetta la seconda parte del terzo motivo di ricorso, nonché il quarto ed il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie, limitatamente alle due cartelle (nn. Omissis e Omissis), parzialmente l’originario ricorso della contribuente, dichiarando non dovute le sanzioni e gli interessi maturati sino a cinque anni prima della notifica dell’intimazione impugnata.

Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2024.

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