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Cassazione civile sez. trib., 20/06/2025, n. 16523

Massima

Nel contenzioso tributario, la cancellazione di una società dal registro delle imprese, avvenuta prima dell’entrata in vigore (13 dicembre 2014) dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 (norma di natura sostanziale e non retroattiva), comporta l’estinzione dell’ente e la conseguente perdita assoluta della sua capacità processuale. Il ricorso introduttivo proposto da tale società estinta è, pertanto, inammissibile per difetto di legittimazione attiva, vizio non sanabile tramite l’applicazione dell’art. 182 c.p.c.. Tale disposizione è, infatti, applicabile solo ai difetti di rappresentanza di un soggetto esistente e non alla carenza di capacità processuale di un soggetto ormai inesistente. In tale scenario, la legittimazione ad impugnare l’atto impositivo si trasferisce esclusivamente ai soci, quali successori dell’ente estinto, i quali rispondono nei limiti di quanto riscosso in liquidazione o illimitatamente.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA emesso per l’anno d’imposta 2012 nei confronti della (omissis) s.r.l., con cui veniva disconosciuta la de tra i bilità dell’IVA relativa a fatture che l’amministrazione finanziaria riteneva essere riferite ad operazioni oggettivamente inesistenti, la CTR (ora Corte di giustizia tributa ria di secondo grado) della Lombardia con la sentenza in epigrafe indicata rigettava l’appello proposto dal in proprio e nella qualità di ex socio della sopra indicata società, cancellata dal registro delle imprese in data 09/01/2014.

1.1. I giudici di appello, dopo aver premesso che «la pretesa erariale, nei confronti di (omissis) discende dedotta responsabilità in qualità di socio della (omissis) s.r.l. in liq.ne, nella prospettiva dischiusa dall’art. 2495 c.c.», hanno ritenuto di confermare la statuizione di primo grado che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto proposto non già da (omissis) in qualità di socio unico della società contribuente, ma da quest’ultima, come si ricavava agevolmente dal fatto che il ricorso era stato proposto dalla s.r.l. in liquidazione, “in persona del sig. (omissis)“. Al riguardo precisava che «la società estinta, la cui rappresentanza, tra l’altro, spetterebbe al liquidatore e non al suo socio, non è legittimata a ricorrere avverso alcuna accertamento, in seguito al fenomeno estintivo conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese». Rilevava, altresì, l’inammissibilità dell’appello in quanto proposto da soggetto, il socio (omissis) «diverso rispetto a quello che ha proposto ricorso in primo grado (id est la società)» e dava atto della mancata riproposizione delle questioni solleva te in primo grado con conseguente implicita rinuncia alle stesse ex art. 56 del d. lgs. n. 5 46 del 1992.

2. Avverso tale statuizione il (omissis) propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, articolati in più censure, cui replica l’intimata con contro ricorso.

3. Il ricorrente deposita me moria ex art. 380-bis1 cod. proc. civ. nonché il decreto di archiviazione emesso il 27/04/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia con riferimento al procedimento pena le promosso nei suoi confronti per reati con nessi ai fatti di causa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli a rtt. 182 c.p.c. e 112 c.p.c. in relazione all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 546 del 1992.

1.1. «Quanto all’art. 182 c.p.c., per avere la C.T.R. dichiarato inammissibile [l’impugnazione] in relazione alla legittimazione attiva e alla rappresentanza processuale senza aver previamente invitato la parte a regolarizzare gli atti ritenuti difettosi e senza aver assegnato alla stessa un termine per la consentire la costituzione della persona alla quale sarebbe spettata la rappresentanza o l’assistenza o per il rilascio delle autorizzazioni ritenute necessarie, o per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa».

1.2. «Quanto all’art. 112 c.p.c., per non avere la C.T.R. accertato e valutato il contenuto sostanziale della pretesa fatta valere in giudizio».

2. Con il secondo motivo deduce «la violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4) c. p.c., degli artt. 132, 2 co., n. 2 e dell’art. 118 disp. att. cpc dell’art. 36, 2 co., n. 1), d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 182 c.p.c. nella parte in cui la C.T.R. ha dichiarato inammissibile l’impugnazione in relazione alla legittimazione attiva e alla rappresentanza processuale omettendo di provvedere alle regolarizzazioni previste dall’art. 182 c.p.c.».

2.1. In particolare, il ricorrente impugna la sentenza della CTR nella parte in cui, in relazione alla legittimazione attiva e alla rappresentanza processuale, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione «in quanto il soggetto che ha impugnato la sentenza è un soggetto diverso rispetto a quello che ha proposto ricorso in primo grado», omettendo di assegnare il termine di cui all’art. 182 cod. proc. civ.

3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto pongono la medesima questione dell’applicabilità al caso di specie dell’art. 182 cod. proc. civ., sono infondati e vanno rigettati.

4. Occorre premettere in fatto che dalle pagine (frontespizio e seconda pagina) dell’avviso di accertamento impugnato, riprodotte all’interno del ricorso in esame (pagg. 3 e 4), risulta che l’atto venne emesso e notificato a (omissis) nella sua qualità di socio della (omissis) s.r.l. in liquidazione, e a quale ex liquidatore della predetta società, cancellata dal registro delle imprese in data 9 gennaio 2014, ovvero, come ammette lo stesso ricorrente (pag. 6 del ricorso), in epoca precedente al 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014.

4.1. Pertanto, la fattispecie in esame non ricade nell’ambito applicativo di tale disposizione, come sostiene anche il ricorrente nel terzo motivo di ricorso, di cui si dirà in prosieguo.

4.2. Invero, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ., previsto dalla citato art. 28 si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, che costituisce il presupposto di tale differimento, sia stata presentata nella vigenza della disposizione, e, pertanto, il 13 dicembre 2014 o successivamente, in quanto la norma reca disposizioni di natura sostanziale sulla capacità
della società cancellata dal registro delle imprese e non ha pertanto efficacia retroattiva (Cass. n. 4536/2020; Cass. n. 31846/2021; Cass. n. 20692/2024 nonché Cass., Sez. U, n. 3625/2025, par. 3.3.).

4.3. La fattispecie in esame ricade, quindi, nell’ambito applicativo dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ. che è norma che, per consolidata interpretazione di questa Corte, a Sezioni unite (cfr. Cass., Sez. U, n. 6070, n. 6071 e n. 6072 del 2013, nonché la recente sentenza n. 3625/2025), disciplina gli effetti sostanziali e processuali della cancellazione dal registro delle imprese della società, di persone o di capitali, affermandosi, quanto al primo profilo, che «qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo» (conf., ex multis, Cass. n. 16362/2020).

4.4. Quanto agli effetti processuali, la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio. «La società cancellata dal registro delle imprese non può agire né essere convenuta in giudizio, in quanto priva della relativa capacità (Cass. 9/10/2018, n. 24853; Cass. 19/12/2016, n. 26196); né, pertanto, può sussistere in questi casi la legittimazione dell’ex liquidatore a rappresentarla (Cass. 11/06/2011, n. 5637; Cass. 23/03/2016, n. 5736) » (Cass., Sez. U, n. 3625/2025, par. 3.3.).

5. Trasfusi detti principi al caso in esame, ne consegue che, esclusa qualsiasi legittimazione sostanziale e processuale in capo alla società, legittimati a proporre ricorso avverso l’avviso di accertamento societario erano soltanto i soci della stessa, sicché correttamente la CTR ha confermato la statuizione di primo grado di inammissibilità del ricorso in primo grado perché proposto dalla società «in persona del sig. (omissis)” il quale, come altrettanto correttamente si afferma nell’impugnata sentenza, aveva conferito la procura alle liti «in nome proprio» e non nella sua qualità, che invece ha speso soltanto in grado di appello, così determinando la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione perché proposta da soggetto diverso da quello che aveva agito in primo grado.

6. Non è utile al ricorrente il richiamo operato al principio affermato da Cass. n. 16251/2018 secondo cui «La procura speciale rilasciata da chi sia parte in giudizio per sé e quale rappresentante legale di una società deve intendersi rilasciata, oltreché in tale ultima qualità, anche in nome proprio, senza che assuma alcun rilievo in contrario la circostanza che nella procura medesima si faccia riferimento soltanto alla qualità di rappresentante legale della società»: anzitutto, tale principio non può valere al contrario, nel senso che una procura rilasciata soltanto a nome proprio non copre anche la non dichiarata qualità rivestita dal soggetto conferente (nella specie di ex socio di s.r.l.). Quel che più conta è, peraltro, che nel caso in esame (omissis) stava in giudizio per la società, come affermato dai giudici di primo grado e confermato da quelli di secondo: la circostanza emerge non soltanto dal frontespizio del ricorso di primo grado, come si sostiene in ricorso e in memoria, ma anche dal contenuto dei motivi di esso, come riportati alle pag. 6 e 7 del ricorso per cassazione, univoca mente proposti da (omissis) (significativamente, si riporta a pag. 7, col quarto motivo «La ricorrente documentava: l’esistenza di ben due sedi operative (una in (omissis) e l’altra in (omissis) .. »; della qualità di socio, peraltro, non si fa m enz ione neppure nell’intestazione del ricorso in primo grado.

7. Venendo, quindi, alla specifica questione posta nei due motivi di ricorso, osserva il Collegio che il difetto di legittimazione attiva della società non poteva esse re sa nato attraverso il meccanismo previsto dall’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. applicabile in ipotesi di difetto di «rappresentanza» di altro soggetto e, quindi, in presenza di un difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di una società (arg. da Cass. n. 3477 5/2021), posto che nel caso in esame la società era estinta.

7.1. La giurisprudenza di questa Corte ha, bensì, ammesso la possibilità di interpretazione estensiva ed applicazione analogica della norma, nel caso in cui la parte abbia mancato di fornire la prova della legitimatio ad causam, allorquando questa sia stata prospettata in modo coerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (v. Cass. n. 13711/2014). Nel caso in esame, tuttavia, tale presupposto non è ravvisabile, vertendosi, come detto, in ipotesi non di mancata prova della legittimazione spesa nel ricorso introduttivo, quanto, ben diversamente, della inesistenza di tale legittimazione, per come ivi univocamente prospettata, in sé e già in astratto considerata (in termini, Cass. n. 25869 del 2020).

7.2. Peraltro, nel caso in esame, l’applicazione della citata disposizione processuale non avrebbe com portato alcuna sanatoria in quanto la società, priva di capacità processuale, non avrebbe potuto impugnare l’avviso di accertamento neanche ove fosse stata rappresentata dall’ultimo legale rappresentante, nella specie l’ex liquidatore, a sua volta privo di legittimazione a rappresentarla (cfr. Cass. n. 33278/2018).

7.3. Con riferimento al giudizio di appello, invece, il meccanismo di sanatoria di cui alla citata disposizione era del tutto impraticabile per la rilevata diversità del soggetto impugnante.

8. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014, 2495 cod. civ. e 36 d.P.R. n. 602 del 1973.

8.1. Quanto agli artt. 2495 cod. civ. e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, lamenta che la CTR non aveva considerato che «l’iscrizione della cancellazione della società nel Registro delle Imprese ha effetti estintivi indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti e comporta l’impossibilità di evocare l’ente in giudizio o di renderlo destinatario di atti impositivi» e che a seguito della predetta cancellazione della società dal registro delle imprese «l'(omissis) deve agire direttamente ed esclusivamente nei confronti dei soci, degli amministratori e dei liquidatori facendo valere le rispettive responsabilità».

8.2. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 17 5 del 2014, sostiene che, essendo tale disposizione di applicazione non retroattiva, operando sul pia no “sostanziale” e non “procedurale, la CTR avrebbe dovuto rileva re l’invalidità e l’insanabilità dell’atto impositivo notificato a Ila società estinta anteriormente a !l’entrata in vigore di detta disposizione.

8.3. Sostiene, inoltre, la sussistenza della «Legittimazione del socio di impugnare l’atto impositivo emesso a carico della società nella misura in cui lo stesso è stato anche a lui notificato e in qualche modo avviasse o alludesse ad un’azione di responsabilità nei suoi confronti».

9. Il motivo è assorbito dal rigetto dei primi due.

10. Deve, comunque, osservarsi che alla accertata e dichiarata improponibilità dell’impugnazione, da parte della società estinta, dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa, non può conseguire l’annullamento dell’atto impositivo, neppure nella eventuale dichiarata inesistenza della notifica dello stesso perché effettuata all’ex legale rappresentante o all’ex liquidatore anziché ai soci successori (cfr. Cass., Sez. U, n. 3625/2025, che richiama Cass. n. 6743/2015 e n. 20961/2021). Invero, qualora nel giudizio impugnatorio proposto dalla parte priva di legittimazione, sia che deduca il vizio dell’atto impositivo, perché notificato alla società estinta, sia che deduca anche questioni di merito attinenti alla pretesa erariale, l’annullamento dell’avviso di accertamento societario si risolverebbe nell’attribuzione alla parte, rimasta soccombente, di un’utilità non spettantele.

11. Conclusivamente, vanno rigettati il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo ed il ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, va condannato a I pagamento de Ile spese de I presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma in data 11 marzo 2025.

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