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Cassazione civile sez. trib., 20/05/2025, n. 13365

Massima

Il ricorso per cassazione è inammissibile in presenza di “doppia conforme” di merito, qualora le sentenze di primo e secondo grado concordino sull’insufficiente assolvimento dell’onere della prova in merito all’inerenza dei costi a causa della genericità delle descrizioni in fattura.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. – In data 19 novembre 2018, la Direzione provinciale di Monza e Brianza dell’Agenzia delle entrate notificava alla CEDAR Sas di Za.An. E C. l’avviso di accertamento n. (Omissis) con il quale recuperava a tassazione costi pari a euro 100.330,69, in quanto ritenuti non sufficientemente documentati. Contestualmente, notificava ai soci Ar.Lu. e Za.An. separati avvisi di accertamento con i quali recuperava a tassazione i redditi da partecipazione imputabili in capo agli stessi, ai sensi dell’art. 5 TUIR.

La società e i soci impugnavano con distinti ricorsi l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano che, con sentenza n. 3889/20/2019, depositata in data 25 settembre 2109, previa riunione dei ricorsi, li respingeva, condannando i ricorrenti alla refusione delle spese di lite.

2. – Avverso tale pronuncia la società e i soci proponevano atto di appello.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 3740/2021, depositata il 14 ottobre 2021, ha rigettato l’impugnazione.

3. – La società e i soci hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 348 ter, comma 5, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto sussistente la cd. “doppia conforme di merito”, nonostante la ricorrente avesse indicato le ragioni di fatto poste alla base delle sentenze di merito, evidenziandone le differenze. Nel caso di specie, le differenze tra le decisioni sarebbero sostanziali. I ricorrenti hanno dedotto che mentre nella sentenza di primo grado si tende a negare la detraibilità dei costi in base a una ritenuta mancanza di prova in ordine all’inerenza, esistenza ed effettività dei costi (art. 109 TUIR), nella sentenza di secondo grado, invece, la conferma del rigetto si fonda sulla indetraibilità dei costi (IVA a credito sugli acquisti) per mancanza formale della descrizione della natura, qualità e quantità dei servizi o beni resi (ex art. 21, comma 2, lettera c, D.P.R. n. 633/72) in tutte le fatture di spesa.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947).

La Commissione tributaria regionale, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha respinto l’impugnazione sul rilievo del mancato assolvimento dell’onere della prova in merito alla deducibilità dei costi sotto il profilo dell’inerenza, richiamando la genericità della descrizione delle prestazioni riportate in fattura e decidendo, pertanto, contrariamente a quanto prospettato nel motivo di censura, in maniera conforme rispetto alla pronuncia di prime cure.

2. – Con il secondo motivo si prospetta la nullità della sentenza per motivazione assente di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nonché per mancata valutazione di documenti decisivi per la controversia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., laddove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la contribuente non avesse offerto piena prova dell’inerenza, esistenza e competenza dei costi sostenuti. Dalla pronuncia impugnata emergerebbe che la Commissione tributaria regionale ha ritenuto non provata l’inerenza dei costi recati in detrazione e conseguentemente recuperati a imposizione dalla A.F. per la genericità della descrizione delle prestazioni in fattura. Detta circostanza avrebbe rilievo decisivo ai fini del giudizio, avendo gli appellanti fornito la prova articolata della certezza, inerenza, competenza e determinatezza dei costi documentati e finalizzati alle singole operazioni di organizzazione di eventi. La Commissione tributaria regionale non avrebbe tenuto conto del complesso delle informazioni complementari alle fatture di acquisto fornite con la produzione documentale offerta in prova. Il travisamento della prova escluderebbe che si verta in ipotesi di cd. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., giusto l’art. 348-ter ultimo comma c.p.c.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass., Sez. Un., 5 marzo 2024, n. 5792).

Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass., Sez. I, 6 aprile 2023, n. 9507).

Con specifico riferimento all’inerenza di un costo, sostenuto nell’esercizio dell’attività di impresa, in tema di imposte dei redditi e di IVA, il contribuente è tenuto a provare i fatti costitutivi del costo e a documentarli, quali l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ponendoli in correlazione all’attività imprenditoriale svolta (Cass., Sez. V, 18 gennaio 2025, n. 1239). A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass., Sez. V, 26 maggio 2017, n. 13300; Cass., Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21184).

Nel caso di specie non ricorrono gli estremi per sindacare un travisamento della prova, avendo la Commissione tributaria regionale, in conformità alla decisione di prime cure, escluso l’inerenza del costo alla luce della genericità della descrizione delle prestazioni in fattura, mentre difettano di specificità le deduzioni riguardanti la documentazione che non sarebbe stata esaminata, peraltro a fronte di una “doppia conforme” con i limiti di sindacato richiamati, escludendo la stessa pronuncia che la società abbia prodotto ulteriore documentazione a supporto delle fatture relative ai costi sostenuti.

3. – Con il terzo motivo si lamenta l’errata interpretazione e applicazione dell’art. 109, comma 5, D.P.R. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale disatteso l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e applicato il concetto di inerenza, ancorando la valutazione alla necessità che il costo sostenuto sia strettamente correlato al conseguimento di un corrispondente ricavo in capo allo stesso soggetto. La decisione impugnata, con riguardo alla ritenuta insussistenza dell’inerenza, non si porrebbe in linea con la recente giurisprudenza di legittimità che, mutando il precedente orientamento, ha affermato che il principio si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5, del D.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo D.P.R.) ed esprime “la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale”, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (Cass., Sez. V, 11 gennaio 2018, n. 450).

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Il ricorso per cassazione è inammissibile quando si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI – 3, 4 aprile 2017, n. 8758).

La Commissione tributaria regionale ha escluso l’inerenza dei costi sulla base della fattura prodotta in atti, gravando sul contribuente il relativo onere della prova sulla base della puntuale giurisprudenza richiamata. Parte ricorrente, incorrendo peraltro in un difetto di specificità delle deduzioni sulla documentazione che sarebbe stata prodotta, intende conseguire un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio, vaglio precluso nel giudizio di legittimità (Cass., Sez. II, 23 aprile 2024, n. 10927).

4. – Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2025.

Allegati

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