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Cassazione civile sez. trib., 20/03/2024, n. 7461

Massima

In tema di accertamento tributario, la risultanza dei dati in possesso dell’Anagrafe Tributaria, derivante dalla dichiarazione del sostituto d’imposta che indichi compensi corrisposti, configura una presunzione legale relativa di percezione di tali somme da parte del contribuente.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate ricorre con unico motivo nei confronti della sentenza in epigrafe, che ha rigettato l’appello dell’Amministrazione avversa la pronuncia di primo grado che ha annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di Be.Er., per l’anno di imposta 2005, e attinente al recupero a tassazione di somme asseritamente percepite a titolo di compenso quale amministratore della Aeroterminal V Spa

2. Il contribuente è rimasto intimato.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la “Violazione e-o falsa applicazione dell’art. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 24 D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”.

1.1. Afferma l’Amministrazione che la sentenza in oggetto sarebbe viziata nella parte in cui ha disatteso la disciplina dettata dall’art. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, ed in particolare il regime sulla distribuzione dell’onere probatorio fondato sul valore di presunzione legale relativa assegnato ai dati provenienti dal sistema dell’Anagrafe Tributaria.

1.2. La ricorrente richiama la disciplina dell’art. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 che, per quanto qui interessa, stabilisce che: “Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all’articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4), nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui all’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”.

1.3. Nella specie, osserva la ricorrente, dai dati in possesso dell’Anagrafe Tributaria era emerso che, per il periodo di imposta 2005, la società Aeroterminal V Spa aveva corrisposto al sig. Be.Er. redditi per Euro 47.500,00, operando ritenute alla fonte per Euro 13.915,00 e trattenute per Addizionale Regionale di Euro 427,00.

1.4. A fronte dei dati acquisiti dall’Anagrafe Tributaria e della connessa presunzione di percezione di compensi da parte di Be.Er., sul contribuente gravava dunque l’onere di fornire elementi atti a integrare idonea prova contraria.

1.5. Lamenta la ricorrente che la Commissione Tributaria di secondo grado, anziché valutare gli elementi offerti dal contribuente per accertare se tali elementi fossero idonei a superare la presunzione di effettiva percezione di compensi desunta dall’Ufficio dai dati sopra richiamati, avrebbe addossato all’Ufficio un ulteriore e non previsto onere di prova dell’intervenuta effettiva corresponsione della somma in oggetto.

1.6. La CTR avrebbe inoltre disatteso, nello stesso tempo, l’art. 24 del D.P.R. n. 600 del 1973, il quale impone ai sostituti di imposta di versare le ritenute sui compensi agli amministratori “all’atto del pagamento” e quindi secondo un principio di cassa e non di competenza.

2. Il motivo è infondato.

2.1. In primo luogo, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, “L’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dagli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicché il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva (…)” (Cass. n. 8406 del 04-04-2018; sulla assenza di autonomia dell’accertamento parziale rispetto a quello ordinario si vedano, altresì, Cass. n. 21984 del 28-10-2015; Cass. n. 28681 del 07-11-2019).

2.2. Tanto premesso, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura nel caso in cui il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ “onus probandi” a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni: in buona sostanza, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 7-10-2021, n. 27270).

2.3. Nella specie non è ravvisabile alcuna di tali anomalie.

Diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, i giudici di appello: i) hanno correttamente identificato la valenza di presunzione legale relativa dei dati ricavati dall’Anagrafe tributaria, consistenti nelle risultanze della dichiarazione del sostituto d’imposta; ii) hanno quindi esaminato e valorizzato la prova contraria documentale offerta dal contribuente, e segnatamente l’attestazione del curatore del fallimento secondo cui sia la scheda contabile “Debiti verso amministratore” sia il libro giornale della fallita società non evidenziavano né per l’anno 2005 né per l’anno 2006 pagamenti a favore degli organi amministrativi, mentre la scheda contabile “‘Debiti verso amministratori” evidenziava, alla data del 31 dicembre 2006 lo storno contabile del residuo debito verso amministratori, pari a complessivi Euro 215.092,00, riportando quale causale della registrazione “Rinuncia comp. Amm. Anni precedenti”; iii) hanno ritenuto che, a fronte della documentazione proveniente dalla curatela fallimentare da cui non risultava la corresponsione del compenso al Be.Er. nel 2005 ed anzi ne emergeva l’intervenuto storno, per rinuncia, l’Amministrazione non aveva dimostrato l’effettiva corresponsione della somma in oggetto, in sostanza ritenendo soddisfatto, in mancanza di ulteriori elementi contrari addotti dall’Ufficio, l’onere probatorio attribuito al contribuente.

2.4. La critica della ricorrente si risolve pertanto in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti, terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. U., 7-04-2014, nn. 8053 e 8054) hanno avuto modo di precisare, vigente l’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria.

2.5. In tale ambito va ricondotta anche la specifica censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 24 D.P.R. 600 del 1973, con la quale in concreto l’Amministrazione lamenta l’errata valutazione, a fini probatori, del contenuto della dichiarazione del sostituto d’imposta, laddove ha indicato di avere effettuato la ritenuta sul compenso dell’amministratore.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non si liquidano le spese di legittimità in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1-quater, (Cass. 29-01-2016, n. 1778).

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2024.

Allegati

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