FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate notificava all’avv. Ag.Ma. un avviso di irrogazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 11, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 471 del 1997.
Tale atto faceva seguito alla spedizione di una lettera con la quale l’Ufficio aveva invitato il professionista a restituire il questionario ad essa asseritamente allegato, debitamente compilato e sottoscritto, con l’avvertenza che, nel caso in cui detto questionario non fosse stato restituito entro il termine di quindici giorni dalla ricezione o le risposte date fossero risultate incomplete o non veritiere, sarebbe stata applicata nei suoi confronti la sanzione prevista dalla norma sopra citata.
L’Ag.Ma. impugnava l’atto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sostenendo che nessun questionario era stato allegato alla lettera inviata dall’Ufficio, da lui effettivamente ricevuta.
La Commissione adita accoglieva il ricorso, avendo accertato che al contribuente era stata notificata soltanto una lettera contenente la descrizione del presupposto di fatto che, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 4) del D.P.R. n. 600 del 1973, avrebbe giustificato l’invio di un questionario da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che con sentenza n. 959/2018 del 6 marzo 2018, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, respingeva l’originario ricorso della parte privata, confermando l’atto impugnato.
A fondamento della pronuncia adottata, per quanto qui di interesse, il collegio regionale osservava che:
– in virtù della presunzione di conoscenza posta dall’art. 1335 c.c., una volta accertato che il plico asseritamente contenente il questionario era pervenuto all’indirizzo del destinatario, spettava a quest’ultimo dimostrare che il documento non fosse, invece, presente all’interno della busta;
– in caso di mancata allegazione del questionario alla lettera accompagnatoria che espressamente lo richiamava, l’Ag.Ma. avrebbe dovuto “farsi parte diligente per richiederne altra copia”, in virtù del generale obbligo di “cooperazione immediata” del cittadino con l’amministrazione pubblica, derivante dal disposto dell’art. 53 Cost.
Avverso questa sentenza l’Ag.Ma. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Per la discussione della causa è stata fissata l’odierna pubblica udienza.
Nel termine stabilito dal comma 1 dell’art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Entro il successivo termine di cui al comma 2 dello stesso articolo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, insistendo nelle proprie richieste.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la falsa applicazione dell’art. 1335 c.c.
1.1 Si contesta alla CTR di aver erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie concreta la presunzione legale di conoscenza stabilita dalla citata norma del codice sostanziale.
2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
2.1 Viene rimproverato alla Commissione di secondo grado di aver accolto l’impugnazione proposta dall’Amministrazione Finanziaria sulla base di argomentazioni estranee al “quantum devolutum” con l’atto di appello, in tal modo incorrendo “in un chiaro vizio di ultrapetizione”.
3. Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., sono dedotte la falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 471 del 1997, nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
3.1 Si imputa al collegio di secondo grado di aver a torto ritenuto legittima l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 11, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 471 del 1997, irrogata dall’Ufficio al contribuente, pur risultando palese che nel caso di specie non ricorreva affatto l’ipotesi contemplata dalla norma, ovvero “l’inottemperanza all’invito a comparire e a qualsiasi altra richiesta fatta dagli uffici o dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri loro conferiti”.
3.2 Viene, inoltre, ascritto al giudice a quo di aver omesso di pronunciare in ordine alle difese svolte sul punto dal contribuente nell’atto di controdeduzioni depositato nel giudizio di appello.
4. Con il quarto motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è prospettata la falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, lettera b), del “D.P.R. 600” (recte : del D.Lgs. n. 471 del 1997 – n.d.r.) e degli artt. 5 e 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.
4.1 Si assume che, quand’anche l’Amministrazione Finanziaria avesse inteso contestare la diversa violazione prevista dall’art. 11, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 471 del 1997, come da essa sostenuto nel giudizio di secondo grado, in ogni caso l’irrogazione della sanzione non avrebbe potuto essere considerata illegittima, non risultando configurabile in capo al contribuente l’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
5. Con il quinto motivo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la falsa applicazione degli artt. 25 e 53 Cost..
5.1 A sostegno della censura viene argomentato che:
– “la violazione meramente formale posta in essere dal Contribuente – consistente nel non aver risposto ad un fantomatico questionario mai ricevuto – non ha inciso sul quantum della determinazione dell’imposta”;
– conseguentemente, “tale violazione non può essere sanzionata alla stregua delle altre ipotesi di evasione dell’imposta, in applicazione del principio di capacità contributiva, costituzionalmente sancito dall’art. 53, nonché del principio comunitario di proporzionalità e (di) quello costituzionale di uguaglianza sostanziale, che impediscono che il contribuente venga sottoposto alla irrogazione di sanzioni eccessivamente gravose rispetto alla violazione commessa”;
– “non esiste ovviamente alcuna sanzione pecuniaria espressamente prevista per la violazione del suddetto articolo 53 della Costituzione, per cui quella irrogata al Contribuente ai sensi dell’articolo 11 del D.Lgs. 471/1997 sarebbe in tal caso avvenuta – a tacer d’altro – in palese violazione dell’articolo 25, comma 2, della Costituzione, ai sensi del quale, come è noto,”nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso””.
6. Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento assorbe le restanti censure articolate dal ricorrente.
6.1 Secondo la ricostruzione della vicenda operata in sentenza dalla CTR lombarda, con l’atto impugnato era stata irrogata all’Ag.Ma. la sanzione amministrativa prevista dalla legge per l’ipotesi – contemplata dall’art. 11, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 471 del 1997 – di mancata restituzione da parte del contribuente dei questionari inviatigli dagli uffici finanziari nell’esercizio dei poteri di verifica e accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o di loro restituzione con risposte incomplete o non veritiere.
6.2 Muovendo da questa premessa, il collegio regionale ha osservato che “la lettera raccomandata -anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituisce prova della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 cod. civ. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto”.
6.3 Ha, quindi, rilevato che, “nel caso di specie, non vi sarebbe neppure incertezza sulla effettiva ricezione della busta e della lettera accompagnatoria del questionario”, traendone la conclusione per cui sarebbe stato “onere del contribuente dimostrare che tale questionario non era stato effettivamente trasmesso”.
6.4 A chiusura del ragionamento condotto ha infine soggiunto: “D’altro lato, atteso il chiaro disposto dell’art. 53 Costituzione, ne deriva un obbligo di cooperazione immediata a carico del cittadino, per cui l’Ag.Ma., già in possesso di tutti gli elementi per cui l’Agenzia delle entrate aveva richiesto, anche nel suo interesse, la sua cooperazione alla stesura del questionario, se effettivamente tale atto mancava,… avrebbe dovuto farsi parte diligente per richiederne altra copia”.
6.5 Riassunto il percorso argomentativo posto a base del dictum del giudice d’appello, va anzitutto notato che le surriportate considerazioni svolte nella parte finale della motivazione non integrano, in tutta evidenza, un’alternativa “ratio decidendi”, di per sé sola sufficiente a sorreggere la pronuncia di accoglimento dell’esperito gravame.
6.6 Invero, posto che la condotta sanzionata dall’art. 11, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 471 del 1997 non consiste nella violazione di un generico “obbligo di cooperazione” con l’Amministrazione Finanziaria, bensì nella “mancata restituzione dei questionari inviati al contribuente o a terzi nell’esercizio dei poteri di cui alla precedente lettera a) o (nella) loro restituzione con risposte incomplete o non veritiere”, risulta evidente come il fondamento giuridico della decisione assunta dalla CTR debba essere individuato esclusivamente nell’affermata sussistenza in capo all’Ag.Ma. dell’onere di dimostrare che il plico giunto al suo indirizzo non contenesse il questionario che l’Ufficio assumeva di avergli inoltrato per posta.
6.7 Orbene, una simile enunciazione non si attaglia al caso di specie, per le ragioni di seguito esposte.
6.8 La tesi difensiva sostenuta dall’Ag.Ma. fin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era incentrata sull’assunto che il plico spedito dalla Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate, pervenuto al suo indirizzo in data 25 settembre 2014, racchiudeva soltanto una lettera “accompagnatoria” che richiamava un questionario (“(Omissis)”) ad essa asseritamente allegato, tuttavia non presente nella busta.
6.9 La circostanza che detto plico avrebbe dovuto contenere due distinti documenti, e cioè il questionario e la relativa lettera accompagnatoria, oltre a risultare incontroversa fra le parti, è stata data per presupposta dallo stesso collegio di secondo grado, nel momento in cui ha addossato al contribuente l’onere della prova del mancato rinvenimento di uno di quei documenti (il questionario) all’interno del piego recapitatogli.
6.10 Fermo quanto precede, giova rammentare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c. e in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario medesimo, il quale, ove deduca che la busta non recava al suo interno alcun atto o ne conteneva uno diverso da quello che si assume spedito dal mittente, è onerato della relativa prova (cfr. Cass. n. 14935/2020, Cass. n. 16528/2018, specificamente in tema di notifica di cartelle di pagamento, nonché, in termini generali, Cass. n. 22687/2017, Cass. n. 21852/2016, Cass. n. 21896/2013).
6.11 È stato, tuttavia, precisato che la surriferita “regula iuris” non può trovare applicazione ove l’involucro della raccomandata sia destinato a contenere plurimi atti e il destinatario riconosca di averne ricevuto soltanto uno o alcuni, giacché in tal caso torna a carico del mittente l’onere di provare l’intervenuta notifica, e quindi il fatto che tutti gli atti fossero effettivamente contenuti nella busta spedita per posta (cfr. Cass. n. 18150/2023, Cass. n. 21533/2017, Cass. n. 20786/2014, Cass. n. 20027/2011).
6.12 Alla luce di tale consolidato indirizzo, al quale va data continuità, deve ritenersi che l’impugnata sentenza sia effettivamente incorsa nella dedotta falsa applicazione di legge, avendo sussunto nell’astratta previsione normativa di cui all’art. 1335 c.c., come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, una fattispecie concreta che non le si addice.
7. Per quanto precede, il ricorso deve essere accolto.
7.1 Va, conseguentemente, disposta, ai sensi dell’art. 384, comma 2, prima parte, c.p.c., la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra espressi.
7.2 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 9 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2024.
