Massima

In materia di liquidazione delle spese processuali nei giudizi tributari, il giudice, pur esercitando un potere discrezionale nella quantificazione del compenso, è tenuto a rispettare i parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, che impongono di liquidare l’importo tra il minimo e il massimo delle tabelle. La liquidazione di somme inferiori ai minimi obbligatori previsti da tali tabelle, come nel caso di controversia di valore pari a Euro 460.048,00 dove i compensi liquidati erano inferiori sia per il primo che per il secondo grado, costituisce violazione e falsa applicazione dell’art. 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e del D.M. n. 55/2014, qualora non sia sorretta da apposita e specifica motivazione che giustifichi la deroga. Tale errore comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio per un nuovo giudizio volto alla corretta regolamentazione delle spese.

Supporto alla lettura

SPESE PROCESSUALI

I costi previsti quando si fa ricorso all’Autorità Giudiziaria sono generalmente definiti spese processuali. Questi possono essere di varia natura, ma in particolare le parti devono sostenere complessivamente:

  • spese legali: spese che ciascuna parte deve versare al legale (nell’ordinamento italiano, fatte salve le eccezioni, la parte deve valersi dell’assistenza di un avvocato) che la assiste e difende nel giudizio, quantificabili sulla base di parametri stabiliti dalla legge (sia in caso di processo civile che di processo penale);
  • spese processuali: spese legate alla giustizia e all’attività degli organi giurisdizionali e devono essere tendenzialmente versate allo stato.

Il soggetto tenuto a versarle sarà individuato dalla stessa Autorità giudiziaria secondo il c.d. principio della soccombenza, con il quale il giudice condanna la parte soccombente al rimborso in favore della parte vittoriosa di tutte le spese legali e processuali da questa sostenute. A questo principio si affianca il c.d. principio di causalità, secondo il quale chi deve sostenere i costi del giudizio è colui che l’ha reso necessario proponendolo o resistendovi indebitamente.

Esistono però dei correttivi che consentono al Giudice di valorizzare il caso concreto, in quanto l’automatismo del principio della soccombenza può risultare troppo rigido e quindi non essere sempre la scelta più idonea.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:

1. L’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Taranto notificava, in data 28 dicembre 2015, a Nu.Lu. avviso di accertamento n. (Omissis), con il quale veniva accertato, nei confronti del suddetto contribuente, per l’anno d’imposta 2010, un reddito complessivo di Euro 1.044.600,00, con conseguente rideterminazione dell’imposta IRPEF e delle relative addizionali.

Tale rettifica veniva operata ai sensi dell’art. 38, commi 4, 5, e 6, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non avendo il contribuente, a detta dell’Ufficio, giustificato, con documentazione ritenuta valida, la procedura di rientro di capitali ex D.L. 1 luglio 2009, n. 78, conv. in L. 3 agosto 2009, n. 102.

2. Avverso tale avviso di accertamento Nu.Lu. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto la quale, con sentenza n. 2323/03/2016, depositata il 6 ottobre 2016, lo accoglieva, annullando l’atto impugnato e condannando l’Ufficio alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.000,00, oltre IVA, CAP e contributo unificato.

3. Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate, ed appello incidentale dal contribuente (per la parte della sentenza di primo grado relativa alla liquidazione delle spese di lite), la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (nuova denominazione della Commissione Tributaria Regionale) della Puglia, con sentenza n. 3435/28/2022, pronunciata il 15 marzo 2022 e depositata in segreteria il 15 dicembre 2022, rigettava entrambi gli appelli, condannando l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, liquidate anch’esse in Euro 2.000,00, oltre accessori come per legge.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Nu.Lu., sulla base di un unico motivo (ricorso notificato il 1 giugno 2023).

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

5. Con decreto del 16 novembre 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 4 febbraio 2025, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ.

 

CONSIDERATO CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso Nu.Lu. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.

Rileva, in particolare, che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, nel liquidare le spese del giudizio di appello, nonché nel rigettare l’appello incidentale proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado, aveva fatto malgoverno dei parametri in tema di liquidazione delle spese di lite, come previsti dal D.M. n. 55/2014, avendo liquidato delle somme inferiori al minimo legale, che doveva ritenersi inderogabile.

2. Il motivo è fondato.

Nella liquidazione delle spese di giudizio il giudice, pur non essendo vincolato all’applicazione dei valori medi dei parametri tariffari, deve tuttavia quantificare il compenso fra il minimo e il massimo, potendo derogare a tali limiti soltanto con apposita e specifica motivazione (Cass. 20 luglio 2022, n. 22719); conseguentemente, l’esercizio del potere discrezionale di liquidazione delle spese non è soggetto a controllo di legittimità, purché compreso tra il minimo ed il massimo previsto dalle relative tabelle (da ultimo, Cass. 11 luglio 2024, n. 19025).

Nel caso di specie, tenuto conto del valore della controversia ex art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, e cioè Euro 460.048,00 (pari alla maggiore imposta IRPEF accertata, con le relative addizionali), le liquidazioni operate dalla C.T.P. e dalla Corte territoriale di secondo grado non appaiono comunque rispettare i minimi obbligatori previsti dal D.M. n. 55/2014.

Nel giudizio di secondo grado, infatti, applicando i minimi tabellari ex artt. 1 e 4 D.M. n. 55/2014 (nel testo vigente in base alle tabelle 2014-2018, e senza tenere conto delle modifiche introdotte con il D.M. 13 agosto 2022, n. 147, che si applica solo alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore), per lo scaglione da Euro 260.000,01 ad Euro 520.000,00, il compenso minimo da liquidare avrebbe dovuto essere complessivi Euro 7.913,00 (fase di studio: Euro 2.093,00; fase introduttiva: 910,00; fase di trattazione: Euro 2.030,00; fase decisionale: Euro 2.160,00).

Nel giudizio di primo grado, invece, per lo stesso scaglione il compenso minimo avrebbe dovuto essere, comprensivo della fase cautelare: Euro 7.240,00 (fase di studio Euro 1.755,00; fase introduttiva: Euro 743,00; fase di trattazione: Euro 1.369,00; fase decisionale: Euro 2.058,00; fase cautelare: Euro 1.315,00).

Senza fase cautelare il compenso minimo avrebbe dovuto essere Euro 5.925,00.

Ne consegue, pertanto, che, per entrambi i gradi di giudizio, la liquidazione operata dalle corti di merito è stata inferiore ai minimi tabellari.

3. Il ricorso merita quindi accoglimento; la sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2025.

Allegati

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