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Cassazione civile sez. trib., 17/06/2025, n. 16354

Massima

In materia di accertamento tributario, il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, opera esclusivamente qualora l’atto impositivo sia preceduto da un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente. Tale garanzia procedurale, posta a tutela del contraddittorio preventivo, non si applica agli accertamenti svolti unicamente sulla base di risultanze documentali (“a tavolino”), per i quali non è richiesto il rispetto di detto termine.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

IN FATTO

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società Fabbricazioni Idrauliche Spa, l’avviso di accertamento (Omissis) con il quale l’Ufficio ha disconosciuto, ai fini IRES, un accantonamento pari a Euro 160.200,00, corrispondente all’ammontare del trattamento di fine mandato per otto amministratori maturato nell’esercizio 2008, recuperando una maggiore imposta pari a Euro 35.861,00 ed irrogando una sanzione per Euro 36.893,00. Previamente l’amministrazione erariale aveva provveduto a inviare alla contribuente un questionario con richiesta di chiarimenti sul precipuo punto, ma l’interlocuzione non sortiva effetto alcuno.

2. Avverso l’avviso di accertamento, la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Genova, deducendo pregiudizialmente la nullità dell’avviso per violazione del termine di cui all’art. 12 comma 7 della legge n. 212/2000, oltre che per motivi di merito.

3. La C.t.p., con sentenza n. 115/2014, accoglieva l’impugnazione limitatamente al rilievo relativo agli accantonamenti per l’indennità di fine mandato degli amministratori, respingendo per il resto il ricorso.

4. Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. della Liguria; la contribuente proponeva altresì appello incidentale censurando la sentenza nella parte in cui ha respinto l’impugnazione.

5. La C.t.r. della Liguria, con sentenza n. 1352/2016, depositata in data 18 novembre 2016, riteneva fondato sia l’appello principale che quello incidentale ed annullava l’avviso di accertamento parzialmente, in relazione alle “perdite su crediti”.

6. Avverso la sentenza della C.t.r. della Liguria, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata trattata nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025 per la quale la contribuente ha depositato memoria.

 

IN DIRITTO

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: “Omessa pronuncia (ed error in procedendo) sul mancato rispetto delle garanzie procedurali di cui all’art. 12, settimo comma, legge 27 luglio 2000, n. 212 sotto il profilo della mancata attivazione del contraddittorio preventivo (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.”), la società contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sul se abbia configurato una lesione del principio del contraddittorio il comportamento dell’Ufficio che, dopo aver acquisito dall’esponente documentazione in data 3 marzo 2013, l’8 marzo 2013 ha emesso l’accertamento senza che l’esponente, nell’ambito di uno specifico contraddittorio, potesse fruire del termine previsto dall’art. 12, settimo comma, legge n. 212/2000, al fine di manifestare utilmente il proprio punto di vista e fornire spiegazioni sulla documentazione prodotta in sede di verifica.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: “Violazione dell’art. 105, commi 1 e 4, T.U.I.R. in combinato disposto con l’art. 17, comma 1, lett. c) T.U.I.R. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.”), la società contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., avallando l’accertamento, ha ritenuto che l’art. 105 T.U.I.R. si applicasse, anche all’accantonamento del trattamento di fine mandato per gli amministratori, i limiti quantitativi per la deducibilità fiscale che il comma 1 prevede per il solo T.F.R. dei lavoratori dipendenti.

2. Il primo motivo di ricorso proposto è infondato.

2.1. La contribuente ha riportato in ricorso il contenuto dell’eccezione (anche mediante il riferimento alle pagine dell’atto di controdeduzioni che se ne occupavano) con la quale denunciava il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni, ex art. 12, settimo comma, legge n. 212/2000, per emettersi avviso di accertamento.

A fronte di questo specifico motivo, il Giudice di appello non ha ritenuto di pronunciarsi, omettendo così di valutare la censura proposta nel gravame ed incorrendo nel vizio motivazionale di cui all’art. 112 cod. proc. civ.

2.2. Tuttavia, questa Corte, con riferimento alle conseguenze dell’accertamento della sussistenza del vizio “in procedendo”, ha precisato che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di Cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (ex plurimis, Cass. n. 10773/2024, Cass. n. 7629/2021 e Cass. n. 16171/2017).

Nel caso di specie la valutazione richiesta dalla parte pone una questione di puro diritto, che non richiede ulteriori accertamenti di fatto; pertanto, questa Corte di legittimità è chiamata a pronunciarsi sul punto.

2.3. Invero, con riguardo al termine dilatorio in oggetto, questa Corte ha avuto modo di ricordare che: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, st. contr. deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito” (Cass. n. 23223/2022, Cass. n. 15843/2020 e Cass. n. 18184/2013).

2.4. Orbene, risulta evidente come la sentenza qui impugnata non si ponga in contrasto con i summenzionati principi. Questi ultimi, infatti, limitano il rispetto del termine dilatorio con riferimento al caso di accertamento preceduto da “un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività”, attività tutte seguite dalla consegna al contribuente di processo verbale di constatazione, mentre nella fattispecie qui in discussione l’accertamento si è svolto unicamente sulla base di risultanze cartolari (come specificato dalla stessa contribuente nel ricorso proposto), trattandosi di una verifica cd. “a tavolino”.

3. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

3.1. Con un recente arresto (Cass. 20/02/2025, n. 4487), questa Corte ha ribadito che, in mancanza di una norma che obblighi le società’ a provvedere all’ammortamento delle quote del trattamento di fine mandato degli amministratori nelle forme previste per i lavoratori dipendenti, non possa applicarsi l’art. 2120 cod. civ., dettato per questi ultimi (Cass. n. 25435/2022 e Cass. n. 24848/2020). Si è precisato che tale assunto è in linea con l’ulteriore principio affermato in tema di redditi di impresa, in base al quale, in ragione del combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. c), e 105 T.U.I.R., possono essere dedotte in ciascun esercizio, secondo il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori delle società’, purché’ la previsione di detto trattamento risulti da un atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifichi anche l’importo: in mancanza di tali presupposti trova applicazione il principio di cassa, come disposto dall’art. 95, comma 5, T.U.I.R. che stabilisce la deducibilità’ dei compensi spettanti agli amministratori delle società’ nell’esercizio nel quale sono corrisposti (Cass. n. 19445/2023 e Cass. n. 26431/2018).

3.2. Tali principi, cui il Collegio intende dare continuità, sono stati di recente ribaditi da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15966 del 07/06/2024, così massimata: “In tema di determinazione dei redditi di impresa, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, in favore dell’amministratore di una società, sono deducibili in ciascun esercizio, secondo il principio di competenza, quando la previsione di detto trattamento risulta da atto scritto, avente data certa anteriore all’inizio del rapporto e con la specificazione anche dell’importo, in assenza del quale si applica il principio di cassa, previsto dall’art. 95, comma 5, del T.U.I.R., che stabilisce la deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori delle società nell’esercizio in cui sono corrisposti” (cfr. anche Cass. 3388/2025.

3.3. La decisione della C.t.r. qui impugnata non si pone in continuità con i suddetti principi. Nonostante l’accertamento incontrastato circa la sussistenza di un atto scritto avente data certa anteriore alla data di inizio del rapporto che prevedeva la misura della quota di TFM in misura pari ad una percentuale dei ricavi, la C.t.r. ha ritenuto che l’art. 105 T.U.I.R., con i limiti quantitativi per la deducibilità fiscale che il comma 1 prevede per il solo T.F.R. dei lavoratori dipendenti, si applicasse anche all’accantonamento del trattamento di fine mandato per gli amministratori.

4. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con conseguente accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.100,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 per cento oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma in data 8 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2025.

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