Massima

La notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato (ex art. 36 bis, D.P.R. n. 600 del 1973) è legittima, anche in assenza della preventiva comunicazione del cosiddetto “avviso bonario”, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria non abbia riscontrato irregolarità o incertezze sulla dichiarazione e abbia proceduto alla liquidazione delle imposte basandosi sui dati contabili direttamente contenuti nella dichiarazione stessa, che il contribuente ben conosceva. Il contraddittorio endoprocedimentale non è infatti invariabilmente imposto (ex art. 6, comma 5, L. n. 212 del 2000) se non sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, condizione non ricorrente necessariamente nei controlli di tipo documentale ai sensi dell’art. 36 bis.

Supporto alla lettura

CARTELLA ESATTORIALE

La cartella esattoriale (o di pagamento) è un atto con il quale l’Agenzia delle Entrate ordina al contribuente il pagamento di un credito vantato da un Ente pubblico entro 60 giorni, decorso il quale potrà procedere ad esecuzione forzata. Si tratta di un documento con cui si fa valere un credito già esistente e, quindi, non ha un autonomo termine di prescrizione a cui riferirsi, infatti se si tratta di una cartella con cui viene ordinato il pagamento di un credito erariale si prescriverà in 10 anni; se si tratta del pagamento di una multa per violazione al Codice della Strada si prescriverà in 5 anni.

Quando si ritiene che la cartella sia illegittima, è possibile utilizzare 3 rimedi:

  • istanza per autotutela: richiesta che il contribuente rivolge direttamente all’Ente creditore illustrando le proprie ragioni e chiedendo l’annullamento del debito. Se la richiesta è fondata, l’Amministrazione provvede alla rimozione dell’atto. Non ci sono limiti procedurali o temporali, infatti l’istanza può essere presentata anche dopo che siano scaduti i termini per il ricorso, l’Amministrazione però ha la facoltà di non accettare le richieste del contribuente, in tal caso non ci sarà possibilità di impugnazione;
  • istanza di sospensione: proponibile solo in determinate ipotesi, e deve essere presentata esclusivamente al Concessionario della riscossione (non all’Ente) entro il termine tassativo di 60 giorni dalla notifica dell’atto, sarà poi l’Ente impositore a rispondere. La risposta potrà essere di accoglimento o di rigetto, ma finchè l’ente non risponde la riscossione rimane sospesa. Nel caso in cui la risposta non arriva entro 220 giorni il debito è annullato di diritto.
  • ricorso all’autorità giudiziaria: bisogna distinguere a seconda della natura del credito e del vizio che si vuole far valere: se si tratta di crediti tributari, l’opposizione va proposta dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni; se si tratta di crediti non tributari e si vuole contestare il merito della pretesa bisogna distinguere tra crediti per sanzioni amministrative (opposizione proposta dinanzi al Giudice di Pace o al Tribunale entro 30 giorni dalla notifica della cartella), crediti di natura previdenziale (opposizione proposta dinanza al Tribunale in funzione del Giudice del Lavoro entro 40 giorni dalla notifica della cartella); se si tratta di crediti non tributari e si vuole fa valere l’estinzione del debito per cause sopravvenute, l’opposizione va proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c; se si vogliono contestare vizi formali dell’atto, a prescindere dalla natura del credito, l’opposizione va proposta ai sensi dell’art. 617 c.p.c. entro 20 giorni dalla notifica al Tribunale in funzione di Giudice dell’Esecuzione del luogo dove risiede il ricorrente.

Tali rimedi non sono alternativi, nel senso che la scelta di uno non esclude la possibilità di utilizzarne anche un altro.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate Riscossione notificava a St.Ni. la cartella di pagamento n. (Omissis) relativa al pagamento della tassa di registro del 2013 per Euro 287,38 e al controllo modello unico del 2015 per Euro 1.059,19

Il contribuente impugnava la cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma.

La Commissione adita, con sentenza n. 8510/2020, depositata in data 28 ottobre 2020, rigettava il ricorso e confermava la pretesa impositiva.

2. Avverso tale pronuncia il contribuente proponeva atto di appello.

Resisteva l’Ufficio con proprie controdeduzioni.

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con sentenza n. 5568/2022, depositata il 1 dicembre 2022, respingeva l’appello del contribuente e confermava la sentenza impugnata.

3. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Le amministrazioni si sono costituite al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.

4. Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 36 bis D.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; per non aver la Corte di giustizia tributaria rilevato che i giudici di primo grado hanno omesso di pronunciarsi in merito alla tassa di registro 2013 contenuta nell’atto impositivo impugnato con il ricorso introduttivo.

1.1. Il motivo è inammissibile.

In sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un “error in procedendo”, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. n. 20373/2008).

L’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda o alla sua estensione non è sindacabile in sede di legittimità con la deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., della violazione dell’art. 112 c.p.c., ma unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione e nei ristretti limiti del vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 34762/2024)

Nel caso di specie risulta evidente dalla lettura della motivazione che la Corte tributaria regionale ha fornito una propria interpretazione, alla luce delle risultanze processuali, della censura formulata e della relativa richiesta, per cui non sussiste alcuna omessa pronuncia in merito alla tassa di registro 2013, prospettando lo stesso ricorrente – nel corpo del motivo – la violazione dei criteri dell’ermeneutica al fine di individuare l’effettiva volontà del ricorrente.

2. Con il secondo motivo si prospetta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1362 e seg. c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte di giustizia tributaria ritenuto non necessaria la comunicazione di cui all’art. 36 bis, comma 3, D.P.R. 600/1973 sul presupposto che l’irregolarità era stata desunta dai dati comunicati con la Dichiarazione Modello Unico.

2.1. Il motivo è infondato.

La notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione del c.d. “avviso bonario” ex art. 36 bis, comma 3, D.P.R. n. 600 del 1973, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; né il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, L. n. 212 del 2000, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo (Cass. n. 33344/2019; Cass. n. 8342/2012).

Come accertato dalla Corte di giustizia tributaria non ricorre un caso di rettifica della dichiarazione, ma l’amministrazione ha proceduto alla liquidazione delle imposte in base ai dati contenuti della dichiarazione, che il contribuente ben conosceva.

3. Con il terzo motivo si prospetta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte di giustizia tributaria condannato l’appellante al pagamento delle spese di lite nonostante l’Ufficio non fosse stato rappresentato in giudizio da un avvocato del libero Foro ma da un proprio Funzionario.

3.1. Il motivo è infondato.

Nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (Cass. n. 1019/2024; Cass. n. 27634/2021).

4. Il ricorso va dunque rigettato.

Non si deve provvedere sulle spese essendosi le amministrazioni costituite solo al fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 29 maggio 2025.

Depositato in cancelleria il 14 settembre 2025.

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