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Cassazione civile sez. trib., 14/05/2025, n. 12865

Massima

In materia tributaria, la mera ricezione della notifica di un avviso di accertamento intestato e diretto esclusivamente a un soggetto giuridico terzo non conferisce al destinatario-ricevente la legittimazione ad impugnarlo in proprio, qualora l’atto non contenga alcuna pretesa tributaria (neppure a titolo solidale o sanzionatorio) direttamente a lui imputata, anche se l’atto stesso gli attribuisca la qualità di rappresentante fiscale o amministratore di fatto della società accertata.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti della società Etablissement Renaredda (d’ora in avanti per sintesi la società), con sede in Vaduz (Lichtenstein), un avviso d’accertamento, relativo all’Ires ed all’Irap di cui all’anno d’imposta 2013, sul presupposto che, pur avendo formalmente sede in Liechtenstein, tale compagine fosse esterovestita ed avesse sede effettiva in Italia, ovvero in Ferrara, presso l’avvocato Bo.An. (d’ora in avanti per sintesi A.B.). Tanto premesso, l’Ufficio ha quindi accertato che la società, nell’anno d’imposta in questione, per effetto della cessione di terreni, aveva realizzato ricavi che non aveva assoggettato né ad Ires né ad Irap, non avendo istituito la contabilità obbligatoria; né presentato le dichiarazioni fiscali ai fini Ires, Irap ed Iva; né, infine, versato all’erario italiano i correlati tributi.

L’atto impositivo, relativo alla pretesa erariale nei confronti della predetta società, contemplava lo stesso A.B. nella qualità di “rappresentante fiscale per soggetto non residente di Etablissement Renaredda” ed a quest’ultimo veniva notificato.

Il medesimo A.B. impugnava l’atto in qualità di “destinatario dell’avviso di accertamento”, notificatogli ma intestato alla società, negando peraltro di essere titolare di alcun potere rappresentativo, di natura formale o sostanziale, di quest’ultima.

L’adita Commissione tributaria provinciale di Ferrara ha accolto il ricorso, accertando l’inesistenza della qualità di amministratore di fatto del ricorrente e dell’esterovestizione della società e ritenendo, di conseguenza, l’inesistenza

della notifica dell’accertamento, effettuata a persona priva di legittimazione processuale nel rappresentare in giudizio la società.

Proposto appello dall’Agenzia delle entrate, la Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha accolto.

Contro tale decisione propone ora ricorso, affidato a sei motivi e supportato da memoria, A.B.

L’Amministrazione si difende con controricorso.

Il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale Michele Di Mauro, con conclusioni scritte, ha chiesto che la Corte, qualora non ritenga di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., rigetti e dichiari inammissibile il ricorso.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono formulati come segue:

1.1. Primo motivo: “Motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360, comma n. 3 e n. 5, c.p.c. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la cessazione della carica di rappresentante fiscale in capo a Bortolazzi fondante l’esistenza della notifica dell’atto impositivo in capo allo stesso. Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.”

1.2. Secondo motivo: “Motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360, comma n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 58, terzo comma, 60,62 del D.P.R. n. 600/1973 e 145 c.p.c.”

1.3. Terzo motivo: “Motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. – Violazione a falsa applicazione dell’art. 2639 c.c. in relazione all’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986”.

1.4. Quarto motivo: ” Motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360, comma n. 3 e n. 5, c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la collocazione all’estero della sede dell’amministrazione”.

1.5. Quinto motivo: “Motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. – Violazione e falsa applicazione degli art. 85 e 109 del TUIR – Omesso esame di un fatto decisivo quale la mancata stipulazione del contratto definitivo tra le parti contrattuali.”

1.6. Sesto motivo: “Motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. – Violazione e falsa degli artt. 1385 e 2697 c.c.”

Si deduce che la sentenza impugnata non sarebbe condivisibile nella parte in cui ha ritenuto valida la notificazione dell’avviso di accertamento effettuata alla società contribuente presso l’abitazione di A.B. in qualità di rappresentante fiscale della società in Italia, avendo la Commissione Tributaria Regionale omesso di considerare che egli non era più rappresentante fiscale della contribuente dal 3 gennaio 2000, come dal medesimo allegato e provato sin dal giudizio di primo grado.

Inoltre, si contesta la sentenza nella parte in cui – con quello che nel ricorso viene definito un “ragionamento invero meramente ipotetico”- ha ritenuto che il fatto stesso della proposizione del ricorso introduttivo da parte di A.B. potesse supportare l’accertamento della sussistenza, in capo al medesimo, del potere rappresentativo della società oggetto dell’avviso, e quindi la validità della notifica dell’atto impositivo.

Si deduce che la CTR sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione degli artt. 58, terzo comma, 60 e 62 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 145 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto valida la notificazione dell’avviso di accertamento effettuata presso l’ abitazione di A.B. in qualità di amministratore di fatto della società, in quanto, ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, la notificazione avrebbe dovuto essere effettuata all’estero presso la sede della società o presso il suo legale rappresentante.

Si deduce che la CTR sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 c.c. in relazione all’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986, nella parte in cui ha ritenuto provato che A.B. fosse amministratore di fatto della società.

Si deduce che la CTR sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986, in quanto le circostanze di fatto evidenziate dalla Commissione non consentirebbero di ritenere configurabile la fattispecie di esterovestizione societaria. Infatti, la CTR avrebbe omesso di considerare gli elementi indiziari allegati e provati dal ricorrente, che porterebbero a escludere l’esterovestizione.

Si deduce che la CTR sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 85 e 109 t.u.i.r., nella parte in cui ha qualificato come ricavi da sottoporre a tassazione le somme percepite dalla società a titolo di acconto sul prezzo in forza del preliminare di compravendita immobiliare, in quanto, in base alle suddette norme, il momento del conseguimento dei ricavi si individuerebbe piuttosto con quello della stipula del negozio definitivo. Inoltre, il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare che dall’anagrafe tributaria e dalle dichiarazioni rese da A.B. sarebbe emerso che il contratto definitivo non sarebbe stato mai stipulato.

Si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1385 e 2697 c.c., in quanto la CTR non avrebbe potuto considerare come ricavi le somme corrisposte dalla società promittente acquirente come acconti, trattandosi di caparra confirmatoria e non essendo provato che il relativo importo non sia stato restituito.

2. Preliminarmente, ritiene il Collegio che, in ragione della peculiarità della fattispecie trattata, sia indispensabile e doveroso d’ufficio individuare quale sia la parte privata del giudizio e se essa, sulla base della qualità vantata (e del sotteso interesse) sin dal ricorso introduttivo, fosse legittimata o meno ad impugnare l’atto impositivo de quo. Si tratta, in sintesi, di verificare quale soggetto abbia impugnato l’atto impositivo, a quale titolo e se, nella veste vantata, fosse legittimato a farlo. La questione si traduce quindi nella verifica della “legitimatio ad causam” (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole (Cass. n. 11284 del 10/05/2010), la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa (Cass. n. 14177 del 27/06/2011; Cass. n. 17092 del 12/08/2016; Cass. n. 7776 del 27/03/2017).

Sebbene si tratti di questione di natura evidentemente preliminare ad ogni ulteriore statuizione che attinga il merito della lite (compresa pertanto quella relativa alla validità della notifica dell’avviso), essa non è stata specificamente trattata e risolta nei giudizi e nelle decisioni dei gradi precedenti, le quali ultime, piuttosto, si sono concentrate sul merito dell’esistenza, o meno, di un potere rappresentativo sostanziale in capo ad A.B. Non fa eccezione, al riguardo, la decisione d’appello qui impugnata, che con una mera argomentazione (definita infatti dallo stesso ricorrente un ragionamento solamente ipotetico), utilizza la circostanza della proposizione del ricorso introduttivo solo come un argomento di conferma, ulteriore ed ex post, dell’accertamento nel merito della sussistenza di poteri rappresentativi della società in capo ad A.B., senza indagare puntualmente in quale veste quest’ultimo abbia impugnato l’atto impositivo e se fosse legittimato a farlo, sulla base della legittimazione vantata dallo stesso ricorrente.

Nella sua specifica consistenza (che va nettamente distinta dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, che si riferisce al merito della causa, ovvero alla fondatezza della domanda) la legittimazione ad causam di A.B. non è stata quindi trattata e decisa nel merito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7925 del 20/03/2019).

3. Nel caso di specie, occorre partire dal dato (incontestato e risultante dalla stessa sentenza impugnata e dalle difese delle parti in questa sede, oltre che dall’avviso d’accertamento presente in atti e richiamato dai litiganti) che l’atto impositivo (pure allegato in atti) era diretto esclusivamente alla società e contemplava A.B. soltanto “nella qualità di rappresentante fiscale per soggetto non residente” di quest’ultima, come risulta dalla stessa intestazione dell’avviso. La pretesa fiscale dell’Agenzia era rivolta, dunque, esclusivamente nei confronti della società.

Dal corpo dell’avviso poteva ricavarsi, al più, l’allegazione dell’attribuzione ad A.B. della qualità di amministratore di fatto della stessa società, ma pur sempre finalizzata al merito della pretesa impositiva (sotto i profili dell’esterovestizione e dell’assunta sede effettiva in Italia, presso A.B.), che è rivolta comunque, in conclusione, dall’avviso nei confronti della sola società (alla quale la stessa Agenzia, nell’accertamento, riconosce soggettività giuridica in quanto anstalt).

La necessaria conseguenza di tale premessa è che la legittimazione ad impugnare l’atto impositivo intestato alla società spettava a quest’ultima.

Altrettanto pacifico (e risultante comunque dalle difese delle parti in questa sede, oltre che dagli atti processuali richiamati dai litiganti), è che il ricorso introduttivo, come le controdeduzioni in appello e lo stesso ricorso per cassazione, è stato proposto da A.B. dichiaratamente in qualità di destinatario dell’avviso di accertamento intestato alla società, ovvero quale mero destinatario e recettore della notifica di un atto impositivo che, per le stesse deduzioni del ricorrente, non lo attinge. Soprattutto, per quanto qui più interessa, i già menzionati atti processuali di A.B. (in conformità, del resto, alla procura al difensore) non contengono alcuna spendita del nome della predetta società e non allegano l’esercizio di alcun potere di rappresentanza di quest’ultima.

Del resto, l’allegazione dell’esercizio, nei richiamati atti processuali, di un potere rappresentativo della società neppure potrebbe trarsi, nel caso concreto, dal contenuto delle difese di A.B. Per quanto infatti non sia necessario che l’esternazione del potere rappresentativo avvenga in modo esplicito, poiché la spendita del nome non richiede l’uso di formule sacramentali e può evincersi anche dal contenuto dell’atto compiuto dal rappresentante, nel caso di specie il ricorrente stesso non solo ha formalmente escluso di agire in nome e per conto della società nel proporre il ricorso introduttivo, ma ha impostato preliminarmente le sue difese proprio sull’assenza del relativo potere e sull’estraneità dell’atto nei suoi confronti.

Tanto premesso, deve quindi concludersi che A.B. ha proposto, in nome proprio, il ricorso introduttivo impugnando un atto impositivo che era diretto nei confronti di un diverso soggetto giudico (la società) e che non lo attingeva direttamente, con conseguente difetto di legittimazione ed inammissibilità dello stesso ricorso.

4. Peraltro, è ben noto a questo Collegio che un isolato precedente di legittimità ha riconosciuto la legittimazione ad impugnare, in proprio, l’atto impositivo, diretto alla società, da parte del soggetto che ne abbia ricevuto la notifica, e solo per il fatto di averla ricevuta, anche se contesti di esservi legittimato (Cass. n. 4622 del 26-02-2009, non massimata). Tuttavia, si tratta di un precedente isolato e comunque superato da altre pronunce che, ad esempio, hanno negato la legittimazione e l’interesse ad impugnare della persona fisica che, in un atto di accertamento, è indicata erroneamente come legale rappresentante della società di capitali cui lo stesso è rivolto (Cass. n. 9282 del 07/06/2012; Cass. n. 7763 del 20/03/2019); oppure hanno escluso che la notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale sia stato emesso sia idonea, in linea generale, a far assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e quindi di soggetto legittimato a proporre l’opposizione, quando, in base ai dati forniti dal decreto stesso, eventualmente integrati da quelli emergenti dal ricorso, non sussista alcun dubbio sulla diversa identità del debitore ingiunto (Cass. n. 7523 del 18/06/1992; Cass. n. 9911 del 05/05/2011); o hanno negato la legittimazione dell’amministratore di fatto (che pure, in quel caso, agiva in nome della società) ad impugnare l’avviso di accertamento rivolto alla società per obbligazioni tributarie ad essa relative, trattandosi di situazioni giuridiche soggettive alle quali egli è estraneo (Cass. n. 26702 del 12/09/2022; Cass. n. 29474 del 21/10/2021).

Per quanto si tratti di fattispecie eterogenee sotto il profilo sostanziale e processuale, se ne ricava, per quanto qui può interessare, un principio comune, secondo cui la mera ricezione della notificazione di un atto impositivo, inequivocabilmente diretto ed intestato ad un soggetto diverso, non legittima, di per sé sola, il ricevente all’impugnazione dell’atto notificatogli.

5. Vi è ancora da chiedersi se la legittimazione di A.B. in proprio possa discendere dal supposto interesse derivante dalla circostanza che nell’atto in questione gli vengono attribuite le qualità di rappresentante fiscale e (nei termini in cui si è già detto) di amministratore di fatto della società, sulle quali potrebbero innestarsi le eventuali conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’ ipotetico inadempimento di doveri connessi a tali rapporti con il fisco. Al riguardo, deve tuttavia ribadirsi che nell’atto in questione non vengono imputate alla persona fisica ricorrente né obbligazioni a titolo d’imposta, neppure in via solidale, né sanzioni. È pertanto nei confronti di eventuali atti impositivi, sanzionatori o di riscossione, diretti nei suoi confronti, che lo stesso A.B. potrà indirizzare eventualmente la propria impugnazione, al fine di contestare il rapporto di rappresentanza e la propria responsabilità. Pertanto, come questa Corte ha già rilevato, l’interesse del (supposto) amministratore ad impugnare in proprio l’avviso d’accertamento emesso nei confronti della società non può individuarsi dall’esposizione dell’amministratore a responsabilità o sanzioni per violazioni imputabili alla società amministrata, trattandosi di ipotesi di responsabilità che trovano la loro fonte immediata nella violazione di obblighi inerenti alla carica rivestita e che vanno accertati dall’Ufficio, in presenza dei relativi presupposti, con specifico atto, avverso il quale l’amministratore potrà svolgere le sue difese, ivi inclusa quella relativa all’insussistenza della supposta qualità (cfr., in motivazione, Cass. n. 29474 del 21/10/2021, cit.).

6. Concludendo, può quindi affermarsi che “la persona fisica alla quale sia stato notificato un atto impositivo, il quale non rechi nessuna pretesa tributaria (neppure in via solidale o sanzionatoria) nei suoi confronti, essendo intestato e diretto esclusivamente nei riguardi di una società, non è legittimata ad impugnarlo in proprio, neanche al fine di negare di possedere la qualità ed il potere rappresentativo in ragione dei quali gli è stata indirizzata la notifica dello stesso atto”.

7. Pertanto, pronunziando sul ricorso, deve rilevarsi l’inammissibilità del ricorso introduttivo di A.B. per difetto di legittimazione di quest’ultimo.

Restano assorbiti i motivi di ricorso.

La sentenza impugnata va quindi cassata, senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, ultimo periodo, c.p.c.

In considerazione del rilievo d’ufficio dell’inammissibilità, le spese, tanto del merito quanto di legittimità, si compensano integralmente.

 

P.Q.M.

Pronunziando sul ricorso, dichiara l’inammissibilità del ricorso introduttivo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2025.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2025.

Allegati

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