Massima

Integra vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. e in violazione degli artt. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e 111, comma 6, Cost., la decisione del giudice tributario che, in un contesto di accertamento di maggiori ricavi dissimulati da un incremento di saldo debitorio verso i soci non giustificato e non tracciabile, omette di rendere percepibile il fondamento della propria determinazione.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

In base all’analisi svolta sulle dichiarazioni presentate dalla società ai fini IRES, IRAP e IVA per il 2009, nonché sui dati esposti a bilancio dalla società contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha rideterminato, per l’annualità in parola, il reddito d’impresa dell’ente, stimandolo più elevato rispetto a quello dichiarato, e ha conseguentemente recuperato i maggiori importi IRES dovuti, le somme IRAP collegate al maggior valore della produzione netta e, infine, l’ammontare dovuto a titolo di IVA sul maggior imponibile.

Secondo la prospettazione erariale, si è constatato un incremento del saldo debitorio verso i soci non suffragato da un regime di pubblicità, né giustificato dalle capacità reddituali dei soci, anche in ragione della non tracciabilità dei finanziamenti, che dissimulavano, in realtà, maggiori ricavi non dichiarati. In particolare, con riferimento al 2009, da un saldo iniziale di debiti verso i soci per Euro 3.500,00 si era passati a un debito complessivo di Euro 297.900,00 per finanziamenti infruttiferi, ancorché mancasse la documentazione giustificativa inerente alla tracciabilità delle risorse finanziarie con le quali i soci avevano finanziato la società, e considerata l’indisponibilità, in capo ad essi, di risorse così consistenti da supportare versamenti a titolo di finanziamento di quell’entità a favore della società.

L’avviso di accertamento n. (Omissis), in cui sfociò la verifica fiscale, fu impugnato dalla società. La CTP di Bari accolse solo parzialmente il ricorso. Successivamente, la CTR della Puglia, ancora una volta in parziale accoglimento dell’impugnazione del contribuente, ha rideterminato l’ammontare della pretesa fiscale. L’Agenzia ha avanzato ricorso per cassazione, incentrato su due motivi. A sua volta, la contribuente ha promosso ricorso per cassazione, articolato anch’esso su due censure. Sia l’Agenzia, sia il contribuente, hanno reciprocamente resistito con controricorsi ai ricorsi avversari.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del proprio ricorso, l’Agenzia denuncia, da un lato, l’erroneità e contraddittorietà della motivazione in fatto e in diritto, in violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992, essendo la sentenza d’appello connotata da una motivazione erronea e contraddittoria; dall’altro lato, la nullità della sentenza per erronea valutazione dei fatti e delle prove, ex art. 2697 c.c., e per violazione dell’art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973.

Con il secondo motivo del proprio ricorso, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., dell’art. 85 del TUIR, nonché dell’art. 2 del D.Lgs. n. 385 del 1993 e della Delibera CICR del 3 marzo 1994, avendo la CTR fatto malgoverno dei criteri di riparto degli oneri probatori.

Con il primo motivo del proprio ricorso, la società denuncia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per motivazione apparente, in ragione della carente condivisione parziale delle ragioni dell’Ufficio e della connotazione conseguentemente “autoreferenziale” della motivazione stessa, che non consente di individuare il proprio contenuto logico-giuridico e la propria ratio decidendi.

Con il secondo motivo del proprio ricorso, la società denuncia il malgoverno delle regole in materia di accertamento induttivo e di onere della prova, disciplinati dal combinato disposto dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c., in quanto la CTR ha omesso, nonostante gli artt. 115 e 116 c.p.c., di valutare le prove offerte dalla ricorrente, in ordine alla documentazione bancaria che evidenziava la tracciabilità dei finanziamenti dei soci.

I due ricorsi vanno esaminati congiuntamente, vagliando in principalità il primo motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate e il primo motivo del ricorso – da qualificarsi incidentale, essendo immediatamente successivo – della contribuente.

Ambedue le censure si appalesano fondate. La sentenza impugnata si caratterizza per una motivazione acritica e meramente assertiva, priva di un chiaro percorso logico-giuridico. Non risulta comprensibile in che modo il giudice d’appello abbia determinato l’ammontare della ragione di credito dell’erario, né sulla base di quali criteri abbia optato per una quantificazione piuttosto che un’altra.

In particolare, la CTR non ha chiarito il metodo adottato per la valutazione del saldo dei debiti verso i soci, né ha illustrato il collegamento tra le somme ritenute non tracciabili e i maggiori ricavi accertati. L’assenza di motivazione sui criteri seguiti e sulle ragioni concrete che hanno condotto alla fissazione della somma dovuta rende la sentenza incomprensibile, impedendo alle parti di verificare la correttezza del giudizio.

La motivazione si limita ad affermazioni generiche, prive di riferimenti specifici agli elementi probatori emersi nel giudizio, e non chiarisce il metodo seguito per la valutazione del saldo dei debiti verso i soci, né il nesso tra le somme ritenute non tracciabili e i maggiori ricavi accertati. Tale carenza argomentativa impedisce alle parti di verificare la correttezza del giudizio e si traduce in una motivazione apparente, come delineata dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass., 3 novembre 2016, n. 22232), la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla per error in procedendo quando, pur essendo graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con ipotetiche congetture.

Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza nomofilattica, il vizio di motivazione meramente apparente ricorre quando il giudice, in violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 111, comma 6, Cost., omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare su quali prove ha fondato il proprio convincimento e di chiarire le argomentazioni che lo hanno condotto alla determinazione assunta (Cass., 8 settembre 2022, n. 26477).

L’insufficienza e inadeguatezza motivazionale che connota la sentenza integra una violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2697 c.c., nonché un vizio di motivazione apparente ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., travolgendo la sentenza stessa e postulando la necessità di un nuovo esame e di una nuova determinazione dell’ammontare del credito erariale, da effettuarsi con un giudizio conforme ai principi di logica, completezza e chiarezza motivazionale.

Pertanto, i due motivi esaminati vanno accolti, con assorbimento delle restanti censure articolate nel ricorso principale e in quello incidentale.

La sentenza va, per l’effetto, cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia. 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, assorbite le altre censure. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti. Rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria l’8 settembre 2025.

Allegati

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