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Cassazione civile sez. trib., 08/08/2025, n. 22934

Massima

In tema di notifica della cartella di pagamento a mezzo posta elettronica certificata (PEC), l’articolo 26, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973, nella versione applicabile ratione temporis, deroga espressamente l’applicazione dell’articolo 149-bis c.p.c., non rendendo quindi necessaria la sottoscrizione digitale dell’atto allegato (sia esso nativo digitale o copia informatica di documento cartaceo); l’eventuale irritualità della notifica è comunque sanata dalla proposizione del ricorso per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’articolo 156, comma 2, c.p.c., data la natura sostanziale e non processuale della cartella.

Supporto alla lettura

CARTELLA ESATTORIALE

La cartella esattoriale (o di pagamento) è un atto con il quale l’Agenzia delle Entrate ordina al contribuente il pagamento di un credito vantato da un Ente pubblico entro 60 giorni, decorso il quale potrà procedere ad esecuzione forzata. Si tratta di un documento con cui si fa valere un credito già esistente e, quindi, non ha un autonomo termine di prescrizione a cui riferirsi, infatti se si tratta di una cartella con cui viene ordinato il pagamento di un credito erariale si prescriverà in 10 anni; se si tratta del pagamento di una multa per violazione al Codice della Strada si prescriverà in 5 anni.

Quando si ritiene che la cartella sia illegittima, è possibile utilizzare 3 rimedi:

  • istanza per autotutela: richiesta che il contribuente rivolge direttamente all’Ente creditore illustrando le proprie ragioni e chiedendo l’annullamento del debito. Se la richiesta è fondata, l’Amministrazione provvede alla rimozione dell’atto. Non ci sono limiti procedurali o temporali, infatti l’istanza può essere presentata anche dopo che siano scaduti i termini per il ricorso, l’Amministrazione però ha la facoltà di non accettare le richieste del contribuente, in tal caso non ci sarà possibilità di impugnazione;
  • istanza di sospensione: proponibile solo in determinate ipotesi, e deve essere presentata esclusivamente al Concessionario della riscossione (non all’Ente) entro il termine tassativo di 60 giorni dalla notifica dell’atto, sarà poi l’Ente impositore a rispondere. La risposta potrà essere di accoglimento o di rigetto, ma finchè l’ente non risponde la riscossione rimane sospesa. Nel caso in cui la risposta non arriva entro 220 giorni il debito è annullato di diritto.
  • ricorso all’autorità giudiziaria: bisogna distinguere a seconda della natura del credito e del vizio che si vuole far valere: se si tratta di crediti tributari, l’opposizione va proposta dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni; se si tratta di crediti non tributari e si vuole contestare il merito della pretesa bisogna distinguere tra crediti per sanzioni amministrative (opposizione proposta dinanzi al Giudice di Pace o al Tribunale entro 30 giorni dalla notifica della cartella), crediti di natura previdenziale (opposizione proposta dinanza al Tribunale in funzione del Giudice del Lavoro entro 40 giorni dalla notifica della cartella); se si tratta di crediti non tributari e si vuole fa valere l’estinzione del debito per cause sopravvenute, l’opposizione va proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c; se si vogliono contestare vizi formali dell’atto, a prescindere dalla natura del credito, l’opposizione va proposta ai sensi dell’art. 617 c.p.c. entro 20 giorni dalla notifica al Tribunale in funzione di Giudice dell’Esecuzione del luogo dove risiede il ricorrente.

Tali rimedi non sono alternativi, nel senso che la scelta di uno non esclude la possibilità di utilizzarne anche un altro.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE

1. Gap Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 1535/27/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso la cartella di pagamento con la quale, ai sensi dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/72, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione Mod. Unico 2011, per l’anno 2010, veniva recuperata l’eccedenza Iva portata in detrazione (risultante dalla dichiarazione Mod. Unico 2010, per il 2009, presentata tardivamente e, dunque, considerata omessa), irrogando anche le relative sanzioni.

2. In punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) era infondata la riproposta doglianza relativa all’assunto vizio di notifica della impugnata cartella di pagamento eseguita, in data 17.6.2014, a mezzo pec, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 602/73, come modificato dall’art. 38, comma 4, lett. b) del D.L. n. 78 del 2010, conv. con modificazioni dalla L. n. 122 del 2010, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge; al riguardo, la disciplina speciale di cui all’art. 26 cit. conteneva una esplicita deroga all’applicabilità dell’art. 149-bis c.p.c., per cui l’invocata sottoscrizione digitale del provvedimento contenuto come allegato nella PEC, contemplata da tale articolo era espressamente esclusa; peraltro, la proposizione del ricorso produceva l’effetto di sanare ex tunc ogni vizio di notificazione atteso il raggiungimento dello scopo dell’atto ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c.; 2) nel merito, la cartella era legittima in quanto, oltre alla tardività della presentazione della dichiarazione Mod. Unico 2010, da considerarsi omessa, per cui Gap Srl non poteva riportare il credito maturato nel 2009 trasferendolo nel periodo di imposta successivo (è richiamata Cass. n. 10674/2010), la contribuente non aveva ottemperato alla richiesta dell’Ufficio in data 25.2.15 (successivamente alla presentazione del ricorso introduttivo) di produzione di documentazione – contabile ed extracontabile – utile ai fini della ricostruzione e del riconoscimento del credito Iva 2009 derivante dalla tardiva (e, dunque, omessa) dichiarazione, per cui, in forza della preclusione dell’art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/73, non poteva essere vagliato alcun documento né tantomeno i registri Iva afferenti al 2009.

3. Resistono, con controricorso, l’Agenzia delle entrate, e l’Agenzia delle entrate-Riscossione.

CONSIDERATO CHE

1. Preliminarmente va rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione passiva in capo all’Agenzia delle entrate-Riscossione, non avendo quest’ultima rivestito – come si evince dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa – la qualità di parte processuale nei precedenti gradi di merito. Il Collegio ritiene di dover dare seguito al consolidato principio di diritto secondo il quale “Nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa od ove tale costituzione non abbia riguardato il diritto oggetto di cessione” (tra le molte, Cass., sez. 1, sentenza n. 6774 del 01/03/2022, Rv. 664106-01).

2. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., “errores in giudicando e in procedendo” per violazione e falsa applicazione degli artt. 21,22,23-bis, e 23-ter, del D.Lgs. n. 82 del 2005 (CAD), in combinato con l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 e gli artt. 125,156,149-bis, comma 2, c.p.c., per avere la CTR ritenuto infondata l’eccezione di vizio di notifica della cartella di pagamento in questione, priva della sottoscrizione digitale, essendo l’adempimento previsto dall’art. 149-bis c.p.c. asseritamente escluso dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973; ciò sebbene il requisito della firma digitale di un atto digitale nativo – qual era la cartella di pagamento in questione – incidesse sulla validità sostanziale dello stesso, essendo previsto a pena di nullità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 82 del 2015, in combinato con l’art. 21-septies della legge n. 241/90, con conseguente impossibilità di notifica come originale telematico senza la sottoscrizione digitale (in formato PDF senza sottoscrizione né in formato Cades né in formato Pades), notifica non suscettibile di sanatoria in forza della proposta impugnazione; al riguardo, ad avviso della ricorrente, la deroga all’art. 149-bis c.p.c. – prevista dall’art. 60 del D.P.R. n. 600/73, richiamato dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/73 – era limitata ai soli soggetti titolati ad eseguire la notifica e alle regole concernenti il perfezionamento della stessa senza che dalla suddetta deroga parziale potesse conseguire la inapplicabilità alle cartelle esattoriali della disciplina del CAD e, in particolare, dell’art. 21 dello stesso unitamente all’art. 149-bis, comma 2, c.p.c. (che prevedeva proprio l’obbligatorietà della sottoscrizione telematica dell’atto allegato al messaggio di posta elettronica certificata).

2.1. In disparte il profilo di inammissibilità per contenere il mezzo in esame un’indistinta unificazione e sovrapposizione delle ragioni di ricorso per cassazione riconducibili al vizio di violazione di legge e a quello di error in procedendo, il motivo è infondato.

2.2. L’art. 26, comma secondo, del D.P.R. n. 602 del 1973 come aggiunto dall’art. 38, comma 4, lettera b), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nel testo applicabile ratione temporis, prevede che la notifica della cartella di pagamento “può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’articolo 149-bis del codice di procedura civile”. A sua volta l’art. 1, lett. f), del D.P.R. n. 68 del 2005, definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”. La lett. i-ter), dell’art. 1 del Dlgs. 7/3/2005 n. 82 (CAD) – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 – poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre la lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 -, nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”.

2.3. Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”) (v. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 30948 del 2019).

2.4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso (Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30948; Cass., Sez. VI, 27 novembre 2020, n. 27181; Sez. 5, Ordinanza n. 18387 del 2024). Ciò in quanto la cartella di pagamento non deve essere necessariamente sottoscritta da parte del funzionario competente, posto che l’esistenza dell’atto non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; tanto più che, a norma dell’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con decreto ministeriale, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass., Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31605; Cass., Sez. V, 29 agosto 2018, n. 21290; Cass., Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 26053; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25773; Cass., Sez. V, 27 luglio 2012, n. 13461).

2.5. Tale principio è stato ribadito da questa Corte la quale ha affermato che, in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, l’art. 12 del D.P.R. n. 602 del 1973, non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27561; Cass. sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3940 del 2021).

2.6. In secondo luogo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, a norma dell’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all’art. 34 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 44/2011, in conformità agli standard previsti dal Regolamento (UE) n. 910/2014 e alla relativa decisione di esecuzione (UE) della Commissione n. 1506/2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf” (Cass., Sez. V, 19 dicembre 2023, n. 35541; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2023, n. 801; Cass., Sez. VI, 15 giugno 2022, n. 19216; Cass., Sez. VI, 13 aprile 2022, n. 12016; Cass. Sez. U., 27 aprile 2018, n. 10266).

2.7. Peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato in tema che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna in via telematica dell’atto ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. S.U. 28/09/2018, n. 23620; Cass. S.U. 18/04/2016, n. 7665). E proprio con riferimento alla notifica di una cartella di pagamento, si è chiarito che la natura sostanziale e non processuale dell’atto non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché il rinvio operato dall’art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 602 del 1973, all’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c. (Cass. 05/03/2019, n. 6417; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 30948 del 2019).

2.8. Nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel disattendere la censura di irritualità della notifica a mezzo pec della cartella impugnata atteso che, nella specie, la notifica – senza, peraltro, accertare, in punto di fatto, se fosse stato allegato al messaggio PEC un documento informatico, quale duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), ovvero una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”), il che comporta la non attinenza al decisum del motivo nella parte in cui la ricorrente ha assunto la nullità insanabile della notifica, via pec, della cartella, quale “atto digitale nativo” e della relativa copia informatica, priva di sottoscrizione digitale – era stata effettuata in data 17.6.2014, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 602/73, come modificato dall’art. 38, comma 4, lett. b) del D.L. n. 78 del 2010, conv. dalla legge n. 122 del 2010, con espressa deroga all’applicabilità dell’art. 149-bis c.p.c. e, dunque, all’adempimento ivi previsto della sottoscrizione digitale dell’allegato (sia esso duplicato informatico di atto originario telematico o c.d. copia informatica) al messaggio di posta elettronica certificata; peraltro, il giudice di appello, conformemente alla giurisprudenza delle S.U. sopra richiamata (Cass. S.U. 28/09/2018, n. 23620; Cass. S.U. 18/04/2016, n. 7665), non ostando la natura sostanziale e non processuale dell’atto impugnato all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, ha ritenuto che la proposizione del ricorso introduttivo aveva prodotto l’effetto di sanare ex tunc ogni vizio di notificazione atteso il raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156, comma 2 c.p.c.

3. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., “errores in giudicando e in procedendo” per violazione e falsa applicazione degli artt. 36-bis e 32 del d.PR n. 600/73, per avere la CTR ritenuto legittima la cartella di pagamento in questione in quanto oltre alla tardività della presentazione della dichiarazione Mod. Unico 2010, per l’anno 2009, da considerarsi omessa, con conseguente impossibilità da parte della contribuente di riportare l’assunto credito maturato in tale annualità al periodo di imposta successivo, la società non aveva ottemperato all’invito dell’Ufficio, successivo alla proposizione del ricorso introduttivo, di produzione della documentazione utile per la verifica del vantato credito Iva 2009, con conseguente impossibilità di vagliare a tali fini, ogni documento e, in particolare, i registri Iva afferenti al 2009, in forza della preclusione di cui all’art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/73; ciò sebbene, ad avviso della ricorrente, la detrazione di un’eccedenza Iva maturata in un’annualità per la quale non era stata presentata la dichiarazione annuale non integrasse un errore materiale, con conseguente impossibilità di un controllo automatico e necessaria emissione di un motivato avviso di rettifica ai fini del disconoscimento del credito e dell’iscrizione della conseguente maggiore imposta (è richiamata Cass. n. 19860 del 2016); peraltro, la CTR avrebbe ritenuto di non potere vagliare, ai fini della verifica dell’assunto credito Iva, i documenti depositati in giudizio dalla ricorrente (registri Iva afferenti al 2009), applicando, nella specie, la preclusione di cui all’art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/73 (per non avere la società aderito alla richiesta effettuata dall’Amministrazione, in data 25 febbraio 2015, nel corso del giudizio di primo grado di produzione di documentazione utile ai fini della verifica del vantato credito Iva) sebbene tale disposizione non potesse applicarsi ad un procedimento giudiziario già pendente, presupponendo un contraddittorio preventivo, colpevolmente disatteso dal contribuente; in particolare, nella specie, la società non aveva ricevuto alcun invito a fornire chiarimenti e/o documentazione ai sensi dell’art. 32 cit. prima della notifica della cartella de qua né tantomeno vi era prova che, con la comunicazione del 25 febbraio 2015, la contribuente fosse stata avvertita della decadenza di cui alla disposizione erroneamente applicata dal giudice di appello.

3.1. Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati, in parte per una ragione giuridica diversa da quella prospettata nel ricorso; ciò in base al principio secondo cui “la Corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto” (ex multis, Cass., sez. 3, n. 18775 del 28/07/2017; sez. 3, n. 17015 del 28/06/2018).

3.2. Nella sentenza impugnata, la CTR ha ritenuto nel merito legittima la cartella di pagamento in questione emessa a seguito di controllo automatizzato in quanto 1) stante la tardività della presentazione della dichiarazione per il 2009, da considerarsi omessa, la contribuente non poteva recuperare il credito maturato in quella annualità trasferendolo a un periodo di imposta successivo (prima ratio decidendi); 2) la società contribuente non aveva prodotto la documentazione – contabile ed extracontabile – utile alla ricostruzione del credito Iva, richiestale dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 600/73, con invito del 25.2.2015, nel corso del giudizio di primo grado, per cui, al fine del riconoscimento del detto credito, non poteva essere vagliato alcun documento prodotto e in particolare i registri Iva afferenti al 2009, in forza della preclusione contenuta nell’art. 32, comma 4, cit. (seconda ratio decidendi).

3.3. Questa Corte, a sezioni unite, ha affermato che: “in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento, potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 del D.P.R. n. 633 del 1972, fatta salva, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione, a cura del contribuente, che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (sentenza n. n. 17758 del 08/09/2016); “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (sentenza n. n. 17757 del 08/09/2016).

3.4. Nella sentenza impugnata, avuto riguardo alla prima ratio decidendi, la CTR, se si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere legittimo il ricorso da parte dell’Ufficio ad una procedura automatizzata nell’ipotesi – come nella specie- di tardiva e, dunque, omessa dichiarazione Iva per l’anno 2009, ha mal governato gli stessi nell’affermare – pur versando nella c.d. cornice biennale – che la contribuente non “poteva recuperare il credito maturato in quella annualità trasferendolo nel periodo di imposta successivo”.

3.5. Quanto alla censura nella parte in cui aggredisce la seconda ratio decidendi afferente l’asserita inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/73, dei documenti (in particolare, registri Iva afferenti al 2009) prodotti in giudizio al fine della verifica della sussistenza del credito portato in detrazione nel 2010, dispone in proposito l’art. 32, primo comma, n. 3, D.P.R. n. 600/1973 che l’Amministrazione finanziaria può “invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti” precisando al quarto comma che “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa”.

È, poi, fatta salva per il contribuente, come previsto al quinto comma del medesimo articolo, che “le cause di inutilizzabilità previste dall'(allora) terzo comma non operano nei confronti del contribuente” che dimostri “di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”. La norma in oggetto sanziona la mancata produzione dei documenti nella fase amministrativa con l’inutilizzabilità della relativa documentazione prodotta nel successivo giudizio, associando una preclusione processuale al comportamento del contribuente di inadempimento a un obbligo di collaborazione con l’Ufficio (Sez. 5, Ordinanza n. 6092 del 2022; Cass., Sez. V, 24 novembre 2020, n. 26646; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2022, n. 2847). Peraltro, l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 D.P.R. 29/09/2973, n. 600, solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (cfr. Sez. 5, Sentenza, 27/09/2013, n. 22126, Rv. 628934-01; Sez. 5, Sentenza, 10/01/2013 n. 453, Rv. 624728-01; conf. n. 11765 del 26/05/2014 e n. 27069 del 27/12/2016; Cass., Sez. V, 24 novembre 2020, n. 26646).

È stato specificato che, inviato il questionario (ex art. 32, quarto comma, D.P.R. 29/09/1973, n. 600) – che assolve la funzione di assicurare, in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria, un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni – è necessario che l’Amministrazione, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse; trattandosi di obblighi cd. “di informativa”, conseguenti ai doveri di correttezza e collaborazione, grava sull’Amministrazione l’onere di provare il rispetto di tale sequenza procedimentale (costituita dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza), senza che sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario (cfr. Sez. 5, Sentenza, 27/09/2013, n. 22126).

Dal rispetto di tali obblighi informativi la prima conseguenza che ne discende è che l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa e non trova applicazione l’art. 58, comma 2, D.Lgs. 31/12/1992, n. 546, che consente alle parti nuove produzioni documentali nel corso del giudizio tributario di appello, rispetto a documenti su cui si è già prodotta la decadenza (cfr. Sez. 5, Sentenza 14/05/2014, n. 10489, Rv. 630815-01; Cass., Sez. V, 24 novembre 2020, n. 26646). Tuttavia, laddove tale obbligo è stato rispettato ed in virtù della sua reciprocità, che impone alle parti la diligenza nell’informare l’altra parte e nell’informarsi circa le situazioni rilevanti del rapporto giuridico, l’eventuale dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, non sempre preclude, a norma dell’art. 52, comma 5, D.P.R. 26/10/1972, n. 633, la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa. Ed invero, tale preclusione si verifica solo laddove vi sia stata da parte del contribuente una dichiarazione mendace e dolosa e, cioè, diretta ad impedire l’ispezione documentale in violazione dei richiamati principi di lealtà e correttezza (cfr., Sez. 5, Sentenza, 09/11/2016 n. 22743; Sez. U., 25/02/2000 n. 45); viceversa, in virtù degli stessi principi, il contribuente può sempre contrastare efficacemente i risultati dell’accertamento induttivo con la produzione in giudizio dei documenti che non era stato in grado di esibire in precedenza per causa a lui non imputabile (forza maggiore, fatto del terzo, caso fortuito).

3.6. Nella sentenza impugnata, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere legittima la cartella di pagamento per “il fatto rilevante che l’Ufficio, dopo avere esaminato le doglianze espresse nel ricorso introduttivo…(aveva) provveduto ad inviare alla stessa, in data 25.2.2015, la richiesta della documentazione contabile ed extracontabile utile ai fini della ricostruzione e del riconoscimento del credito iva 2009 derivante da dichiarazione omessa ma la GAP non (aveva) inteso produrre tale documentazione, sottraendosi così alla necessaria verifica. Conseguentemente… non poteva essere vagliato alcun documento né i registri Iva afferenti al 2009, a causa della preclusione contenuta nell’art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/73” (seconda ratio decidendi); con ciò facendo erroneamente applicazione di una preclusione processuale (circa l’inutilizzabilità della documentazione e, in particolare, dei registri Iva afferenti al 2009 prodotti in giudizio al fine di comprovare l’esistenza del credito Iva utilizzato in detrazione) che – in disparte la necessaria verifica del rispetto degli obblighi informativi quanto all’avvertimento in ordine alle conseguenze della mancata ottemperanza dell’invito a produrre i documenti – l’art. 32, cit. ricollega al comportamento del contribuente di inadempimento a un obbligo di collaborazione con l’Ufficio concretantesi nella mancata produzione dei documenti richiesti nella fase amministrativa, presupposto che, nella specie, non ricorreva essendo incontestato l’invio, in data 25.2.2015, della richiesta dell’Amministrazione a produrre “la documentazione contabile ed extracontabile utile ai fini della ricostruzione e riconoscimento del credito Iva 2009 derivante dalla dichiarazione omessa” e, dunque, non già in sede amministrativa ma nel corso del giudizio di primo grado.

4. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Agenzia delle entrate- Riscossione per difetto di legittimazione passiva, mentre, quanto al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, va accolto il secondo motivo nei termini indicati in motivazione, rigettato il primo, con cassazione della sentenza impugnata- in relazione al motivo come accolto- e rinvio, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Agenzia delle Entrate-Riscossione; accoglie il secondo motivo di ricorso, nei termini indicati in motivazione, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata- in relazione al motivo come accolto – e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;

Così deciso in Roma il 26 giugno 2025.

Depositata in Cancelleria l’8 agosto 2025.

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