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Cassazione civile sez. trib., 08/07/2024, n. 18505

Massima

In materia tributaria, è legittimo l’avviso di accertamento che, richiamando il processo verbale di constatazione, contesta l’omessa tenuta dei registri IVA qualora le operazioni commerciali accertate superino la soglia di legge, presupposto per l’obbligo della contabilità ordinaria; erronea è la decisione del giudice di merito che annulli l’atto impositivo per insufficiente motivazione senza valutare tale superamento.

Supporto alla lettura

PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE

Il processo verbale di constatazione (p.v.c.) è un atto redatto dall’Amministrazione Finanziaria a conclusione dello svolgimento di attività istruttorie, quali: accessi, ispezioni e verifiche. Si tratta di  un atto istruttorio redatto a conclusione delle attività di verifica. La disciplina di riferimento è l’articolo 12 comma 4 dello Statuto del contribuente.

Il p.v.c. deve essere sottoscritto dal contribuente o dal suo rappresentante legale, e deve dare immediata evidenza di alcuni elementi, quali:

  • il fatto oggetto dell’attività istruttoria;
  • le circostanze in cui opera l’azienda;
  • gli atti di controllo formali e sostanziali compiuti;
  • le contestazioni e i rilievi;
  • le sanzioni applicabili per le fattispecie contestate;
  • il riepilogo delle violazioni e delle sanzioni riferite ai singoli tributi per ogni periodo d’imposta contestato;
  • le eventuali segnalazioni da indirizzare ad altri organi e Amministrazioni competenti.

La parte conclusiva del processo verbale di constatazione deve contenere:

  • le dichiarazioni spontanee del contribuente;
  • le indicazioni riguardanti la documentazione ritirata ed allegata al verbale;
  • il potere dell’Amministrazione Finanziaria di eseguire ulteriori attività di indagine fino alla scadenza del termine previsto per legge;
  • le informazioni di garanzia per il contribuente;
  • l’indicazione degli atti allegati al verbale.

La mancanza di motivazione oppure l’illogicità dei rilievi contenuti nel p.v.c., non minacciano la legittimità dell’atto in sé, in quanto trattasi di un atto endoprocedimentale che non incide sulla sfera giuridica o patrimoniale del contribuente. Al contrario, potrebbero costituire cause di illegittimità dell’atto impositivo, successivo al processo verbale di constatazione, nel caso in cui quest’ultimo si limitasse a fare riferimento al contenuto istruttorio e alla motivazione del p.v.c..

Essendo un atto redatto da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, il p.v.c. fa piena prova fino a querela di falso, ai sensi dell’articolo 2700 c.c., limitatamente alle dichiarazioni rese e alle attività svolte in presenza dei verbalizzanti.

Relativamente alle dichiarazioni contenute all’interno del p.v.c., va riconosciuto valore indiziario, e, qualora tali dichiarazioni venissero rafforzate da ulteriori elementi di prova, potrebbero comunque concorrere al convincimento del giudice.

Sulla base del processo verbale di constatazione l’ufficio competente può emettere l’avviso di accertamento (non prima di 60 giorni, termine che è condizione di legittimità dell’atto, ed entro il quale il contribuente potrà presentare richieste e osservazioni) per il recupero delle imposte evase e per l’irrogazione delle conseguenti sanzioni.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

RILEVATO CHE:

Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. staccata di Lecce, è stato accolto l’appello proposto da (omissis) nella qualità di legale rappresentante della Associazione Premio Barocco ONLUS avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce n. 1359/17 che ha rigettato il ricorso introduttivo della contribuente, volto ad ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento n. (omissis) con cui sono state irrogate sanzioni.

Con tale atto impositivo, emesso sulla base delle risultanze di un p.v.c. della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate ha applicato per l’anno d’imposta 2010 una sanzione per l’omessa tenuta di libri acquisti IVA e dei registri obbligatori.

Il giudice di prime cure ha confermato l’atto impositivo, disattendendo sia le questioni preliminari, tra l’altro di nullità dell’avviso per motivazione per relationem ad atti non allegati, sia le difese nel merito. Il giudice d’appello, istruita la causa attraverso consulenza tecnica, ha riformato la decisione, ritenendo che non fosse stata data dimostrazione, né sulla base della motivazione dell’avviso di accertamento né del p.v.c. sottostante, per quali delle operazioni contestate l’associazione svolgesse anche attività commerciale, con assorbimento di ogni altra questione.

Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi, cui replica la contribuente con controricorso.

 

CONSIDERATO CHE:

1. Preliminarmente, va dato atto dell’eccezione formulata in controricorso di inammissibilità dei motivi di censura dell’Agenzia in quanto asseritamente diretti ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, eccezione scrutinabile solo unitamente alla disamina delle singole censure.

2. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia prospetta, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’articolo 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dell’articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 2697 del cod. civ., da parte della sentenza impugnata nel capo in cui afferma: “Sennonché, osserva la Corte come nella specie, sulla base della documentazione in atti, non sia possibile stabilire se, per gli anni d’imposta sottoposti a verifica, l’Associazione abbia o meno realizzato operazioni di carattere commerciale. Infatti, il PVC prima e l’avviso di accertamento poi, non esprimono alcuna motivazione, chiara ed inequivoca, in ordine alla circostanza se l’Associazione de qua sia considerata come Ente Commerciale in toto, o se solo per talune operazioni; in quest’ultima evenienza nulla si dice in ordine a quali operazioni siano assunte come aventi carattere commerciale e non commerciale. L’avviso di accertamento impugnato si limita sul punto ad affermare, in maniera del tutto apodittica (p.3), che “L’associazione verificata, per le annualità sottoposte a verifica, ha operato anche come impresa commerciale (..)”, ripetendo testualmente l’analoga asserzione contenuta al f. 3 del PVC, in tal modo non permettendo alla parte di conoscere appieno gli elementi posti a base dell’atto impositivo impugnato, dovendosi pertanto formulare in questa sede una valutazione di assoluta insufficienza motivazionale dell’avviso di accertamento in oggetto, tale da integrare il vizio di nullità dello stesso. 5. I restanti motivi di gravame restano assorbiti”.

3. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., la censura motivazione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello per l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, con riferimento al fatto storico dato dall’essere l’avviso di accertamento motivato in relazione alla natura mista – commerciale della ONLUS con ricavi extra limite di legge.

4. I due motivi non sono inammissibili, in quanto, a differenza di quanto prospettato dalla controricorrente, complessivamente considerati non mirano alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, bensì a far valere una precisa violazione di legge. Secondo la ricorrente il giudice d’appello ha confuso l’obbligo di motivazione degli avvisi di accertamento con la necessità di comprovare in giudizio le circostanze in essa esplicitate, e non ha tenuto conto del fatto che le operazioni commerciali svolte nell’anno precedente a quello di riferimento, il 2009, era stata superata la soglia che faceva scattare l’obbligo di scritture contabili la cui omissione ha determinato l’applicazione delle sanzioni.

5. I motivi sono fondati.

5.1. In tema di avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui all’art. 7 della l. n. 212 del 2000 è limitato ai documenti non conosciuti né ricevuti dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 14723 del 10/07/2020), ossia atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 29968 del 19/11/2019).

5.2. Orbene, nel caso di specie l’avviso di accertamento, come già accertato dal giudice di primo grado, fa riferimento inequivoco ad un atto ben noto al contribuente, il p.v.c. del 26.3.2016 con il quale è stata contestata la natura mista dell’associazione, ritenuta svolgere anche attività commerciale. Il richiamo al p.v.c. sottende la dichiarata condivisione delle conclusioni all’accertamento condotto dalla GdF di Gallipoli, cosicché attraverso tale richiamo l’Agenzia ha fatto proprie le valutazioni già compiute dall’organo verificatore, condividendone anche la motivazione.

5.3. In ricorso è stato riprodotto tale p.v.c., noto all’associazione in quanto elevato nei suoi confronti e sottoscritto per ricezione da (omissis), per conto dell’associazione costituita in giudizio. Al documento è allegato anche il prospetto di tutte le fatture contestate emesse dall’associazione (cfr. p.12 ricorso) nell’anno di imposta, per un importo lordo di Euro 469.050, ossia quelle per cui è stata contestato all’associazione lo svolgimento di attività commerciale. Chiaramente le sole fatture contestate fanno riferimento ad operazioni ritenute dall’Amministrazione finanziaria esclusivamente commerciali e non di natura mista e dunque incerta.

Non v’è dubbio sul fatto che le operazioni poste in essere dall’associazione nel periodo di imposta 2009 (rilevanti per determinare il volume di affari ai fini della tenuta delle scritture contabili a regime ordinario nel 2010) e, dopo l’accertamento, ritenute non commerciali non sono state considerate. Infatti, l’elenco non contempla tutte le fatture emesse dall’associazione nel periodo di imposta: ad es. mancano le nn. 10/2009, 12/2009, 13/2009, 15/2009 ecc. Il riferimento nell’avviso di accertamento e nel sottostante p.v.c. alla natura mista – commerciale è dunque chiaramente riferito non alle singole operazioni contestate di cui all’elenco suddetto, ciascuna delle quali è contestata proprio perché ritenuta esclusivamente commerciale, bensì all’attività complessivamente svolta dalla contribuente nel periodo d’imposta.

6. Alla luce di quanto precede, viene in rilievo la premessa di inquadramento normativo correttamente presente nella sentenza impugnata secondo la quale “in ordine alla tenuta dei libri e della documentazione contabile per l’anno in causa (2010), secondo il CTU la materia è disciplinata dall’art. 18 del D.P.R. 600/1973, richiamato dall’art. 20 dello stesso decreto, che, nella formulazione vigente per il periodo intercorrente fra il 28.6.2001 e il 13.5.2011, determina il limite massimo dei ricavi, conseguiti nel periodo d’imposta precedente a quello di riferimento, superati i quali diviene obbligatoria l’adozione della contabilità ordinaria, limite posto ad Euro 309.874,14 (pari a Lire 600.000.000)”.

Tuttavia, alla luce di tale premessa il giudice d’appello non ha tratto le corrette conclusioni partendo dal fatto che gli importi delle fatture contestate come commerciali ammontano ad Euro 469.050 (cfr. elenco p.12 ricorso), fatto potenzialmente decisivo oggetto di discussione tra le parti e, dunque, non ha stabilito se la natura commerciale delle operazioni oggetto dell’elenco – ciascuna delle quali contestata come commerciale e non come mista – è dimostrata in giudizio. In quest’ultimo caso, infatti, verrebbe superata la soglia ai fini delle scritture contabili obbligatorie e dunque è legittima la sanzione irrogata. Tale questione giuridica è oggetto di un separato processo iscritto all’RGN 16473/23 e, dal momento che il giudizio relativo al tributo 2009 e dunque alla natura delle operazioni contestate, è oggetto di separata cassazione con rinvio da parte di questa Corte con necessità di riesame da parte del giudice d’appello, vi è necessità di un rinnovato esame in sede di merito anche della questione della spettanza delle sanzioni che dipende da tale accertamento. 7. La sentenza impugnata va perciò cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto e quelli rimasti assorbiti, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso in Roma il 12 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria l’8 luglio 2024.

Allegati

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