(omissis)
RILEVATO CHE:
1. (omissis), sottufficiale della Guardia di Finanza in quiescenza dal 1 gennaio 1999, richiedeva all’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di C il rimborso della maggior IRPEF versata in misura del 100%, anziché del 50% giusta quanto previsto dall’art. 51, comma 6, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sulla retribuzione differita costituita dal reddito di lavoro dipendente per gli anni 2008 – 2009 – 2010 – 2011 – 2012, corrispondente alle aliquote dell’indennità di aeronavigazione percepite ai sensi dell’art. 59 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, come modificato dall’art. 19 della legge 23 marzo 1983, n. 78, nel testo vigente ratione temporis.
2. Formatosi il silenzio-rifiuto sull’istanza in questione, (omissis) proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti la quale, con sentenza n. 739/03/2014, depositata il 22 settembre 2014, lo accoglieva, compensando le spese.
3. Interposto gravame dall’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 85/06/2018, pronunciata il 23 novembre 2017 e depositata in segreteria il 1 febbraio 2018, accoglieva l’appello, rigettando il ricorso proposto in primo grado e condannando il contribuente alla rifusione delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (omissis), sulla base di due motivi (ricorso notificato il 28 agosto 2018).
Non si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate, rimasta intimata.
5. Con ordinanza interlocutoria del 18 ottobre 2023 è stata disposta l’acquisizione dei fascicoli dei gradi di merito.
Con successivo decreto del 22 maggio 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 13 settembre 2024, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380-bis 1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
1. Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso (omissis) eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 6, del D.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la disposizione suddetta, nel prevedere che le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare, dovesse applicarsi anche alle relative pensioni, trattandosi di retribuzione differita e comunque di prestazioni aventi carattere reddituale.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso di deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.
Rileva, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. aveva del tutto eluso l’esame dell’eccezione, sollevata in grado di appello, circa l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’appello perché il relativo atto era stato inviato per la notificazione oltre i sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di primo grado.
2. Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
Appare opportuno, per ragioni di ordine logico-giuridico, esaminare preliminarmente il secondo motivo di ricorso, che deve ritenersi infondato.
Va innanzitutto osservato che, al di là della rubrica del motivo, e del riferimento all’ipotesi di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., il ricorrente denuncia non già l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, bensì l’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per tardività, sollevata dal contribuente nel giudizio di secondo grado.
Sul punto, va innanzitutto rilevato che questa Corte può riqualificare il motivo di impugnazione, quando, dal corpus motivazionale dello stesso, si evince chiaramente qual è il vizio lamentato, in applicazione del principio di diritto ai sensi del quale “L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato” (Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036; Cass. 10 settembre 2020, n. 18770).
Così riqualificato il motivo, dunque, va osservato tuttavia che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (si v. da ultimo Cass. 21 febbraio 2024, n. 4656; Cass. 29 dicembre 2023, n. 36531).
Su questa base, occorre rilevare come il giudice di secondo grado, pronunciandosi direttamente sul merito della questione, abbia ritenuto implicitamente infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello.
Nonostante quindi la mancata espressa statuizione sull’eccezione formulata, l’implicita decisione sul punto esclude comunque il vizio di omessa pronuncia.
Va osservato, peraltro, che, dalla documentazione versata in atti, si evince unicamente l’apposizione di un timbro postale, con la data del 24 marzo 2015, sul plico di invio dell’atto di appello, ma non vi è certezza che tale timbro riguardi la data di invio, non essendo allegata anche la relativa ricevuta di spedizione del plico medesimo; conseguentemente, da tale plico non può evincersi la tardività dell’invio dell’atto di appello (la cui scadenza era il 23 marzo 2015). Dalla distinta di spedizione prodotta in sede di appello si evince, anzi, che il relativo piego raccomandato è stato spedito in data 20 marzo 2015, e quindi l’atto è comunque da considerare tempestivo (v., in argomento, Cass. 29 settembre 2017, n. 22878, secondo la quale “nel giudizio tributario, la prova del perfezionamento della notifica a mezzo posta dell’atto d’appello per il notificante nel termine di cui all’art. 327 c.p.c., è validamente fornita dall’elenco di trasmissione delle raccomandate recante il timbro datario delle Poste, non potendosi attribuire all’apposizione di quest’ultimo su detta distinta cumulativa altro significato se non quello di attestarne la consegna all’ufficio postale” (v. anche Cass. 10 luglio 2024, n. 18837; Cass. 18 febbraio 2020, n. 4151).
1.2. Anche il primo motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 27 luglio 2016, n. 15585; Cass. 21 dicembre 2015, n. 25642; Cass. 28 giugno 2013, n. 16319), che il Collegio condivide, secondo i quali l’agevolazione tributaria prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 6, consistente nella limitazione della tassabilità al cinquanta per cento, si applica esclusivamente all’indennità di volo (di cui al D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 59, ratione temporis vigente) erogata al personale in servizio, e non anche al trattamento in favore del personale in quiescenza, anche se commisurato all’indennità di volo fruita nel corso dell’attività lavorativa; detta agevolazione si giustifica, invero, soltanto per la particolarità del lavoro svolto a bordo di un aereo e non può essere estesa, oltre la previsione della norma, anche all’aumento della pensione e dell’indennità una tantum prevista per quei militari che abbiano percepito le indennità di aeronavigazione e di volo (Cass. 6 marzo 2023, n. 6680; Cass. 8 marzo 2017, n. 5965).
3. Consegue il rigetto integrale del ricorso.
Nulla per le spese, stante la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate.
Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2024.