RILEVATO CHE:
1. L’Agenzia delle entrate notificava alla società TRE STELLE Srl la cartella di pagamento n. (…), emessa a seguito di controllo automatizzato ex artt. 36bis D.P.R. n. 600/1973 e 54bis D.P.R. n. 633/1972, del modello Unico SC/2012, relativo all’anno di imposta 2011. In particolare, la società aveva eseguito il pagamento della prima rata di un piano di rateizzo (in 20 rate) senza rispettare il termine previsto dall’art. 3bis del D.Lgs. n. 462/1997; di qui la decadenza della contribuente dal beneficio e l’emissione del ruolo oggetto di contestazione.
La società proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina, invocando i principi di buona fede, collaborazione, correttezza e lealtà previsti dallo statuto del contribuente.
La CTP accoglieva l’impugnazione annullando il ruolo.
2. L’Ufficio proponeva gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione Staccata di Latina, che confermava la decisione della CTP.
3. Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidandosi ad un unico motivo.
La contribuente ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso.
È stata fissata l’adunanza camerale per il 23/09/2025.
La contribuente, in data 16 giugno 2025, depositava istanza volta alla declaratoria della cessazione della materia del contendere, avendo provveduto al pagamento delle 20 rate del piano di rateizzo dell’importo indicato nell’avviso bonario.
CONSIDERATO CHE:
1. Va esaminata – subito superando l’altra eccezione preliminare di invalidità della notifica del ricorso, in quanto eseguita a mezzo pec dall’Avvocatura dello Stato da un indirizzo non risultante dai pubblici registri, invalidità sanata, come ammesso dalla contribuente, dalla sua costituzione – l’eccezione di inammissibilità del ricorso stante la formulazione del vizio di cui al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. sia sotto il profilo della “violazione di legge” sia sotto il profilo della “falsa applicazione di legge”.
L’equivoca formulazione del vizio impedirebbe, infatti, una adeguata difesa della società.
L’eccezione non ha pregio.
In disparte la considerazione che nella specie la contribuente si è ampiamente e compiutamente difesa, sul punto questa Corte costantemente afferma che:
– le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello relativo all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (Cass. 13/10/2020, n. 22084);
– il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 05/08/2020, n. 16700);
– l’intitolazione del motivo di ricorso in termini sia di “violazione di legge” sia di “falsa applicazione di norme di diritto” non comporta ex se l’inammissibilità del ricorso, quando, come nella specie, dal contenuto dello stesso emerga chiaramente l’indicazione delle norme che si assumono violate, anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26/07/2024, n. 20870) e sia, quindi, possibile sussumere il vizio denunciato sotto l’una o l’altra ipotesi.
2. Va, poi, delibata l’istanza di cessazione della materia del contendere.
L’istanza non può essere accolta, sia perché i modelli F24 allegati dalla contribuente non comprovano il pagamento dei relativi importi (né l’indicazione degli stessi nelle scritture contabili può costituire prova dell’avvenuto pagamento) sia perché, pur volendo ammettere che siano stati pagati, il quantum complessivamente corrisposto è inferiore all’importo richiesto con la cartella di pagamento.
3. Ciò premesso, con l’unico motivo di ricorso l’Ufficio lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) del codice di procedura civile” per avere la CTR erroneamente ritenuto la contribuente non decaduta dal beneficio della rateazione, nonostante il tardivo pagamento della prima rata. In particolare, la formulazione dell’art. 3bis D.Lgs. 462/1992, applicabile nella fattispecie (ovvero quella introdotta dall’art. 10, comma 13-decies del D.L. 201/2011), prevedeva la decadenza dalla rateazione non solo in caso di mancato pagamento della prima rata ma anche in caso di pagamento tardivo (ossia oltre il termine di 30 gironi dalla comunicazione di irregolarità) della stessa e l’iscrizione a ruolo delle somme dovute (detratte quelle versate).
Il motivo è fondato.
L’art. 3bis del D.Lgs. n. 462/1997, nella formulazione vigente ratione temporis (ovvero, quella risultante dalla modifica operata dall’art. 10, comma 13decies D.L. 201/2011) prevedeva che:
– l’importo della prima rata deve essere versato entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione (comma 3);
– il mancato pagamento della prima rata entro il termine di cui al comma 3, ovvero anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dalla rateazione e l’importo dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena, dedotto quanto versato, è iscritto a ruolo (comma 4).
La norma era chiara nell’ancorare, per quanto rilevi nella specie, la decadenza dal beneficio al mancato pagamento della prima rata entro il termine previsto, parificando, quindi, ai fini della decadenza l’ipotesi in cui la prima rata non fosse affatto pagata e l’ipotesi (ricorrente nella specie) in cui essa fosse corrisposta oltre il termine fissato dalla legge. Nell’una e nell’altra ipotesi la conseguenza era la medesima, ovvero la decadenza dal beneficio della rateazione.
Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la norma, anche nell’originaria formulazione che prevedeva come causa di decadenza dal beneficio unicamente “il mancato pagamento di una sola rata”, andava applicata anche all’ipotesi di tardivo pagamento della rata (Cass. 13/11/2017, n. 26776).
4. La CTR, ritenendo nella specie non verificatasi la decadenza dal beneficio, avendo la contribuente pagato la prima rata, anche se in ritardo (oltre il termine previsto dalla legge), non ha fatto corretta applicazione dei principi appena esposti.
La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lazio-Sezione Staccata di Latina, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame alla luce dei principi sopra esposti, ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio-Sezione Staccata di Latina, perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2025.
