RILEVATO CHE:
1. L’Agenzia delle entrate notificò a De.Mi., dirigente medico, un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione, ai fini Irpef per l’anno 2010, maggiori redditi che assumeva percetti dal contribuente a diverso titolo, per complessivi Euro 145.466,64.
Si trattava, in particolare: (a) dell’importo di Euro 1.603,00, percepito quale reddito da lavoro autonomo prima del rilascio di autorizzazione allo svolgimento di attività professionale “intramoenia”; (b) dell’importo di Euro 14.210,00, quale reddito assimilato a quello da lavoro dipendente derivante dall’attività intramuraria svolta in seguito all’autorizzazione; (c) per il residuo, di reddito da sottoporre a tassazione separata, in quanto pervenuto al contribuente in ottemperanza di una sentenza del Tribunale di Roma, che gli aveva riconosciuto il diritto all’accredito dell’importo nominale di una borsa di studio (oltre ad interessi) per la frequenza di un corso quadriennale di specializzazione in ginecologia.
Il De.Mi. impugnò l’avviso innanzi alla C.T.P. di Salerno, che rigettò il ricorso.
2. Il successivo appello del contribuente fu respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali rilevarono, quanto alle contestazioni sub (a) e (b), che l’accertamento dei maggiori redditi, ottenuto previo accesso a documentazione bancaria, onerava il contribuente della prova di giustificare la provenienza delle somme versate, invero non fornita perché del tutto mancante rispetto ad alcuni importi ed intrinsecamente non credibile rispetto ad altri.
Quanto al restante addebito, poi, osservarono che il Tribunale di Roma aveva riconosciuto le somme al De.Mi. non già a titolo di “borsa di studio”, bensì quale “adeguata remunerazione” per l’attività di collaborazione nell’assistenza sanitaria prestata nel contesto della frequentazione obbligatoria del corso di specializzazione, in attuazione della direttiva CEE n. 82 del 26 luglio 1982 e che, dunque, la natura retributiva dell’emolumento giustificava la ripresa a tassazione del maggior reddito.
3. De.Mi. ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
4. Il primo motivo è rubricato “Eccezione di nullità della sentenza per l’error in procedendo commesso dai giudici di seconde cure, per omessa pronuncia su punti decisivi della controversia. Falsa applicazione dell’art. 50, c. 1, L. e) del D.P.R. 917/86”.
Il ricorrente, premesso che la disposizione evocata equipara i redditi da attività intramuraria a quelli da lavoro dipendente, disponendo che il medico li attesti mediante apposita Certificazione Unica, assume che, nel caso di specie, “l’Ufficio poteva verificare, anziché ipotizzare, mediante un controllo del modello presentato dall’ASL… se nell’anno d’imposta 2010 fossero stati corrisposti ulteriori redditi per l’attività intramuraria”.
Da tanto fa derivare l’illegittimità della scelta erariale di presumere che alcune operazioni in entrata derivassero da sue attività professionali, omettendo di considerare che invece, come allegato e provato, si trattava di contributi erogati da AGEA (Agenzia per l’erogazione in agricoltura) ai suoi familiari, ovvero a semplici operazioni di giroconto.
1.1. Il motivo, per come formulato, è inammissibile sotto diversi profili.
In primo luogo, la censura contiene promiscuamente la deduzione di falsa applicazione di disposizioni di legge, di nullità della sentenza per imprecisato error in procedendo e di omessa valutazione di un fatto decisivo e controverso, senza adeguata indicazione di quale errore, tra quelli contestualmente dedotti, sia riferibile ai singoli vizi denunziati.
Tali ultimi, invece, devono essere sempre ricondotti ad uno di quelli tipicamente indicati dall’art. 360, comma primo, num. 1), cod. proc. civ., poiché in mancanza è impedita un’adeguata identificazione del devolutum e si dà luogo, invece, all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità” (così Cass., sez. U, n. 26242/2014; conformi, fra le altre, Cass. n. 14317/2016; Cass. n. 3141/2019; Cass. n. 13657/2019; Cass. n. 36881/2021).
1.2. Ancora, il motivo non rivolge alcuna specifica critica alla sentenza d’appello, poiché il ricorrente si limita a censurare la condotta dell’amministrazione accertatrice.
Al riguardo, questa Corte ha costantemente ritenuto l’inammissibilità, per violazione del principio di specificità, di motivi rivolti direttamente verso l’avviso di accertamento, che non si confrontino minimamente con la sentenza impugnata (così, da ultimo e fra le numerose altre, Cass. n. 18774/2025).
Peraltro, e sempre con riferimento al necessario rispetto del medesimo principio, il motivo fa riferimento ad atti non indicati specificamente, che non richiama fra gli allegati al ricorso né localizza all’interno del fascicolo di merito, e dei quali tantomeno riproduce il contenuto.
1.3. Infine, e sotto un diverso profilo, il motivo è inammissibile perché si risolve nella richiesta a questa Corte di riesaminare il materiale probatorio già apprezzato dalla C.T.R. nello scrutinio dei motivi di gravame attinenti agli esiti degli accertamenti bancari.
In particolare, e come già accennato, i giudici regionali hanno espressamente chiarito, quanto all’affermata riconducibilità di parte dei versamenti a sussidi per attività agricola dei familiari del contribuente, che non si comprende la ragione per la quale essi fossero stati erogati solo a quest’ultimo, e che le ulteriori argomentazioni difensive erano rimaste sfornite di prova.
Il ricorrente, dunque, sollecita una rivalutazione di tali apprezzamenti nel merito, evidentemente estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
2. Il secondo motivo è rubricato “Eccezione di nullità della sentenza impugnata per l’error in procedendo commesso dai giudici di seconde cure, per falsa applicazione dell’art. 6 del D.Lgs. n. 257/91”.
Secondo il ricorrente, la C.T.R. avrebbe omesso di valutare che la disposizione evocata prevede e regola il diritto a percepire una borsa di studio per il periodo di specializzazione post-laurea.
Inoltre, avrebbe errato nell’interpretare la sentenza del Tribunale di Roma, che “solo impropriamente” aveva utilizzato il termine “adeguata remunerazione”, ma, in realtà, faceva espresso riferimento al citato art. 6, inequivoco nel prevedere che, per il periodo di specializzazione, fosse corrisposta una borsa di studio.
3. Il terzo motivo è rubricato “Eccezione di nullità della sentenza per l’error in procedendo commesso dai giudici di seconde cure, per falsa applicazione dell’art. 4 della legge 476/1984, degli art. 6, c. 6 e 8 c. 2 della legge 398/89 e dell’art. 6 del D.Lgs. n. 257/91”.
La censura ricalca il tenore della precedente, seppur con richiamo a diverse fonti normative, ove è stabilito che all’importo in questione si applica un regime di esenzione Irpef, in termini confermati anche da diversi documenti di prassi della stessa amministrazione finanziaria.
Ribadisce inoltre, anche sotto tale profilo, che la C.T.R. avrebbe male interpretato la sentenza del Tribunale di Roma, omettendo di considerare che quest’ultimo aveva ritenuto applicabile l’art. 6 del D.Lgs. n. 257/91 “quand’anche ciò dovesse comportare deroga al principio secondo il quale la legge non ha, di regola, effetto retroattivo”.
4. Infine, il quarto motivo è rubricato “Eccezione di nullità della sentenza impugnata per l’error in procedendo commesso dai giudici di seconde cure, per falsa applicazione dell’art. 6 c. 2 del D.P.R. 917/86”.
Il motivo è articolato in forma consequenziale alle due censure che lo precedono.
Esso, infatti, è volto a contestare la ripresa a tassazione dell’importo accreditato a titolo di interessi sulla somma riconosciuta al De.Mi. in sede giudiziale, quale effetto diretto della qualifica di quest’ultima come borsa di studio.
4.1. I motivi, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono fondati.
4.2. Tutte le censure, seppur da diversa visione prospettica, sottopongono a questa Corte il medesimo quesito: se la pretesa erariale attenga, in effetti, a un importo tassabile, in quanto percetto dal contribuente a titolo di remunerazione, ovvero se, come contrariamente assume il ricorrente, detto importo goda di un particolare regime di esenzione Irpef, trattandosi di borsa di studio attribuita per la specializzazione post-laurea.
La pronunzia impugnata ha aderito alla tesi erariale, osservando che il Tribunale di Roma, nel riconoscere al De.Mi. l’importo in questione all’esito di apposito contenzioso, affermò che si trattava di “adeguata remunerazione per un’attività di collaborazione nell’assistenza sanitaria per la frequenza obbligatoria ai corsi di specializzazione medica”, in attuazione della direttiva CEE n. 82 del 26 luglio 1982.
Nella sua statuizione, si legge sempre nella sentenza d’appello, il Tribunale aveva richiamato la sentenza n. C-131/1997 della Corte di Giustizia europea, che stabiliva l’obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici specialistici solo per le specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri; quindi, rilevato che la norma nazionale di attuazione della direttiva CEE era intervenuta soltanto nel 1991, e non poteva avere applicazione retroattiva, aveva risolto la questione ravvisando un inadempimento dello Stato per mancato adeguamento dell’ordinamento nazionale, con conseguente riconoscimento di una somma di denaro “equivalente alla adeguata remunerazione” e, quindi, avente natura retributiva.
4.3. La ricostruzione operata dalla C.T.R. è errata.
Nel dare attuazione alla direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982 – ove era stabilito, per gli Stati Membri, un obbligo di adeguata remunerazione dei periodi di frequenza obbligatoria dei corsi di specializzazione da parte dei medici – l’art. 6 del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, ha previsto, al comma 1, che “(a)gli ammessi alle scuole di specializzazione… in relazione all’attuazione dell’impegno a tempo pieno della loro formazione, è corrisposta, per tutta la durata del corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione specialistica, una borsa di studio”.
Il comma 5 della stessa norma, relativo al regime fiscale di tale corresponsione, ha poi operato un espresso rinvio all’art. 4 della L. 13 agosto 1984, n. 476, il quale, nel disciplinare le borse di studio per la frequenza dei corsi di dottorato di ricerca e dei corsi di perfezionamento e specializzazione, ne prevede espressamente l’esenzione “dall’imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche”.
Dunque, dando attuazione della menzionata direttiva CEE, il legislatore italiano ha stabilito che la “adeguata remunerazione” del periodo di specializzazione ha luogo attraverso la corresponsione di una borsa di studio, che, in conformità alla riserva di competenza in favore degli Stati membri della disciplina delle imposte dirette, ha assoggettato a regime fiscale di esenzione Irpef.
4.4. La sentenza del Tribunale di Roma, richiamata in più punti dal ricorrente e allegata al ricorso, si è confrontata con tale norma, esaminandone anzitutto la genesi storica.
Il Tribunale ha così osservando che il D.Lgs. n. 257/1991 è stato introdotto dal legislatore nazionale dopo che, con sentenza del 7 luglio 1987 resa nella causa C-49/86, la Corte di Giustizia CE aveva dichiarato il Governo italiano inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo, per non aver adottato, nel termine prescritto, le disposizioni necessarie a conformare il proprio ordinamento alla direttiva CEE n. 82/76.
La stessa pronunzia ha poi menzionato ulteriori e successive decisioni della Corte di Giustizia, intervenuta a chiarire il contenuto di tale obbligo; fra queste, la sentenza 25 febbraio 1999 resa nella causa C-131/97 (attinente alla specifica materia), ove è affermato, fra l’altro che “il giudice nazionale è comunque tenuto, quando applica disposizioni di diritto interno precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle alla luce della lettera e dello spirito della direttiva stessa”; lo stesso giudice, pertanto, deve “accertare se l’importo della remunerazione adeguata” può essere “riconosciuto sulla base del diritto interno”, ovvero “quando ciò non sia possibile, riconoscere ai singoli la possibilità di agire per il risarcimento dei danni”.
In quest’ottica, quindi, e con richiamo alla medesima decisione, il Tribunale di Roma ha evidenziato che “la Corte di Giustizia ha precisato che una possibile forma di risarcimento del danno consiste nell’applicazione retroattiva e completa delle misure della direttiva 82/76”.
Su tale premessa, dopo aver rilevato che l’art. 8, comma 2, del D.Lgs. n. 257/1991 prevedeva che le disposizioni di recepimento della direttiva si applicassero a decorrere dall’anno accademico 1991-92, il Tribunale ha così disapplicato detta ultima previsione, statuendo espressamente che andava “riconosciuto ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione nel periodo 1982-1991 il diritto a percepire la remunerazione prevista dall’art. 6 del decreto legislativo n. 257”.
4.5. All’esito di tale percorso ricostruttivo del complesso normativo che ha originato il contributo in esame, emergono indicazioni inequivocabili circa la natura di quest’ultimo.
Esso, in particolare, si fonda su un titolo giudiziale che ha disposto l’accredito al contribuente di un importo per il quale il legislatore aveva previsto la totale esenzione Irpef, previa disapplicazione, per contrasto con l’ordinamento unionale, del requisito temporale previsto dallo stesso legislatore per la sua corresponsione.
Da tale ricostruzione si è discostata la sentenza impugnata, che ha affermato la natura retributiva dell’emolumento senza ulteriormente indagare sui decisivi aspetti connessi al relativo regime fiscale.
In accoglimento dei motivi, pertanto, tale sentenza va cassata, con rinvio al giudice a quo affinché, in diversa composizione, provveda al complessivo riesame della pretesa erariale alla luce dei rilievi qui svolti.
Il giudice del rinvio provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al secondo, terzo e quarto motivo, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania – sezione staccata di Salerno.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema di cassazione, il 24 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2025.
