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Cassazione civile sez. trib., 06/10/2025, n. 26776

Massima

Il credito erariale relativo al tributo principale (come l’IRPEF) si prescrive nell’ordinario termine decennale ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., in quanto l’obbligazione tributaria, pur se consistente in una prestazione annuale, ha carattere autonomo e unitario e non rientra nella previsione estintiva quinquennale ex art. 2948, comma 1, n. 4, cod. civ.

Supporto alla lettura

PRESCRIZIONE E DECADENZA CREDITI TRIBUTARI

In materia tributaria la normativa individua frequentemente termini di decadenza, mentre raramente menziona la prescrizione, per la quale valgono in generale le regole civilistiche.

Generalmente, in ambito tributario si parla di decadenza con riferimento a:

  • potere di acquisto;
  • potere di liquidazione;
  • potere di iscrizione a ruolo;
  • diritto al rimborso da parte del contribuente.

L’”infruttuoso decorso del termine”, idoneo a determinare la decadenza, può consistere o nella mancata conclusione di un procedimento, se si tratta dell’Amministrazione finanziaria, o nella omissione di un comportamento attivo, qualora si tratti del contribuente. In entrambi i casi, l’applicazione di questa particolare sanzione prevista dall’ordinamento deve conseguire ad un accertamento.

Mentre sarà soggetto a prescrizione il diritto di credito già definitivamente sorto e non ancora attuato per l’inadempimento del debitore (sia esso privato contribuente, sia l’Amministrazione finanziaria). In via generale può affermarsi che la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio, e ad essa si applicano gli istituti della sospensione e interruzione dell’ordinaria disciplina civilistica. Per quanto riguarda i termini, questi, variano da tributo a tributo, decorrono dalla data di notifica della cartella di pagamento o dal momento in cui l’avviso di accertamento è divenuto definitivo.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. Equitalia Sud Spa, cui è succeduta l’Agenzia delle Entrate Riscossione, notificava il 23.10.2014 a Re.Ma. l’intimazione di pagamento n. Omissis, avente ad oggetto i tributi dell’Irpef e del Diritto Annuale spettante alla Camera di Commercio, in relazione agli anni 2000 e 2001.

2. La contribuente impugnava l’atto esattivo, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, proponendo plurime censure, procedimentali e di merito, ed affermando tra l’altro l’intervenuta prescrizione dei pretesi crediti tributari. La CTP riteneva che la prescrizione si fosse effettivamente compiuta, ed in conseguenza annullava l’intimazione di pagamento.

3. L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita dai primi giudici, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale confermava che la prescrizione era maturata in relazione a quanto richiesto quale Diritto annuale spettante alla Camera di Commercio, mentre reputava la prescrizione non maturata con riferimento al tributo dell’Irpef. Riformava pertanto la decisione di primo grado, accogliendo parzialmente l’impugnativa dell’Incaricato per la riscossione e compensando le spese di lite in relazione ad entrambi i gradi del giudizio di merito.

4. La contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione assunta dalla CTR, affidandosi a quattro motivi di impugnazione. L’Amministrazione finanziaria resiste mediante controricorso.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la contribuente contesta la nullità della sentenza pronunciata dal giudice del gravame, in conseguenza della violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, perché la CTP aveva espressamente deciso circa la mancata produzione di documentazione idonea a provare la notificazione di atti interruttivi della prescrizione, ed il punto non è stato specificamente criticato dall’Amministrazione finanziaria, formandosi il giudicato in materia.

2. Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione degli artt. 2712 e 2719 cod. civ., e dell’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, per non avere la CTR rilevato l’inutilizzabilità della documentazione relativa alla cartella esattoriale presupposta prodotta da controparte, essendo state depositate soltanto fotocopie, espressamente contestate, anche in relazione alla relata di notificazione.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere il giudice dell’appello rilevato l’inammissibilità dell’appello introdotto dall’Amministrazione finanziaria, perché meramente riproduttivo delle censure proposte nel primo grado del giudizio, senza indicare perché la sentenza della CTP fosse errata.

4. Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.Lgs. n. 472 del 1997, degli artt. 28 e 39 della legge n. 689 del 1981, e degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., per avere il giudice del gravame erroneamente affermato che trovi applicazione la prescrizione decennale dei crediti tributari anche in relazione a sanzioni ed interessi.

5. Con il primo motivo di ricorso la contribuente contesta la nullità della sentenza del giudice del gravame per non aver rilevato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’Incaricato per l’esazione, perché la CTP aveva espressamente deciso circa la mancata produzione di documentazione idonea a provare la notificazione di atti interruttivi della prescrizione, ed il punto non e stato specificamente criticato dall’Amministrazione finanziaria, formandosi il giudicato.

5.1. Invero la CTP, nella sua molto concisa motivazione che si riporterà sostanzialmente per intero, aveva affermato che “l’intimazione di pagamento pervenuta alla ricorrente è stata notificata in data 23.10.2014, ben dieci anni dopo la notifica della cartella, dunque ben oltre il termine previsto dalla legge” (sent. CTP, p. II). Pertanto il giudice di primo grado dà atto che è intervenuta la notificazione della prodromica cartella esattoriale, ma ritiene successivamente compiuta la prescrizione del credito tributario. Quindi i primi giudici aggiungono che “Invero, l’Equitalia Sud costituitasi in giudizio, non ha prodotto documentazione idonea a dimostrare l’avvenuta regolare notifica di atti interruttivi della prescrizione” (ibidem). Queste espressioni devono pertanto intendersi riferite alla mancata prova di atti interruttivi della prescrizione successivi alla notificazione della cartella esattoriale.

Non solo. Il nucleo centrale del giudizio attiene alla maturazione o meno della prescrizione dei crediti tributari. La CTP ritiene che l’intimazione sia intervenuta ben oltre il termine di legge, ma non illustra affatto di quale termine parli e tratto da quale legge. L’impugnazione dell’Incaricato della riscossione in appello critica specificamente che la prescrizione decennale non è invece maturata.

Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve perciò essere respinto.

6. Mediante il suo secondo strumento di impugnazione la ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice di secondo grado per non avere la CTR rilevato l’inutilizzabilità della documentazione relativa alla cartella esattoriale presupposta prodotta da controparte, essendo state depositate soltanto fotocopie, espressamente contestate, anche in relazione alla relata di notificazione, di cui si era richiesta la produzione in originale.

6.1. Invero questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di statuire che “la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante”, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale”, Cass. Sez. II, 3.4.2024, n. 7775 (conf., tra numerose, Cass. sez. VI-V, 13.12.2017, n. 29993).

Neppure nel ricorso per cassazione la parte propone critiche specifiche volte a contestare l’esistenza di una qualsiasi difformità tra le copie fotostatiche prodotte dall’Amministrazione finanziaria e gli originali degli atti.

Anche il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve perciò essere respinto.

7. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello per non aver rilevato l’inammissibilità dell’appello introdotto dall’Amministrazione finanziaria, in quanto meramente riproduttivo delle censure proposte nel primo grado del giudizio, senza indicare perché la sentenza della CTP fosse errata.

7.1. Invero la CTP nella sua decisione, la cui motivazione si è precedentemente riprodotta quasi per intero, si esprime su un solo punto: ritiene maturata la prescrizione tra la data di notificazione della cartella esattoriale ed il giorno in cui è stata notificata l’intimazione di pagamento, in assenza di atti interruttivi intermedi. Questo punto della decisione è stato espressamente criticato in appello dall’Amministrazione finanziaria, che ha proposto quindi un’impugnazione specifica.

Può anche aggiungersi che “nel processo tributario, l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., è assolto anche ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado”, Cass. sez. V, 19.9.2024, n. 25191.

Il terzo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve perciò essere rigettato.

8. Mediante il quarto mezzo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR per avere il giudice del gravame erroneamente affermato che trovi applicazione la prescrizione decennale dei crediti tributari anche in relazione a sanzioni ed interessi.

8.1. Occorre chiarire che il giudice dell’appello, avendo accertato che la notificazione della cartella esattoriale era intervenuta in data 17.12.2004 in mani proprie, e la notificazione della intimazione di pagamento si è compiuta in data 23.10.2014, poco meno di dieci anni dopo, ha ritenuto fondato il ricorso della contribuente per quanto attiene alla intervenuta prescrizione del Diritto annuale spettante alla Camera di Commercio, condivisibilmente ritenendo che sia sottoposto a prescrizione quinquennale (cfr. Cass. sez. V, 21.7.2022, n. 22897).

Ha invece rigettato il primo motivo dell’appello incidentale proposto dalla contribuente con riferimento al “credito Irpef”.

8.2. Occorre allora osservare che il credito tributario relativo all’Irpef effettivamente è soggetto a prescrizione decennale. Si è infatti recentemente ribadito che “il credito erariale per la riscossione di IRPEF, IRAP, IVA e canone RAI si prescrive nell’ordinario termine decennale, attesa la mancata previsione di un termine più breve, in deroga a quello di cui all’art. 2946 c.c., mentre non opera l’estinzione quinquennale ex art. 2948, comma 1, n. 4, c.c., in quanto l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione annuale, ha carattere autonomo ed unitario, cosicché il singolo pagamento non è mai legato ai precedenti, ma risente di nuove ed autonome valutazioni circa la sussistenza dei presupposti impositivi”, Cass. sez. V, 29.11.2023, n. 33213.

La contribuente contesta però l’applicazione del termine di prescrizione decennale anche con riferimento a sanzioni ed interessi. Invero la ricorrente non ha cura di indicare come abbia proposto questa critica nei gradi di merito del giudizio. Tuttavia, nella contestazione dell’intervenuta prescrizione dei crediti tributari, introdotta dalla contribuente nei gradi di merito del giudizio, deve intendersi ricompresa anche la censura relativa all’intervenuta prescrizione dei crediti tributari per interessi e sanzioni.

8.2.1. Invero la CTR non pronuncia espressamente sul punto, ma trattasi di questione di puro diritto su cui questa Corte di legittimità è comunque tenuta a pronunciare. Si è infatti chiarito, in proposito, che “nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”, Cass. sez. V, 28.10.2015, n. 21968 (conf. Cass. sez. VI-III, 8.10.2014, n. 21257).

8.3. Tanto premesso, non si è mancato di statuire che “in caso di notifica di cartella esattoriale non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria relativa alle sanzioni ed agli interessi è quello quinquennale, così come previsto, rispettivamente, per le sanzioni, dall’art. 20, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997 e, per gli interessi, dall’art. 2948, comma 1, n. 4, c.c.”, Cass. sez. VI-V, 8.3.2022, n. 7486.

Il quarto motivo di impugnazione, pertanto, con riferimento alla maturata prescrizione di quanto richiesto per sanzioni ed interessi, risulta fondato e deve perciò essere accolto.

9. In definitiva devono essere rigettati il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti da Re.Ma., mentre deve essere accolto il quarto strumento d’impugnazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, pronunciando ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., questa Corte di legittimità può decidere nel merito, annullando l’intimazione di pagamento in relazione ad interessi e sanzioni.

10. Tenuto conto dell’esito della controversia, le spese di lite possono essere compensate tra le parti anche con riferimento alle spese processuali del giudizio di legittimità.

La Corte di Cassazione,

 

P.Q.M.

rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti da Re.Ma., mentre accoglie negli indicati limiti di ragione il quarto motivo, cassa sul punto la decisione impugnata e, pronunciando nel merito, annulla l’intimazione di pagamento n. Omissis con riferimento ad interessi e sanzioni.

Compensa tra le parti le spese processuali relative al giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 25 settembre 2025.

Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2025.

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