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Cassazione civile sez. trib., 05/11/2024, n. 28457

Massima

In tema di accertamento a mezzo studi di settore, la riduzione di un anno dei termini di decadenza di cui all’art. 43, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevista dall’art. 10, comma 9, del D.L. n. 201 del 2011, presuppone la fedele esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, sicché detta riduzione non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la non veridicità dei dati forniti dal contribuente. Tale infedeltà, qualora consista nell’esposizione di costi non effettivamente sostenuti, integra altresì l’obbligo di denuncia per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, costituendo un’ulteriore ragione di inapplicabilità della riduzione dei termini.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza n. 734/03/23 del 25/07/2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto (di seguito CGT2) rigettava l’appello proposto da (omissis) Srls e da Ch.Xi. nei confronti della sentenza n. 450/01/21 della Commissione tributaria provinciale di Vicenza (di seguito CTP), che aveva a sua volta respinto i ricorsi riuniti proposti dai contribuenti avverso due avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2014, l’uno per IRAP e IVA, notificato alla società, e l’altro per IRPEF, notificato al socio.

1.1. Come evincibile dalla sentenza impugnata, la società aveva optato per il regime della trasparenza fiscale e l’accertamento era giustificato dall’emissione di fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti.

1.2. La CGT2 respingeva l’appello di Pelletteria e socio evidenziando che: a) l’atto impositivo era stato regolarmente sottoscritto, con delega validamente conferita, di cui era stata offerta la prova; b) l’accertamento era stato notificato nei termini di decadenza, posta l’inapplicabilità del regime premiale invocato dai ricorrenti in ragione della contabilizzazione di operazioni inesistenti; c) il contraddittorio era stato garantito alla società contribuente; d) l’avviso di accertamento era stato correttamente motivato; e) la contestazione in ordine all’insussistenza di validi elementi per ritenere la sussistenza delle operazioni inesistenti era del tutto generica.

Pelletteria e socio proponevano ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.

AE resisteva in giudizio con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso di (omissis) e socio è affidato a sei motivi, che vengono di seguito riassunti.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10, commi 9 e 10, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. con modif. nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, dell’art. 3 della L. 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CGT2 erroneamente ritenuto l’inapplicabilità del termine di accertamento ridotto per i contribuenti soggetti agli studi di settore e che abbiano dichiarato ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dall’applicazione degli standards.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 della L. 7 gennaio 1929, n. 4, dell’art. 12, co. 7, della L. n. 212 del 2000, degli artt. 3,24 e 97 Cost., dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, in generale, del principio del contraddittorio preventivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CGT2 erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento notificato alla società sebbene emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000, degli artt. 3,24 e 97 Cost., dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e del generale obbligo amministrativo di motivazione rafforzata della propria pretesa all’esito del contraddittorio preventivo, per avere la CGT2 escluso l’obbligo di motivazione rafforzata.

1.4. Con il quarto e il quinto motivo di ricorso ci si duole, rispettivamente in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 5 bis, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CGT2 erroneamente ripartito l’onere della prova. Invero, gli indici presuntivi indicati da AE sarebbero insufficienti a supportare l’accertamento, con conseguente obbligo del giudice di merito di annullare la ripresa.

1.5. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione del principio di proporzionalità delle sanzioni, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc civ., essendo state applicate sanzioni sproporzionate e dovendo comunque applicarsi l’eventuale ius superveniens.

2.1. Ai sensi dell’art. 10, comma 9, del D.L. n. 201 del 2011, “Nei confronti dei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, ai sensi dell’articolo 10, della legge 8 maggio 1998, n. 146, che dichiarano, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell’applicazione degli studi medesimi: (…) b) sono ridotti di un anno i termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 57, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633; la disposizione non si applica in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74“.

2.1.1. Il successivo comma 10 chiarisce, altresì, che la disposizione del comma 9 si applica a condizione che “a) il contribuente abbia regolarmente assolto gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti”.

2.2. I ricorrenti osservano di avere depositato lo studio di settore, che presenta dati coerenti con l’andamento dell’attività imprenditoriale, e che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto riaprire i termini sulla base di contestazioni successive al loro concreto spirare.

2.3. In realtà, la disposizione normativa consente l’abbreviazione dei termini previsti dalla legge solo nel caso in cui l’esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore sia stata fedele. Ciò significa che, nel caso di esposizione infedele, detta abbreviazione non può essere concessa: ed è proprio quanto accaduto nel caso di specie, laddove è contestata al ricorrente l’esposizione di costi fittizi in quanto conseguenti all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

2.3.1. Né può dirsi che si tratti di contestazione a posteriori, a termini scaduti, atteso che la sussistenza di una dichiarazione infedele preclude fin dall’inizio la concessione del beneficio.

2.4. Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento a mezzo studi di settore, la riduzione di un anno dei termini di decadenza di cui all’art. 43, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevista dall’art. 10, comma 9, del D.L. n. 201 del 2011, presuppone la fedele esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, sicché detta riduzione non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la non veridicità dei dati forniti dal contribuente”.

2.5. Si aggiunga che – come correttamente osservato dalla difesa erariale – l’esposizione di costi non effettivamente sostenuti integra l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, con conseguente inapplicabilità dell’abbreviazione dei termini anche per questa concorrente ragione.

3.1. Da quanto risulta dalla sentenza impugnata, nonché dalle difese delle parti e dalla documentazione prodotta, deve ritenersi accertato in punto di fatto che: i) l’Ufficio ha iniziato una verifica presso la sede di Pelletteria con riferimento all’anno 2015, verifica chiusasi con processo verbale di constatazione del 07/11/2019; ii) nel corso della verifica sono emersi elementi che hanno indotto l’Amministrazione finanziaria a invitare, con atto notificato sempre in data 07/11/2019, la società contribuente al contraddittorio anche con riferimento all’anno d’imposta 2014; iii) il contraddittorio è stato formalmente espletato ed è sfociato nell’avviso di accertamento impugnato nel presente procedimento, avviso notificato in data 18/12/2019.

3.2. Orbene, come si evince dallo stesso invito al contraddittorio (allegato dai ricorrenti ai fini della necessaria specificità del ricorso), le circostanze contestate alla società contribuente in relazione all’anno d’imposta 2014 sono emerse nel corso della verifica in loco relativa all’anno d’imposta 2015. Con la conseguenza che, trovando applicazione – anche per l’anno 2014 e indipendentemente dalla circostanza che l’accesso abbia riguardato l’anno 2015 – l’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, l’avviso di accertamento avrebbe dovuto essere emesso non prima del decorso di sessanta giorni dalla notifica del processo verbale di chiusura della verifica (Cass. n. 14802 del 27/05/2024, citata anche da parte ricorrente); e ciò sia per le imposte dirette che per l’IVA (cfr. Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013; Cass. nn. 701 e 702 del 15/01/2019).

3.3. Peraltro, dalla data di notificazione del processo verbale di constatazione (07/11/2019) a quella di notificazione dell’avviso di accertamento (18/12/2019), non è decorso il termine di sessanta giorni previsto dalla legge, con conseguente nullità dell’atto impositivo in quanto emesso ante tempus.

3.4. La nullità dell’avviso di accertamento per l’anno 2014 notificato alla società contribuente implica, altresì, la nullità dell’avviso di accertamento notificato al socio a fini IRPEF, avviso dallo stesso dipendente.

5.1. La complessità delle questioni giuridiche affrontate giustifica la compensazione tra le parti delle spese concernenti i gradi di merito del presente giudizio, dovendo, invece, la controricorrente essere condannata al pagamento, in favore delle ricorrenti, delle spese concernenti il presente procedimento di legittimità, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di Euro 314.467,50.

2. Il primo motivo, che prospetta la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dai poteri di accertamento, è infondato.

3. Il secondo motivo, concernente l’emissione ante tempus dell’avviso di accertamento nei confronti della società contribuente, è fondato.

4. Poiché l’accoglimento del secondo motivo è idoneo a definire la lite, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo restano assorbiti.

5. In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, assorbiti gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso proposto dai contribuenti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso proposto dalle ricorrenti; condanna la controricorrente al pagamento, in favore delle ricorrenti, delle spese del presente procedimento di legittimità, che liquida in Euro 10.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ad Euro 200,00 per spese borsuali e agli accessori di legge; dichiara compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2024.

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