• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. trib., 04/12/2024, n. 31075

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2024, n. 31075

Massima

La prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. black list, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale ex art. 12 comma 2, del D.L. n. 78/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102/2009 (non applicabile ratione temporis alla fattispecie), ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa. Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici, in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi.

Supporto alla lettura

PARADISO FISCALE

Con il termine paradiso fiscale ci si riferisce a una giurisdizione o un paese che offre condizioni fiscali vantaggiose e facilità normative per individui e società che cercano di minimizzare l’imposizione fiscale o nascondere i propri redditi e patrimoni.

Uno Stato definito tale, garantisce un prelievo fiscale basso o nullo in termini di imposta sui redditi e sul capital gain derivante dagli investimenti finanziari. Si tratta di una giurisdizione che consente di evadere le tasse e di scavalcare le leggi e le normative di un altro Paese.

Caratteristiche principali sono:

  • la segretezza (intesa come non diffusione a stati terzi dei propri dati finanziari);
  • l’accessibilità (facilità di gestire il proprio patrimonio).

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:

1. L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Pisa notificava a Ca.An. avviso di accertamento n. (Omissis), con il quale veniva determinato un maggior reddito per l’anno d’imposta 2007, per l’omessa dichiarazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi (investimenti all’estero o attività di natura finanziaria detenute all’estero).

Tale atto veniva emessi a seguito a seguito di attività di verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, che a sua volta traeva origine dalle informazioni riguardanti il contribuente acquisite presso l’amministrazione fiscale francese mediante i canali di collaborazione informativa internazionale previsti dalla Direttive 77/799/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1977 e dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia, stipulata il 5 ottobre 1989 e ratificata in Italia con la legge 7 gennaio 1992, n. 20, sulla base di una lista di persone fisiche (c.d. lista (Omissis), giunta in possesso delle autorità italiane) detentrici di disponibilità finanziarie presso la Banca HSBC Private Bank di G per gli anni 2006-2007.

Nell’ambito di tali indagini, veniva accertata la disponibilità, da parte dell’odierno controricorrente Ca.An. – che era risultato intestatario di conti correnti presso la Banca HSBC di G – della somma di Euro 1.287.946,63; non essendo stato possibile desumere i redditi maturati sulle disponibilità così riscontrate, tali redditi venivano determinati presuntivamente applicando al suddetto importo il tasso di sconto fissato dalla Banca Centrale Europea, ottenendosi così una rendita di capitale pari ad Euro 55.166,00. Tali somme, in assenza di indicazione sulla fonte di produzione di tali redditi, venivano qualificati come redditi di capitale, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, conv. dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, con ricalcolo delle imposte IRPEF dovute, interessi e sanzioni.

2. L’avviso di accertamento in questione veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pisa la quale, con sentenza n. 443/02/2014, depositata in data 4 giugno 2014, lo rigettava, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con sentenza n. 1480/05/2016, pronunciata il 16 novembre 2015 e depositata in segreteria il 13 settembre 2016, accoglieva l’appello, annullando l’avviso di accertamento impugnato e compensando le spese di lite.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi (ricorso notificato il 14 marzo 2017).

Resiste con controricorso Ca.An.

5. Con decreto del 22 maggio 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 13 settembre 2024, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380-bis.1 cod. proc. civ.

La ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO CHE:

1. Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.

1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009, conv. in L. n. 102/2009, nonché dell’art. 6 del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, conv. dalla legge 4 agosto 1990 n. 227, della Direttiva CEE n. 77/1999 del Consiglio in data 19 dicembre 1977, dell’art. 31-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 27 della Convenzione Italia-Francia sulle doppie imposizioni, ratificata in Italia con la legge 7 gennaio 1992, n. 20, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.

Deduce, in particolare, l’ente impositore che la sentenza impugnata aveva erroneamente affermato la “inutilizzabilità” della documentazione da cui aveva tratto origine la verifica fiscale nei confronti del contribuente (in concreto, la nota “Lista (Omissis)”), che invece, per giurisprudenza costante della Corte di legittimità, era stata ritenuta pienamente utilizzabile dall’Amministrazione finanziaria.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009, conv. in L. n. 102/2009, e dell’art. 6 del D.L. n. 167/1990, conv. dalla legge n. 227/1990, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.

Deduce, in particolare, l’Ufficio che, secondo la normativa vigente ratione temporis, sussistevano delle presunzioni legali di fruttuosità delle disponibilità finanziarie detenute all’estero in Paesi a fiscalità privilegiata, e che quindi risultava provata la redditività delle somme detenute dal contribuente.

2. Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.

2.1. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono fondati.

Il tema riguardante la disciplina delle presunzioni nell’ambito delle disposizioni relative al monitoraggio fiscale, da tempo dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza, ha trovato oramai composizione nell’indirizzo nomofilattico della giurisprudenza di questa Corte (v. le ordinanze “gemelle” del 28 aprile 2015 nn. 8605 e 8606, nonché l’ordinanza n. 9670 del 13 maggio 2015 e le sentenze del 19 agosto 2015 nn. 16950 e 16951, queste ultime tre non massimate), che ha ammesso l’utilizzabilità delle informazioni contenute nella c.d. lista “(Omissis)” (così detta dal nome di (Omissis), l’ingegnere informatico italo-francese, fuggito da G nel dicembre 2008 con l’intero archivio informatico della HSBC Private Bank). Dopo le c.d. ordinanze gemelle sulla lista (Omissis) la giurisprudenza sezionale ha approfondito, rivisitato e calibrato la materia in base alla peculiarità delle tre liste ((Omissis), (Omissis) e (Omissis)), formulando principi di diritto di carattere generale, estensibili a ciascuna di esse (cfr., ex multis, Cass. 28 febbraio 2022, n. 6509; Cass. 19 dicembre 2019, n. 33893; Cass. 5 dicembre 2019, n. 31779).

Per quel che qui interessa (Lista (Omissis)), l’efficacia probatoria degli elementi evidenziati dalle schede clienti (fiche) della banca HSBC di L, intestate agli odierni ricorrenti, è stata ricavata dalla disciplina in tema di presunzioni, evidenziandosi come, in tesi generale, il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che di IVA, consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni propri della prova per presunzioni (“Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha tempo chiarito che “un dato incontestabile è che tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa. Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’art. 2729 c.c.), la via attraverso la quale le prove atipiche posso entrate nel processo civile” cfr., in motivazione, la sentenza 26 agosto 2015, n. 17183, sulla lista cd. (Omissis)).

Si giunge, dunque, a ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici la via attraverso cui le prove atipiche possono entrare nel processo, i cui requisiti caratteristici, se non possono essere stabiliti a priori, essendo ad essi immanenti la valutazione del caso concreto, si ritrovano nella gravità, precisione e concordanza, requisiti che se sussistenti, attribuiscono all’indizio pieno valore probatorio (v. Cass. 13 maggio 2015 n. 9760, in tema di Lista (Omissis)). In tale ambito, la scorretta valutazione degli elementi medesimi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cass. 13 ottobre 2005 n. 19894).

Si pone, dunque, un punto fermo secondo cui la valutazione dell’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia delle Entrate ed il ragionamento inferenziale che ne consegue, consente senz’altro di affermare che i nomi dei soggetti sottoposti ad accertamento non siano finiti “accidentalmente” nella lista (Omissis), in quanto il materiale indiziario rivenuto col sequestro dell’archivio informatico sequestrato ha valore indiziario forte per configurare l’ipotesi elusiva del trasferimento all’estero di capitali italiani scudati, salvo l’eventualità di elementi di controprova che sconfessino quegli stessi elementi. Per questa via “diviene legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria” (così Cass. 5 dicembre 2019, n. 31779, in materia di lista (Omissis)).

Peraltro, deve ribadirsi il principio secondo cui la prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. black list, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale ex art. 12 comma 2, del D.L. n. 78/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102/2009 (non applicabile ratione temporis alla fattispecie), ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa. Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici, in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi (ex multis, Cass. 27 maggio 2021, n. 14834; Cass. 14 novembre 2019, nn. 2963229633; Cass. 26 settembre 2018, n. 23153; Cass. 12 febbraio 2018, n. 3276; Cass. 22 dicembre 2017, n. 30803). Per questa via è da considerare legittima l’utilizzazione della scheda cliente riepilogante gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute dalla ricorrente presso la Banca svizzera, trasmessa dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, in quanto formante elemento (unico) indiziario forte, tenuto conto altresì del fatto che, come accertato dalla C.T.R., i dati relativi ai contribuenti sono “specifici e completi”, anche con riferimento alle vicende dei conti correnti in questione, e quindi una molteplicità di elementi gravi, precisi e concordanti nel senso della riferibilità delle risultanze di tale scheda all’odierno ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. 9 luglio 2024, n. 18785).

3. Il ricorso deve quindi essere accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario proposto dal contribuente.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza del controricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

Spese compensate per i gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario proprio da Ca.An.

Condanna Ca.An. alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Spese compensate per i gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2024.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi