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Cassazione civile sez. trib., 04/06/2025, n. 14914

Massima

In sede di ricorso per cassazione, le censure relative alla regolarità della notifica sono inammissibili se non accompagnate dalla integrale trascrizione della relata contestata e se sollevate per la prima volta in appello senza dimostrare la loro proposizione nel primo grado di giudizio. Parimenti, è inammissibile il disconoscimento generico di documenti prodotto in giudizio, richiedendosi una specifica individuazione delle difformità. La motivazione della sentenza non è considerata apparente o insufficiente se il giudice di merito riprende e valuta criticamente la motivazione di primo grado, argomentando analiticamente sulle censure specifiche e rendendo controllabile il proprio ragionamento logico e giuridico.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

In data 14 aprile 2015, l’incaricato per la riscossione notificava alla contribuente soc. NECCHI METALLI Srl il fermo amministrativo a tutela di diverse cartelle di pagamento ed avvisi di addebito notificati fra il 2009 ed il 2014, mai onorati. Reagiva la contribuente, protestando irregolarità plurime nella notifica, che ne inficiano l’esistenza, nonché prescrizione del credito e della pretesa impositiva.

I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte privata, che ricorre per cassazione affidandosi a sei strumenti di impugnazione, cui replica l’Agenzia delle entrate, spiegando tempestivo controricorso, per il tramite del patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato.

 

CONSIDERATO

1. Vengono proposti sei motivi di ricorso.

1.1. Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 40,143 e 149 del codice di procedura civile, nonché degli articoli 26 del D.P.R. numero 602 del 1973 e 60, primo comma, 20 D.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’articolo 7, ultimo comma, della legge numero 890 del 1982.

Nella sostanza si lamenta irritualità della notifica, per non essere state eseguite le forme conseguenti alla mancata consegna nelle mani del destinatario. Specificamente, si lamenta non siano state trasmesse le raccomandate informative e di avvenuto deposito previste dall’ordinamento giuridico in questi casi.

1.2. Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 20, primo comma, decreto legislativo numero 82 del 2005, nonché del D.P.R. numero 68 del 2005.

Nello specifico, si contesta che la notifica e la relativa prova sia avvenuta con il deposito di mera copia informatica di documento cartaceo.

1.3. Con il terzo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2702 del codice civile, nonché 214 del codice di procedura civile e dell’articolo 1 del decreto legislativo numero 546 del 1992.

Nel concreto, si lamenta sia stata riconosciuta validità a documenti espressamente disconosciuti dalla parte privata, comunque privi di attestazione di autenticità proveniente da pubblico ufficiale, dando peso a dei semplici estratti di ruolo.

1.4. Con il quarto motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 del medesimo codice di rito e dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992.

Nello specifico si contesta motivazione parvente della sentenza in scrutinio che non si confronta con le numerose censure proposte in sede d’appello dalla parte contribuente.

1.5. Con il quinto motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2946 del codice civile dell’articolo 112 del codice di procedura civile.

Nel concreto si lamenta la violazione del rapporto fra chiesto e pronunciato, laddove la sentenza di scrutinio avrebbe erroneamente valutato in ordine alla recepita prescrizione del diritto di credito incorporato nelle cartelle esattoriali impugnate in uno con il ruolo, di cui si afferma non si è mai stata data regolare notifica.

1.6. Con il sesto motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 2943 e 2944 del codice civile.

Nello specifico si lamenta che sia stata riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione alle istanze di rateizzazione avanzate da parte del contribuente.

2. Il primo ed il secondo motivo sono inammissibili e non possono essere accolti. È orientamento consolidato, cui si intende in questa sede dare continuità, l’affermazione per cui la censura relativa ad una relata di notificazione comporta l’onere per la parte ricorrente della relativa trascrizione integrale, in modo da consentire a questa Suprema Corte di scrutinare opportunamente la censura, senza ricorrere a fonti esterne al ricorso (cfr. Cass. V, n. 31038/2018; n. 13163/2019).

Altresì, la sentenza in scrutinio ha evidenziato che tali censure siano state sollevate solo in sede di appello, esponendosi quindi ad ulteriore profilo di inammissibilità; né la parte ricorrente ha riportato gli stralci degli atti processuali dei precedenti gradi di merito da cui emerga che tali profili siano stati rappresentati fin dal primo grado di giudizio, evitando così il divieto di proporre censure nuove in appello (cfr. Cass. V, n. 5160/2020).

Solo in limine, merita osservare che, nel caso concreto, siano state osservate le procedure della notifica in proprio, di cui è dotato l’incaricato per la riscossione ex art. 26 D.P.R. n. 602/1973, ove la notifica si intende avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario o da chi è abilitato alla ricezione (cfr. Cass. S.U. n. 9962/2010; Cass. VI-5 n. 4556/2020), senza ulteriori adempimenti o formalità.

3. Il terzo motivo non può essere accolto, laddove lamenta che sia stata data validità a documenti disconosciuti dalla parte contribuente.

La censura è fuori fuoco, ove la sentenza in scrutinio non ha fondato la propria decisione su documenti disconosciuti, quanto piuttosto ha chiaramente deciso che sia inammissibile il disconoscimento generico di una serie di documenti non analiticamente individuati.

In ogni caso, è stato affermato che in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella) e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice che escluda l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso. (Nella specie, la S.C. ha affermato che la CTR aveva correttamente dichiarato il regolare perfezionamento della notifica sulla base della copia della cartolina di ritorno, valutando in assenza di produzione dell’originale e di conseguente rituale disconoscimento da parte del contribuente – il quale assumeva di non aver mai ricevuto detta notifica -, valorizzando il fatto che su di uno stesso foglio erano riportati gli estremi della cartella, della raccomandata, della data di spedizione e quella di notifica, nonché della fotocopia della ricevuta di ritorno, con il segno di croce a fianco della qualifica del ricevente l’atto e la firma autografa dello stesso) (cfr. Cass. V, n. 23426/2020).

4. Non può essere accolto neppure il quarto motivo, laddove lamenta motivazione parvente. La sentenza in scrutinio riprende la motivazione della sentenza di primo grado, con apprezzamento di autonoma valutazione critica e si diffonde ampiamente sulle censure specifiche avanzate dalla parte privata, argomentando analiticamente sui singoli motivi.

Peraltro, deve premettersi che è, ormai, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018).

Neppure il quarto motivo può quindi essere accolto.

5. Il quinto e sesto motivo possono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro stretta connessione. Vi si lamenta la violazione fra chiesto e pronunciato in ordine alla recepita prescrizione decennale dei crediti erariali ed alla valenza interruttiva della prescrizione spiegata dalla richiesta di rateizzazione che varrebbe, quindi, come un riconoscimento di debito.

Va precisato che la sentenza in scrutinio non afferma esservi stato un mutamento -tipico dell’actio iudicati- del debito tributario che diviene soggetto a prescrizione decennale. Al contrario, la sentenza in esame si conforma all’orientamento consolidato di questa Suprema Corte di legittimità, laddove è stato più volte affermato che i diversi tributi possono avere termini prescrizionali differenti, se previsti dalla legge, altrimenti soggiacciono al termine ordinario decennale di prescrizione, con conseguente applicazione delle cause di interruzione previste dall’ordinamento (cfr. Cass. V, n. 24278/2020, ma già Cass. S.U. n. 23397/2016). Il termine decennale di prescrizione è quindi la forma ordinaria, in coerenza con il carattere autonomo di ciascun anno di imposta (cfr. Cass. Vi-5, n.32308/2019), con l’effetto che non può ritenersi maturata la prescrizione, poiché fra l’atto opposto (2015) e la notifica della prima cartella (2009) non era trascorso il predetto termine decennale.

Peraltro, alla notifica delle cartelle tra il 2009 ed il 2014 non è controverso siano seguiti atti di richiesta di rateizzazione, intervenuti dal 2012 in poi. Tali profili sono da ritenere pacificamente come riconoscimento di debito, contente l’affermazione della disponibilità a pagare, cui si unisce la richiesta del beneficio rateale (cfr. Cass. L. n. 10327/2017).

6. Ne consegue che il ricorso è infondato e va rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro.cinquemilaseicento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2025.

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