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Cassazione civile sez. trib., 02/09/2025, n. 24377

Massima

In materia di imposta di registro, l’avviso di liquidazione che esprima una pretesa fiscale maggiore rispetto a quella provvisoria è qualificabile come atto impositivo, beneficiando della sospensione dei termini di impugnazione ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.L. n. 119/2018. La sentenza che definisce un giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio ha natura di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale, con conseguente applicazione dell’aliquota dell’1%.

Supporto alla lettura

IMPOSTE

Si tratta di quel tributo che colpisce tutti i contribuenti mediante un prelievo coattivo da parte dello Stato utilizzato per finanziare i servizi pubblici fruibili dalla collettività (es. sanità, istruzione o difesa). La differenza con le tasse sta nel fatto che queste sono direttamente collegate all’utilizzo di un servizio specifico e, quindi, vengono pagate per beneficiare di un servizio.

Le imposte si dividono in:

– dirette: gravano direttamente sul reddito o sul patrimonio delle persone fisiche e giuridiche, nel senso che vengono calcolate in base alla capacità contribuitva del soggetto, ovvero alla sua abilità di generare reddito o possedere beni, sono quindi collegate in modo diretto alla situazione economica del contribuente. Le principali imposte dirette sono:

  • IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche): colpisce il reddito complessivo generato dalle persone fisiche e sui soci delle società di persone (SAS o SNC).
  • IRES (Imposta sul Reddito delle Società): grava sul reddito delle società (SRL).
  • IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive): colpisce i redditi prodotti nell’esercizio di imprese.

– indirette: vengono applicate a transazioni commerciali, beni e servizi, sono infatti generalmente incluse nel prezzo dei beni e dei servizi acquistati dai consumatori e vengono riscosse dai venditori al momento della vendita, per poi essere versate allo Stato, colpiscono, cioè, il consumo o la spesa del contribuente. Questo tipo di imposte sono c.d. regressive, nel senso che essendo un costo fisso aggiunto al prezzo del bene o servizio, colpiscono in modo più incisivo i gruppi a reddito più basso in quanto l’importo dei tributi indiretti non varia in base al reddito o alla ricchezza del consumatore. Le principali imposte indirette sono:

  • IVA (Imposta sul valore aggiunto): colpisce i beni o i servizi acquistati o scambiati.
  • Accise: colpiscono specifici beni di consumo (es. tabacchi, alcolici, benzina e carburanti).
  • Imposta di bollo: si versa per la stipula di atti, documenti e scritture private.
  • Imposta di registro: colpisce tutti gli atti aventi ad oggetto il trasferimento di proprietà di beni immobili o diritti reali.

Le imprese sono soggette a entrambe le tipologie di imposte, ma le imposte dirette possono avere un impatto più significativo sul loro bilancio, influenzando non solo i profitti netti ma anche le decisioni strategiche riguardo agli investimenti e alla crescita.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

L’oggetto della controversia è un avviso di liquidazione (n. (Omissis)), notificato dall’Agenzia delle Entrate (d’ora in poi ricorrente), a Di.St., (d’ora in poi controricorrente) e Fo.Cl. (d’ora in poi intimata), per il pagamento dell’imposta di registro dovuta per la registrazione di una sentenza della Corte d’Appello di Roma (n. 894 del 2014), per l’importo di Euro 742.477,80. Su tale base imponibile, ottenuta in forza della somma di Euro 173.771,40 per l’indennità di occupazione temporanea e di Euro 568.706,40 per indennità di esproprio, era stata applicata l’aliquota nella misura del 3%.

Il giudizio ruota intorno alle seguenti questioni a) se, ai fini della verifica della tempestività della proposizione dell’appello, nel caso di specie, riguardante un avviso di liquidazione, possa trovare applicazione la sospensione prevista dall’art. 6, comma 1, del D.L. n. 119 del 2018; b) se, in materia di imposta di registro su atti giudiziari, la sentenza, avente ad oggetto un’opposizione alla stima dell’indennità di esproprio che ordini il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti delle indennità di esproprio e occupazione legittima sia assoggettata al regime di tassazione di registro nella misura proporzionale del 3%, ai sensi dell’art. 8, lett. b), della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ovvero nella misura dell’1%, ai sensi della lett. c) del medesimo articolo; c) se la determinazione della base imponibile della sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione, deve avvenire al netto delle somme già versate a titolo di indennità provvisoria.

La CTP ha rigettato il ricorso sul presupposto dell’art. 37 del D.P.R. n. 131 del 1986, secondo cui gli atti giudiziari devono essere assoggettati a registrazione anche se sono ancora impugnabili e la base imponibile per il calcolo dell’imposta da versare è costituita dalla somma degli importi indicati nell’atto giudiziario.

La CTR ha accolto l’appello proposto dall’odierna controricorrente e dall’odierna intimata, determinando nella misura dell’1% l’imposta proporzionale di registro dovuta sulla somma ancora da riscuotere, sulla base delle seguenti ragioni

– va disattesa l’eccezione di tardività della proposizione dell’appello, in quanto l’avviso di liquidazione costituisce un atto impositivo, da intendersi, quindi, incluso nella previsione di sospensione dei termini dell’art. 6, comma 1, del D.L. n. 119 del 2018;

– è erronea l’applicazione dell’aliquota nella misura del 3 %, in quanto la sentenza oggetto di imposizione ha natura di accertamento, con la conseguenza che va applicata l’aliquota nella misura dell’1%;

– ai fini della determinazione, deve tenersi conto solo della somma ancora da riscuotere e non anche di quella già estinta in virtù di una causa indipendente dalla sentenza.

L’odierna ricorrente ha proposto ricorso fondato su due motivi; Di.St., odierna controricorrente, si è costituita depositando controricorso e memoria, mentre Fo.Cl., è rimasta intimata.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va affermata la regolarità della notifica del ricorso introduttivo nei confronti di Fo.Cl. La sentenza oggi impugnata è stata depositata il 9 giugno 2022 e non è stata notificata. La notifica del ricorso è stata effettuata via PEC il 9 gennaio 2023 (vd ricevute di accettazione e avvenuta consegna al difensore di entrambe le originarie ricorrenti), nel rispetto del termine semestrale previsto dall’art. 327, primo comma c.p.c., come richiamato dall’art. 38, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. art. 6 del d. L. n. 119/2018 conv. in L. n. 136 del 2018. Secondo la ricorrente l’appello proposto dall’odierna controricorrente è tardivo, non potendo trovare applicazione la norma ora richiamata. Essa, ad avviso della ricorrente, riguarda gli atti impositivi e non può trovare, quindi, applicazione per l’avviso di liquidazione che costituisce, invece, un atto di riscossione.

2.1. Il motivo è infondato.

L’art. 6, comma 1, del d. L. n. 119 del 2018 prevede che “le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia è stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546“.

Il comma 11 del citato articolo prevede “Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019.”

In relazione all’ambito di applicativo della disposizione ora riportata, intende il Collegio ribadire quanto già chiarito in sede di legittimità, proprio in materia di imposta di registro, ipotecaria e catastale. In particolare, in tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione delle imposte proporzionale di registro, ipotecaria e catastale dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d. L. n. 119 del 2018, conv. dalla L. n. 136 del 2018, laddove tale atto si riveli espressione di una finalità sostanzialmente impositiva, in quanto suscettibile di esprimere, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione (Cass., Sez. 5, n. 20683/2021, Rv. 661935 – 01).

Tale pronuncia si innesta su un più risalente orientamento di legittimità formatosi su un’altra disposizione di condono, strutturata in modo analogo, secondo cui, in tema di condono fiscale, ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo della L. n. 289 del 2002, art. 16, è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso. Pertanto, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come “avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria (Cass., Sez. 5, n. 13136/2016, Rv. 640137 – 01, Sez. 5, n. 5158 del 2014; Sez. 5, n. 20731 del 06/10/2010, Rv. 615427 – 01).

Questa impostazione, incentrata su un criterio di effettività, è stata successivamente recepita anche dalla stessa Amministrazione finanziaria con la Circolare 6/E del 1° aprile 2019, dove si osserva (par. 2.3.4) “con riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione, si osserva che tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Occorre tuttavia evidenziare che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal nomen iuris utilizzato nella specie. In tal senso si è espressa la Corte di cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 6 ottobre 2010, n. 20731). In questo caso, infatti, l’avviso di liquidazione assume natura di atto impositivo, in quanto destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione”.

Nel caso in esame, l’avviso di liquidazione esprime una finalità sostanzialmente impositiva, sotto due profili oggetto di contestazione a) individua una maggiore base imponibile, in quanto in esso non si tiene conto degli importi già versati a titolo di indennità provvisoria, già liquidata e ricevuta in pagamento (in contestazione quindi la base imponibile di Euro 332.290,62 oppure sull’importo Euro 742.477,80);

  1. b) provvede all’applicazione dell’imposta con un’aliquota del 3%, invece, che dell’1%; quest’ultimo aspetto impone la soluzione della questione circa la natura della sentenza emessa all’esito dell’opposizione alla stima. Non vi è dubbio, pertanto, che l’avviso oggetto del presente giudizio involga accertamenti sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria, presentando le caratteristiche di un atto impositivo. Da quanto esposto consegue che la sentenza impugnata ha correttamente riconosciuto applicabile al caso in esame il termine di sospensione di cui all’ 6, comma 1, del d. L. n. 119 del 2018.
  2. Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione, dell’art. 8, lett. b), della tariffa Parte I ad esso allegata al d. P.R. n. 131 del 1986. Contesta che la sentenza non abbia distinto la somma corrispondente all’indennità di esproprio, che, a suo dire costituisce la base imponibile per il calcolo dell’imposta oggi in discussione, dalla somma che Roma capitale deve depositare presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – servizio gestione depositi. Ciò sul presupposto che, per determinare la base imponibile, occorre fare riferimento agli effetti che l’atto in concreto determina e, quindi, poiché la sentenza contiene l’ordine del deposito delle somme dovute a titolo di indennità di esproprio e di occupazione legittima, essa è equivalente ad una sentenza di condanna e, come tale, oggetto di tassazione con aliquota al 3%.

3.1. Il motivo è fondato nei seguenti termini.

Infondata è la censura della sentenza nella parte in cui esclude la natura di sentenza di condanna alla pronuncia che definisca il giudizio di opposizione alla stima.

Con riferimento alla natura della decisione che, all’esito di un giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio e di occupazione legittima, ne accerti l’esatto ammontare e disponga il deposito della differenza presso la Cassa Depositi e Prestiti, il Collegio intende ribadire il principio di legittimità, secondo il quale, si tratta di sentenza di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale e non di condanna ed è, pertanto, soggetta all’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, ai sensi dell’art. 8, lett. c), della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (Cass. Sez. 5, n. 18430/2021, Rv. 661802 – 01, Sez. 5, n. 21697/2021, Rv. 662082 – 01, Sez. 6-5, n. 38045/2022, Sez. 5, n. 34749/2024, Sez. 5, n. 34753/2024, Sez. 5, n. 34757/2024, Sez. 5, n.34765/2024, Sez. 5, n. 801/2025).

Con l’orientamento ora riportato, la S.C. ha superato un contrasto insorto in sede di legittimità (in senso contrario v. Cass. Sez. 5, n. 9137/2014, Rv. 630772 – 01).

L’ordine di deposito non costituisce, infatti, il petitum dell’azione di opposizione alla stima, il bene della vita che il creditore intende realizzare con la proposizione di questo giudizio, né tale ordine è pronunciato dal giudice nel suo interesse ed a suo favore, anzi tutt’altro, dal momento che l’espropriato dovrà attendere lo svincolo definitivo della somma depositata, al termine del procedimento, per poter ottenere il ristoro economico del bene espropriato. In realtà il deposito dell’indennità costituisce un adempimento funzionale e prodromico al completamento del più complesso procedimento espropriativo che si sviluppa in ambito amministrativo, quale fase transitoria ed intermedia tra la determinazione provvisoria e quella definitiva dell’indennità, finalizzata alla tutela di terzi creditori che, vantando diritti sull’immobile espropriato, si vedono garantita la possibilità di far valere tali diritti direttamente sull’indennità depositata (Vedi Cass., Sez. U, n. 109/1999, Rv. 523729 – 01; Sez. 1, n. 6709/2000, Rv. 536816 – 01 e Sez. 1, n. 25662/2006, Rv. 593288 – 01).

Nessun trasferimento di ricchezza al soggetto espropriato, nessuna attribuzione di un bene o condanna al pagamento, ma solo un accertamento di valore cui si accompagna un adempimento accessorio nell’interesse di terzi e della parte pubblica debitrice espropriante ma non del creditore espropriato.

Da quanto esposto consegue che la sentenza posta a base dell’atto impositivo oggetto del giudizio non contiene una statuizione di condanna, suscettibile di essere messa in esecuzione, a carico dell’espropriante da parte dell’espropriato, che abbia ottenuto l’accertamento dell’indennità in misura superiore alla stima effettuata in sede amministrativa, al fine di ottenerne il pagamento del tutto o della sola differenza.

L’avente diritto dovrà necessariamente attendere il momento in cui, a fronte della definitività della procedura, gli sarà possibile ottenere lo svincolo della somma depositata, previa presentazione di specifica ed ulteriore istanza e rilascio di espressa autorizzazione in sede amministrativa.

La sentenza impugnata sotto tale profilo si è attenuta ai principi di legittimità ora richiamati, riconoscendo l’applicazione dell’aliquota nella misura dell’1%.

3.2. È, viceversa, fondata la censura sulla individuazione della base imponibile. La sentenza ha ritenuto che essa dovesse essere calcolata sulla base degli importi ancora da versare.

Si osserva, tuttavia, che oggetto del giudizio di opposizione alla stima è l’accertamento dell’entità dell’indennità nella sua interezza e la sentenza oggi sottoposta a tassazione è stata resa all’esito di un giudizio di opposizione alla stima. In questo senso ci si riporta a tutta la giurisprudenza sopra richiamata sulla natura accertativa delle sentenze emesse all’esito dell’opposizione alla stima.

La sentenza oggetto di registrazione, nella specie, ha definito un’opposizione stima dell’indennità di esproprio e di occupazione legittima, e ha accertato il diritto delle ricorrenti all’indennità di esproprio nella misura di Euro 742.477,80.

Il provvedimento, poi sotto l’aspetto esecutivo, ha ordinato la condanna di Roma Capitale al deposito presso il Ministero dell’Economia e della Finanza l’indennità di occupazione legittima pari ad Euro 173.771,40 e l’indennità di esproprio pari ad Euro 568.706,40 (per un totale di Euro 742.477,80), “…detratto eventualmente quanto già depositato per le medesime causali presso la Cassa Depositi e Prestiti”.

Nel caso in esame la sentenza ha, dunque, accertato l’esatto ammontare dell’indennità complessivamente dovuta, individuando, poi in concreto, le modalità di esecuzione.

In proposito si ricorda che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, la cosiddetta opposizione alla stima non si configura come fase di mera impugnazione del provvedimento amministrativo, ma si caratterizza come giudizio di autonoma quantificazione dell’indennità da parte del giudice e, dunque, nella sua interezza. Il giudice, infatti, in mancanza di specifica istanza, da parte dell’espropriante, di ridurre l’indennità stabilita in via amministrativa, deve decidere unicamente sulla richiesta dell’opponente di un’indennità maggiore rispetto a quella fissata in sede amministrativa (Cass., Sez. 1, n. 9227/2023, Rv. 667481 – 01).

Giova, inoltre, ricordare che l’oggetto del giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione o di occupazione temporanea è la congruità e conformità di essa ai criteri di legge principi che devono essere coordinati con quello della domanda, con la conseguenza che l’opposizione formulata dall’espropriato potrà condurre solo alla determinazione di un’indennità maggiore, e non inferiore, rispetto a quella calcolata in sede amministrativa, in difetto di una domanda formulata dall’espropriante. Pertanto, nel caso in cui l’accertamento giudiziario conduca ad un risultato sfavorevole per l’espropriato opponente, il giudice dovrà limitarsi a respingere la domanda, altrimenti incorrendo nel vizio di ultrapetizione, salvo che il promotore dell’espropriazione, convenuto in opposizione, abbia ritualmente proposto domanda riconvenzionale di riduzione dell’ammontare (Cass. 15414 del 2019, Rv. 654650 – 01).

Diversa questione sarebbe se, nel caso di specie, il provvedimento giudiziale avesse avuto una natura di sentenza condanna, a seguito della proposizione di domande finalizzate a conseguire il pagamento dell’indennità definitivamente accertata e non contestata (Cass., Sez. 6 – 3, n. 10440/2020, Rv. 657994 – 01). In quel caso si sarebbe posta la questione del pregresso versamento dell’indennità provvisoria.

Né, peraltro, è possibile tenere conto delle allegazioni e della documentazione addotte a sostegno dell’avvenuto pagamento dell’indennità cd provvisoria, in quanto, trattandosi di imposta di registro su atti giudiziari, cd imposta d’atto, i criteri per la determinazione del dovuto devono essere tratti esclusivamente dal titolo sottoposto a tassazione, non potendosi attingere ad elementi ad esso esterni.

Si ricorda, infatti, che, secondo l’art. 20, Interpretazione degli atti, del D.P.R. n. 131 del 1986, “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. (Comma modificato, a decorrere dal 1 gennaio 2018, dall’articolo 1, comma 87, lettera a) della Legge 27 dicembre 2017, n. 205).

La modifica è intervenuta per rettificare un consolidato orientamento giurisprudenziale che caldeggiava, invece, nella previgente formulazione, la qualificazione dell’atto secondo parametri di tipo sostanzialistico e non nominalistico o formale, e suggeriva di tenere conto anche di elementi esterni all’atto e, in particolare, di quelli eventualmente desumibili da atti eventualmente collegati all’atto presentato alla registrazione.

Tutte le questioni, poi, concernenti la retroattività della diposizione da ultimo citata, sono state definitivamente superate con l’introduzione dell’articolo 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145, in forza del quale, l’articolo 1, comma 87, lettera a), della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 131 del 1986.

Si ricorda che i dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione, come modificata, sono stati risolti in termini di infondatezza dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 58 del 2020). In proposito il Giudice delle leggi ha chiarito, infatti, che l’interpretazione evolutiva della giurisprudenza (che richiede, per interpretare l’atto presentato alla registrazione, l’utilizzo di tutti gli elementi extratestuali reperibili dall’interprete) non equivale a un’interpretazione costituzionalmente necessitata. Il legislatore tributario, esercitando in modo non manifestamente arbitrario la propria discrezionalità e intervenendo anche in conseguenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema, ha, infatti, inteso confermare la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili, in coerenza con la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione e rispettando, in tal modo, la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico. Resta riservato alla discrezionalità del legislatore provvedere a un eventuale aggiornamento della disciplina dell’imposta di registro che tenga conto della complessità delle moderne tecniche contrattuali e dell’attuale stato di evoluzione tecnologica. Il giudizio di legittimità costituzionale verte sulla verifica della coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico.

3.3. Alla luce di quanto esposto, il motivo va, dunque, accolto e può essere formulato il seguente principio di diritto “In tema di imposta di registro, su una sentenza resa all’esito di un giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione o di occupazione temporanea, ai fini della determinazione della base imponibile, occorre avere riguardo all’importo complessivamente accertato nell’atto e dallo stesso risultante, trattandosi di provvedimento di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale, restando irrilevanti gli importi eventualmente già corrisposti a titolo di indennità provvisoria; l’oggetto del giudizio di opposizione è, in tal caso, la congruità e conformità ai criteri di legge dell’indennità complessivamente dovuta. Ove, viceversa, il provvedimento giudiziale abbia una natura di sentenza condanna, poiché emesso a seguito della proposizione di domande finalizzate a conseguire il pagamento dell’indennità definitivamente accertata e non contestata, la base imponibile deve essere determinata al netto di quanto già versato a titolo di indennità provvisoria”.

4. Da quanto esposto segue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso per quanto di ragione e il rigetto il primo motivo.

Non risultando necessari ulteriori accertamenti, consegue la cassazione della sentenza impugnata, l’annullamento dell’atto impugnato con l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota dell’1% sull’intero importo accertato dalla sentenza oggetto di registrazione, pari a Euro 742.477,80.

5. Tenuto conto del consolidamento dell’orientamento di legittimità in corso di causa, le spese dell’intero giudizio vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, per quanto di ragione, rigetta il primo; cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, annulla l’atto impositivo impugnato e riconosce dovuta la pretesa impositiva con applicazione dell’aliquota nella misura dell’1% sull’intero importo dell’indennità accertata.

Spese dell’intero giudizio compensate.

Così deciso in Roma il 28 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2025.

Allegati

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