FATTI DI CAUSA
1. – A seguito di un’indagine finanziaria effettuata sulla MADA HOTELS Srl, la Direzione provinciale I di Torino – ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d-bis D.P.R. 600/73 – accertava un reddito di impresa di Euro 826.887,29, un valore della produzione netta di Euro 1.093.558,41 e una maggior IVA dovuta di Euro 88.662,12 sulla base dei seguenti rilievi Rilievo A – determinazione del reddito imponibile da bilancio di verifica dal controllo della documentazione contabile presentata e del bilancio di verifica al 31.12.2008, emergevano voci indeducibili indebitamente dedotte. Per effetto di tali analitiche riprese, l’Ufficio rideterminava la perdita d’esercizio da Euro 35.441,73 a Euro 4.939,05; Rilievo B – maggiori ricavi 1) da indagine bancaria su conti società a seguito delle indagini bancarie eseguite sui conti bancari della società e dei contraddittori svolti con la medesima, l’Ufficio recuperava prelevamenti non giustificati per Euro 50.540,93 e versamenti non giustificati per Euro 363968,58, per un totale di Euro 414.509,51. 2) da indagine bancaria sui soci posto che al 31.12.2008 i soci della Società, facenti parte di un unico nucleo familiare, erano i sig.ri Ma.Vi. (padre), Ma.Ca., Ma.Da. (Figli) e la sig.ra Fu.An. (coniuge e madre) e che i suddetti soci detenevano quote di partecipazione anche nelle società Hennesy Srl, Clubbing Srl, Aston Hotel Srl, attivate le indagini finanziarie sui conti correnti dei soci, l’Ufficio appurava versamenti in contanti non giustificati per complessivi Euro 550.037,89. In assenza di giustificazioni e/o indicazioni diverse da parte dei soci, l’Ufficio riteneva che i versamenti in contanti contestati fossero da imputare all’attività svolta dalle società gestite dagli stessi. L’ammontare dei versamenti in contanti riscontrati veniva ripartito, quindi, in capo alle quattro società facenti riferimento al medesimo nucleo familiare ed in proporzione del volume d’affare risultante dal Registro Iva. Conseguentemente, l’Ufficio accertava in capo alla MADA HOTELS Srl maggiori ricavi non dichiarati per Euro 88.335,72 per un’Iva non dichiarata e versata per Euro 8.833,57. Rilievo C – maggiori ricavi da canoni di locazione Mada Hotel Srl risultava dante causa di due contratti di affitto stipulati con Aston Hotel Srl (canone pattuito Euro 23.000) e con la società Hennesy Srl (canone annuale Euro 144.000,00), società facenti riferimento alla medesima compagine societaria/nucleo familiare. Visti gli accrediti provenienti da Aston Hotel Srl, l’Ufficio presumeva tali redditi già accertati e inclusi al punto B – Maggiori ricavi. L’Ufficio recuperava per contro a tassazione i maggiori ricavi da affitto d’azienda per complessivi Euro 144.000,00 oltre Iva con la società Hennesy Srl, non avendo riscontrato l’esistenza di fatture attive o l’indicazione di tali ricavi da locazione negli appositi bilanci di verifica prodotti. Rilievo D – costi non documentati nel bilancio di verifica al 31.12.2008, la società dichiarava ammortamenti immateriali e materiali per complessivi Euro 143.626,00. Considerato che, in sede di istruttoria, sebbene richiesto, la parte non aveva prodotto il libro beni ammortizzabili, l’Ufficio recuperava tali costi in quanto non idoneamente documentati. Rilievo E – costi indeducibili l’Ufficio recuperava costi di carburante per Euro 2.000 e costi non inerenti dettagliatamente indicati per Euro 39.354,34. – indebita detrazione IVA l’Ufficio recuperava analiticamente l’IVA relativa ad un costo non inerente per Euro 170,00. Conseguentemente, in data 9.12.2013, l’Ufficio notificava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) presso la sede operativa/effettiva della Mada Hotel Srl In data 13.12.2014 l’Ufficio notificava, altresì, il medesimo atto impositivo al rappresentante legale della società.
Proposta senza esito l’istanza di accertamento con adesione, la società proponeva ricorso dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Torino.
L’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
La Commissione tributaria provinciale di Torino, con sentenza n. 1235/05/2015, dichiarava l’inammissibilità del ricorso.
2. – La società proponeva appello avverso la decisione.
L’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza 334/04/2017, ha accolto parzialmente l’appello. In particolare, veniva annullata, in quanto illegittima, la ripresa dei conti bancari dei soci, sia la ripresa delle operazioni bancarie della società. Parimenti sono state escluse le riprese fiscali basate sui prelievi bancari. Sono stati invece riconosciuti gli ammortamenti, in presenza di immobili di valore per oltre 5 milioni di euro. In riforma della decisione di primo grado, si è pertanto accertato un maggior valore imponibile ai fini delle imposte dirette di Euro 206.354,34 e un maggior imponibile ai fini IVA di Euro 167.000, cui corrisponde una IVA di 33.400, e una minore detrazione di imponibile IVA per Euro 39.354,34, cui corrisponde una IVA di 7.098,48.
3. – L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La società contribuente non ha svolto attività difensiva.
4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 145 cod. proc. civ. e dell’art. 46 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. Parte ricorrente contesta la pronuncia della Commissione tributaria regionale nella parte in cui ha ritenuto invalida la notifica effettuata presso la sede operativa della società, ubicata in P, (Omissis), così come risultava dalla documentazione allegata in giudizio dall’Ufficio, nonché dall’indicazione effettuata dallo stesso ricorrente in sede di ricorso introduttivo. Al riguardo, si rammenta che per costante giurisprudenza di legittimità la notificazione nei confronti di una persona giuridica è valida anche quando eseguita presso la sede “effettiva” anziché presso la sede legale poiché, laddove la sede legale dell’ente sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare sede anche quest’ultima (ex sent. n. 21942/2010; 17590/2009; 24622/2008 n. 2671/2005; 3620/2004). A tal fine vengono richiamate talune circostanze da cui sarebbe possibile dedurre che i locali situati in P, (Omissis), costituissero sede effettiva della società contribuente (tra cui le interrogazioni alla CCIAA prodotte in giudizio; presenza di una persona che ha ricevuto l’atto per conto della società; concessione in locazione del complesso immobiliare ha da altre società riferita all’anno di imposta oggetto di accertamento (2008) e non al momento della notifica, avvenuta nel 2013).
1.1. – Il motivo è infondato.
L’avviso di accertamento tributario ha la natura giuridica di atto amministrativo, in quanto espressione della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria, e non di atto processuale o comunque funzionale al processo, poiché l’instaurazione del procedimento giurisdizionale non si correla all’emissione di un atto impositivo o alla sua notificazione al contribuente, bensì alla proposizione del ricorso innanzi alla Corte di giustizia tributaria (Cass., Sez. V, 16 febbraio 2023, n. 4824). La denunciata illegittimità o tardività della notifica dell’avviso di accertamento non si traduce in un error in procedendo, attesa la natura sostanziale e non processuale dell’atto impositivo, e ciò impedisce alla S.C. di controllare direttamente, quale giudice del fatto processuale, la data di perfezionamento, trattandosi di verifica rimessa al giudice di merito (Cass., Sez. V, 29 gennaio 2024, n. 2630), e non di nullità del procedimento, in quanto la notificazione dell’avviso di accertamento non costituisce atto del processo tributario, ma
riguarda solo un presupposto per l’impugnabilità davanti al giudice tributario della cartella esattoriale (Cass., Sez. V, 29 novembre 2022, n. 35014). L’accertamento in ordine alle modalità seguite al fine dell’effettuazione della notificazione della cartella esattoriale costituisce accertamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità solamente per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. I, 9 novembre 2004, n. 21353), nei limiti in cui tale vizio è tuttora censurabile in base alla disciplina vigente. L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, Cass., Sez. II, 20 giugno 2024, n. 17005, mentre il vizio di motivazione è ammissibile solo se vi è stata lesione del “minimo costituzionale” garantito dall’art. 111 Cost., Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090.
Nel caso di specie, con accertamento in fatto, non censurabile in questa sede se non nei limiti richiamati dalla giurisprudenza di legittimità, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che l’unica notifica valida sia quella effettuata nelle mani del nuovo amministratore dopo il decesso del precedente, risultando l’avvenuta cessione a società terze dell’attività svolta nella sede indicata dall’Agenzia, come risultante dallo stesso atto di accertamento. Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che la notificazione possa essere effettuata presso una sede diversa da quella legale (Cass., Sez. IV, 10 febbraio 2005, n. 2671) a condizione che sia accertata l’esistenza della sede effettiva, in caso di contestazione gravando sul notificante il relativo onere probatorio (Cass., Sez. VI-5, 18 gennaio 2017, n. 1248; Cass., Sez. III, 19 novembre 2003, n. 17519), nella specie ritenuto non soddisfatto dai giudici del merito con giudizio in fatto non censurabile in questa sede.
2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 D.P.R. 600/73, dell’art. 51 D.P.R. 633/1972 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione tributaria regionale, in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 1739/07; 9573/07; 21125/10; 21132/11; 21302/2013), avrebbe erroneamente annullato la ripresa a tassazione relativa alle indagini finanziarie, eseguite sia sui conti della società, sia sui conti dei soci, violando il combinato disposto degli artt. 2697 cod. civ. e 32 D.P.R. 600/1973 sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione e contribuente con specifico riguardo alle risultanze delle indagini bancarie. Le presunzioni rinvenienti negli artt. 32 D.P.R. 600/73 e 51 D.P.R. 633/1972 postulano invero che tanto i prelevamenti quanto i versamenti operati sui conti correnti bancari vadano imputati ai ricavi conseguiti e alle operazioni imponibili effettuate dal contribuente, se questi non dimostri di averne tenuto conto nella base imponibile, oppure se non fornisca la prova che tali operazioni siano estranee alla produzione del reddito o non imponibili ai fini IVA. Il quadro normativo e giurisprudenziale delineato non consente al contribuente di apprestare una prova generica, richiedendosi, ai fini dell’adempimento dell’onere probatorio richiesto, una prova contraria “circostanziata” e analitica su ogni versamento confluito in conto e su ogni prelevamento comunque effettuato, dimostrando in tal modo che gli elementi desumibili dalla movimentatone bancaria non siano riferibili ad operatori imponibili. Per quanto concerne, poi, la ripresa a tassazione effettuata sulla base del risultato delle indagini finanziarie svolte in capo ai soci, ritenuta illegittima dalla Commissione tributaria regionale per la mancata allegazione della documentazione bancaria di supporto e per l’asserita arbitrarietà dell’imputazione pro quota in capo a diverse società delle somme versate su tali conti, parte di corrente precisa che, oltre alla MADA HOTELS Srl, i sig.ri Ma. e la sig.ra Fu.An. risultavano titolari di quote di altre società, quali la Hennessy Srl, la Aston Hotel Srl e la Clubbing Srl operanti nel medesimo settore (discoteche/alberghi). Come la MADA HOTELS Srl, anche per le altre società riferibili al medesimo gruppo, per l’anno in questione, le dichiarazioni presentate hanno indicato redditi meramente figurativi. A seguito delle indagini finanziarie eseguite sulle posizioni dei singoli soci, l’Ufficio ha constatato versamenti di assegni e denaro contante sui conti personali dei soci per complessivi Euro 550.037,89 che sono stati imputati in capo alle quattro società in ragione del fatturato di ciascuna risultante dai registri IVA (e dunque secondo un preciso criterio e non in modo arbitrario come affermato dalla Commissione tributaria regionale). Anche in questo caso, la società non ha fornito alcuna giustificazione in merito agli importi contestati.
2.1. – Il motivo è fondato.
In tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass., Sez. V, 20 febbraio 2025, n. 4553; Cass., Sez. V, 30 giugno 2020, n. 13112; Cass., Sez. VI-5, 3 maggio 2018, n. 10480).
Nel caso di specie sussiste la violazione dell’onere della prova a fronte dell’accertamento compiuto sulla base dei movimenti bancari della società, avendo la Commissione tributaria regionale genericamente ritenuto che i costi aziendali fossero compatibili con i prelievi e il fatturato e che l’accertamento fosse privo di una ricostruzione contabile e precisa fondata su estratti conto non prodotti. L’Agenzia delle entrate, infatti, non era tenuta a effettuare la ricostruzione contabile dei movimenti risultanti dei conti bancari, essendo onere del contribuente fornire adeguata documentazione che comprovasse, analiticamente, la mancanza di rilievo reddituale degli importi oggetto di contestazione. Analogamente, riguardo alla posizione dei soci, emergevano versamenti di assegni e denaro contante sui loro conti personali per un importo complessivo pari ad Euro 550.037,89, senza che sia stata fornita alcuna giustificazione in merito.
3. – Con il terzo motivo si prospetta la violazione dell’art. 36, D.Lgs. 546/1992. Vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. Con specifico riferimento al rilievo inerente i costi non documentati per ammortamenti di immobilizzazioni immateriali e materiali, rispettivamente per Euro 52.680,79 e 90.945,98, la Commissione tributaria regionale si è limitata ad affermare che “in presenza di immobili di valore, come riconosciuto dallo stesso ufficio (pag. 5 accertamento) per oltre 5.000.000 di Euro i costi per ammortamento possono e devono essere riconosciuti”. Tale motivazione sarebbe priva dell’illustrazione delle ragioni per cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto dimostrata la correttezza degli ammortamenti effettuati dalla Società, peraltro anche con riferimento alle immobilizzazioni immateriali, che non possono essere giustificate dalla presenza di immobili.
3.1. – Il motivo è fondato.
Si tratta, evidentemente, di un’ipotesi di assenza di motivazione effettiva, che impedisce di comprendere le ragioni che hanno portato a riconoscere le ragioni della contribuente, con conseguente violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché – come nel caso di specie – il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
4. – Il ricorso va dunque accolto.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma il 31 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2025.
