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Cassazione civile sez. lav., 29/01/2025, n.2071

Massima

Le assenze del lavoratore dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale non sono considerate nel periodo di comporto quando l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo derivano da fattori nocivi presenti nell’ambiente di lavoro, ma anche quando il datore di lavoro è responsabile di tale situazione dannosa. Il datore di lavoro è tenuto a adottare le misure necessarie per proteggere l’integrità fisica e morale del lavoratore, conformemente all’art. 2087 del codice civile. In tali casi, l’impossibilità di svolgere il lavoro è attribuibile al comportamento del datore di lavoro.

Supporto alla lettura

MALATTIA PROFESSIONALE

Per malattia professionale si intende una patologia che insorge a causa dell’attività lavorativa, detta anche tecnopatia, presuppone che il rischio sia provocato dall’attività lavorativa in maniera progressiva e da una serie di atti ripetuti nel tempo, infatti è caratterizzata da un’azione lenta sull’organismo, non violenta e non concentrata nel tempo.

Per fare diagnosi di malattia professionale, possono essere considerate anche le cause extraprofessionali che possono avere contribuito all’insorgere della patologia, purché non siano le sole cause ad aver procurato l’infermità. Va distinta dalla comune malattia, che non è di solito correlata al lavoro (es. l’influenza), e va, inoltre, distinta dall’infortunio, che è invece un evento traumatico che interviene durante l’orario di lavoro, in maniera violenta e concentrata nel tempo.

Deve avere due caratteristiche:

  • essere causata dall’esposizione a determinati rischi correlati al tipo di lavoro, come il contatto con polveri e sostanze nocive, rumore, vibrazioni, radiazioni, o misure organizzative che agiscono negativamente sulla salute;
  • il rischio deve agire in modo prolungato nel tempo e quindi la causa deve essere lenta.

Una volta fatta la diagnosi da parte del medico, è necessario effettuare la denuncia di malattia professionale all’INAIL, compilando l’apposito modulo predisposto dall’ente, che deve essere compilato dalla persona che fa diagnosi di malattia professionale, può quindi essere il medico di base o il medico competente del servizio di prevenzione e protezione aziendale. Denunciata la malattia, l’INAIL deve certificare o meno la presenza della malattia professionale, quindi il lavoratore viene convocato nella sede INAIL territoriale di competenza per essere sottoposto a visita medica e per iniziare l’iter per il riconoscimento della malattia.

Se viene riconosciuta la malattia professionale, e qualora questa impedisca al lavoratore di tornare a lavorare, l’INAIL corrisponde al lavoratore un’indennità dal quarto giorno successivo alla manifestazione della malattia, così retribuita (l’indennità viene calcolata sulla retribuzione corrisposta al dipendente nel 15 giorni prima dell’evento):

  • 60% della retribuzione media giornaliera per i primi 90 giorni;
  • 75% della retribuzione media giornaliera dal 91° giorno fino alla guarigione

Se il dipendente ha riportato un danno biologico, l’indennità di malattia professionale cambia e si ha diritto ad un indennizzo Inail tarato sulla base della percentuale di danno biologico.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RILEVATO CHE

1. la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 4.2.2017 ad Ba.An. (dipendente IV livello con mansioni di addetto alle operazioni ausiliarie di vendita) dalla società Ma. Ma. (che gestisce punti vendita di distribuzione alimentare all’ingrosso nel Lazio) per superamento del periodo di comporto (oltre 180 giorni di assenza per malattia nell’arco di 365 giorni); per l’effetto, ne ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro e condannava la società a corrispondergli a titolo di indennità risarcitoria una somma pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, nonché a regolarizzarne la posizione contributiva e previdenziale dal giorno del licenziamento alla reintegra;

2. il ricorso del lavoratore era stato accolto da Tribunale con ordinanza in esito alla fase sommaria di cui alla legge n. 92/2012, sentiti alcuni informatori; l’ordinanza era stata revocata a seguito di opposizione, svolta CTU medico-legale;

3. la Corte di merito, in particolare, osservava che:

– dal periodo di comporto vanno scomputate le assenze per malattia professionale o connesse allo svolgimento della prestazione lavorativa, sempre che il datore ne sia responsabile ai sensi dell’art. 2087 c.c.;

– nel caso concreto, la malattia laparocele (di natura erniaria) che aveva determinato assenze per malattia del lavoratore anche nel 2016, era da ritenersi di origine professionale (come affermato dal CTU e ritenuto dal Tribunale);

– essa aveva determinato un periodo di assenza dal lavoro nel 2013, con prescrizione del medico aziendale, al rientro, per un anno (giugno 2013 – giugno 2014), di divieto di movimentazione manuale di carichi superiori a 15 kg.;

– in tale periodo, tuttavia, il lavoratore aveva movimentato carichi superiori a tale soglia, secondo gli esiti dell’istruttoria orale, che aveva anche evidenziato la movimentazione di carichi di quantomeno 25 kg. dalla metà del 2012 in avanti;

– sebbene dal 2014 il lavoratore fosse stato dichiarato idoneo alla mansione di scarico merci senza prescrizioni, secondo la CTU la movimentazione di pesi superiore al limite prescritto dal medico aziendale aveva determinato la causazione della recidiva della malattia erniaria nel 2016;

– tale violazione della prescrizione era significativa dell’omessa adozione di tutte le misure necessarie a garantire la tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore ai sensi dell’art. 2087 c.c., con conseguente responsabilità datoriale per la malattia professionale determinante il superamento del comporto, e necessità di scomputo dei relativi giorni di malattia nel periodo considerato, determinandosi quindi il mancato superamento del periodo di comporto contrattuale (il Tribunale aveva invece ritenuto che la mancanza di prescrizioni da parte del medico competente dopo il 2014 escludesse l’imputabilità della malattia a colpa datoriale);

4. avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la società con due motivi; resiste con controricorso il lavoratore; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Diritto
CONSIDERATO CHE

1. parte ricorrente deduce, con il primo motivo, omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti nel giudizio, con conseguenze in ordine all’assenza di nesso causale tra la patologia determinante il superamento del periodo di comporto e la condotta datoriale; sostiene che la Corte di Roma avrebbe dovuto considerare la natura della patologia, non ricollegata o ricollegabile alle mansioni specifiche, e la presenza di fattori patogeni autonomi di carattere generale e di carattere speciale, così da escludere il nesso di causalità tra l’insorgenza dell’affezione e la condotta datoriale, ossia l’eziologia professionale della patologia;

2. con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2110 c.c. in relazione alla ritenuta responsabilità datoriale nella causazione della malattia che ha portato al superamento del comporto; afferma che, essendo il lavoratore risultato idoneo alla mansione senza prescrizioni e limitazioni dal giugno 2014, era avvenuta l’interruzione del nesso causale tra patologia e condotta datoriale, e al datore era stata imputata un’insussistente responsabilità, di natura oggettiva;

3. preliminarmente, osserva il Collegio che è ammissibile la richiesta di rimessione in termini ai fini di considerare tempestivo il deposito del controricorso formulata dalla parte interessata, in quanto il ritardo è stato determinato dalla mancata accettazione telematica dell’atto, contenente messaggio del sistema circa la necessità di verifiche tecniche, problematica non risolta nei termini, ma seguita da tempestiva attivazione per un nuovo deposito del controricorso;

4. invero, il mancato perfezionamento nel termine del deposito telematico di un atto processuale, per causa non imputabile all’interessato, legittima quest’ultimo all’istanza di rimessione in termini, la quale, peraltro, dev’essere proposta in un lasso temporale ragionevolmente contenuto (Cass n. 32296/2023); e, in tema di presupposti per la rimessione in termini, la serie di messaggi pec che scandisce il deposito telematico di atti (descritti dalle “specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale”), così come le indicazioni date dalla Cancelleria alle parti, sono una specie di istruzioni che l’amministrazione della giustizia dà alle parti e, pertanto, sono fonti di affidamento qualificato, meritevole di essere considerato nell’ambito del giudizio ex art. 294, comma 2, c.p.c., laddove, in forza dei loro difetti, s’inseriscano, con ruolo determinante, nella catena causale che sfocia nella decadenza (Cass. n. 30514/2022; cfr. anche Cass. n. 1348/2024);

5. tanto premesso, il primo motivo di ricorso non è fondato;

6. la valutazione dei fatti oggetto della doglianza in esame non è stata omessa, come sostenuto nel motivo, ma compiuta nella sentenza impugnata sulla base delle risultanze istruttorie come descritte nella motivazione, con esiti diversi da quelli propugnati da parte ricorrente;

7. la sentenza impugnata ha fatto riferimento alle risultanze tecniche acquisite in atti, che hanno portato a ritenere dimostrata l’origine professionale della malattia erniaria, sia in riferimento al primo episodio (che aveva determinato le specifiche prescrizioni da parte del medico aziendale) sia, per quanto qui dirimente, in riferimento al secondo episodio, rientrante nel periodo di comporto come computato dal datore di lavoro, ma valutato come una recidiva del primo episodio, collegata causalmente al mancato rispetto delle prescrizioni mediche nel periodo precedente;

8. si tratta di valutazione in fatto congruamente motivata e sorretta da risultanze medico-legali valutate conformemente nel doppio grado (la difforme valutazione tra il Tribunale e la Corte d’Appello attiene all’elemento soggettivo della condotta datoriale, ossia all’imputabilità della responsabilità per la recidiva della malattia, piuttosto che al nesso di causa come accertato tra attività lavorativa e patologia, ed è oggetto del secondo motivo di ricorso):

9. peraltro, il secondo motivo risulta parimenti infondato;

10. la Corte territoriale non ha fatto ricorso a criteri di imputazione oggettiva, ma ha ravvisato i profili di responsabilità datoriale nell’omessa attuazione (o vigilanza sulla corretta attuazione, il che, ai fini che qui interessano, è equivalente) delle prescrizioni sui limiti di peso dei carichi da movimentare nel periodo dopo il rientro dal primo episodio di malattia erniaria di origine professionale, in nesso di causa con la recidiva di tale malattia (oltre che in un generale frequente superamento dei limiti di peso dei carichi da movimentare senza ausilio di mezzi meccanici), nesso di causa non interrotto dalla mancata prescrizione da parte del medico aziendale di limiti individuali nel periodo successivo; è stato cioè accertato in concreto che non sono state seguite le regole di tutela della salute del lavoratore sul carico massimo sollevabile senza ausilio di mezzi meccanici, anche nel periodo antecedente;

11. svolto tale accertamento circa la sussistenza di responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c., la Corte di Roma si è conformata (richiamandola espressamente) alla giurisprudenza di questa Corte, che qui si ribadisce, secondo la quale le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista, appunto, una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.; in questo perimetro, la computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all’obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l’impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata (v. Cass. n. 5413/2003, n. 22248/2004, n. 7037/2011, n. 26307/2014, n. 15972/2017, n. 26498/2018, n. 2527/2020);

12. il ricorso deve, perciò, essere respinto, con regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza;

13. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in Euro 5.500 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 3 dicembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2025.

Allegati

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