Fatto
RILEVATO CHE
1.No.Ma. ha agito davanti al Tribunale di Roma per far accertare l’infondatezza della pretesa di recupero di retribuzioni da parte dell’Autorità di Bacino per giornate non lavorate tra il 12.1.2011 ed il 26.10.2012, in cui la lavoratrice era stata pagata dal proprio datore di lavoro, sul presupposto che l’assenza di quel periodo fosse da ricondurre alla sottoposizione a terapie oncologiche salvavita, che solo successivamente erano state ritenute non rientrare nel comporto e per le quali si era quindi proceduto alla ripetizione dell’indebito;
la Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto infondato l’assunto del Tribunale secondo cui ad impedire il diritto al recupero potesse stare l’affidamento ingenerato dal datore di lavoro, in quanto a giustificare il realizzarsi di un indebito era sufficiente il pagamento intervenuto da parte del datore di lavoro pubblico senza un legittimo titolo che lo permettesse;
quanto alla natura indebita dei pagamenti, la Corte d’Appello ha sostenuto che la mancata riproposizione delle difese rimaste assorbite in primo grado, riguardanti l’interpretazione da dare alla clausola della contrattazione collettiva (art. 21, co. 7-bis, del CCNL comparto enti locali del 6.7.1995) sulla cui base la ricorrente riteneva sussistere il proprio diritto al pagamento della retribuzione nonostante l’assenza e comunque rispetto alla parte di decisione del Tribunale che si fondava su una valutazione “virtualmente” sfavorevole quanto all’interpretazione di tale clausola, fosse ostativa rispetto alla disamina del corrispondente profilo;
in ogni caso la Corte distrettuale ha aggiunto che a quell’interpretazione (secondo cui, in base alla trascrizione della sentenza di primo grado riportata nella sentenza di appello, erano da ritenere interni al comporto – secondo quanto ricavato da un parare Aran – solo i giorni di ricovero ospedaliero e quelli dovuti alla necessità di sottoporsi alle terapie, con “esclusione dei periodi di convalescenza” e comunque con assenze che devono essere “debitamente certificate come avvenute a tale titolo della competente ASL o altra struttura convenzionata”) andava fornita adesione;
2.la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso dell’Autorità di Bacino;
è in atti memoria della ricorrente.
Diritto
CONSIDERATO CHE
1.il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2033 e 1375 c.c. e con esso la ricorrente insiste sul tema dell’affidamento, rilevando come la pretesa di restituzione si fondava non già sulla mancanza obiettiva del presupposto di giustificazione delle assenze, ma sul difetto di produzione di ulteriori documenti, a fronte del fatto che i certificati medici erano stati sempre trasmessi e solo dopo tre anni l’Autorità di bacino aveva preteso ulteriori riscontri, procedendo, in mancanza, ai recuperi;
ciò aveva posto a carico della ricorrente un onere impossibile da soddisfare, stante il tempo trascorso, malgrado le richieste fatte alle strutture presso le quali era stata svolta la cura;
il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c. e si incentra sulla critica alla sentenza impugnata per avere ritenuto la sussistenza di ragioni processuali che avrebbero impedito, stante la mancata tempestiva riproposizione, di riesaminare in appello la questione sul significato della clausola della contrattazione su cui si incentrava la pretesa di recupero;
il terzo motivo assume l’intervenuta violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 21, co. 7 bis del CCNL del 6 luglio 1995, anche nella prospettiva dell’art. 32 della Costituzione e con esso si sostiene che, in base al tenore letterale della norma ed alla stregua di un’interpretazione di essa armonica con il riconoscimento costituzionale del diritto alla salute, le assenze da computare non sono solo quelle dei giorni in cui viene assunta la terapia salvavita, ma anche quelle immediatamente riferibili alle conseguenze, o agli esiti, di essa;
2.il primo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente data la loro connessione logico giuridica, sono infondati;
3.l’art. 21, del CCNL comparto enti locali del 6 luglio 1995, quale integrato dall’art. 10 del CCNL del 14.9.2000, al comma 7 bis, prevede che “in caso di patologie gravi che richiedano terapie salvavita ed altre assimilabili, come ad esempio l’emodialisi, la chemioterapia, il trattamento riabilitativo per soggetti affetti da AIDS, ai fini del presente articolo, sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital ed i giorni di assenza dovuti alle citate terapie, debitamente certificati dalla competente Azienda sanitaria Locale o Struttura Convenzionata. In tali giornate il dipendente ha diritto in ogni caso all’intera retribuzione prevista dal comma 7, lettera a) del presente articolo”;
l’analoga disposizione del CCNL del comparto sanità (art. 24, comma 6-bis, del c.c.n.l. 5 febbraio 1996, quale introdotto dall’art. 9 del c.c.n.l. integrativo del 10 febbraio 2004) è già stata interpretata da questa S.C. nel senso che essa “nel prevedere che sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital” necessari per la somministrazione di terapie salvavita per gravi patologie (come individuate dalla norma), richiede una specifica certificazione da parte della competente Azienda Sanitaria Locale o struttura convenzionata, il cui rilascio può avvenire solo successivamente al verificarsi dell’assenza dovuta all’erogazione della terapia” sicché, “ove detta terapia sia stata prescritta in regime di autosomministrazione, va esclusa la possibilità del riconoscimento del beneficio in mancanza della certificazione delle assenze da parte delle competenti strutture sanitarie, da ritenersi concretamente ottenibile qualora le modalità di erogazione quotidiana delle cure non consentano la presenza in servizio” (Cass. 9 luglio 2009, n. 16148);
ciò è stato affermato facendo leva sul tenore letterale della norma e d’altra parte, non può dirsi che il senso testuale realizzi una violazione dell’art. 32 della Costituzione, né che quest’ultimo principio ne imponga una diversa lettura;
infatti, la previsione ha semplicemente il senso di operare un rigoroso riscontro sulle necessità di assenza per le ragioni in essa indicate, che però non escludono né il diritto a quelle assenze, se motivate e documentate secondo quanto previsto, né ovviamente le cure ed i tempi necessari al conseguente recupero psico-fisico; è pacifico che, per l’intero periodo oggetto di causa, non vi siano state le speciali certificazioni previste dalla disposizione – mentre non possono avere alcun rilievo le disposizioni della successiva contrattazione collettiva menzionate in memoria e che rimettono le attestazioni al medico curante e prevedono incombenti diversi – e ciò sul piano oggettivo radica l’indebito, rispetto all’essere stata in quel frangente pagata la retribuzione;
vale in proposito il principio per cui nel pubblico impiego privatizzato non è configurabile un diritto quesito del dipendente a continuare a percepire – o a trattenere se già corrisposto – un trattamento economico che non trova titolo nel contratto collettivo, nemmeno se di miglior favore, in quanto gli aspetti retributivi sono rimessi alla contrattazione collettiva, sicché, a differenza di quanto accade nel lavoro privato, resta del tutto irrilevante ad escludere l’indebito che la corresponsione da parte del datore pubblico sia avvenuta consapevolmente e volontariamente (tra le molte Cass. 9 maggio 2022, n. 14672);
il mero affidamento non comporta del resto il consolidarsi del diritto e dunque il primo motivo è infondato, potendosi rilevare che Corte Costituzionale 27 gennaio 2023, n. 8 (punto 12 e 12.2.2) ammette (al di là di tutele sul piano delle modalità del recupero, che qui non sono in discussione) la sola tutela risarcitoria, eventualmente attraverso le regole di buona fede ed ove ne sussistano i presupposti, ma in ogni caso la domanda nel caso di specie non è stata impostata su tale piano, ma su quello della giustificatezza del pagamento eseguito, come detto insussistente;
4.la sussistenza dell’indebito e l’assenza di ragioni ostative al suo recupero, essendo in sé sufficienti al fine di disattendere la domanda, rendono superfluo discutere sulla possibilità che avesse o meno il giudice di appello, sul piano processuale, di affrontare il tema dell’interpretazione della clausola collettiva, profilo che è coinvolto dal secondo motivo di impugnazione; quel tema è stato infatti definito in modo coerente con l’interpretazione testuale della norma, quale avallata anche dalla giurisprudenza di questa S.C. sicché quel motivo può restare assorbito;
5.l’interferire della decisione con i temi dell’indebito, della sua ripetizione e dell’affidamento, meglio definiti dalla Corte Costituzionale solo dopo l’introduzione dell’impugnativa di legittimità, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 5 marzo 2025.
Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2025.
