Massima

Il Fondo di garanzia, istituito presso l’INPS per la tutela del trattamento di fine rapporto (TFR) in caso di insolvenza del datore di lavoro, non è tenuto ad alcuna prestazione qualora non sussista il rapporto assicurativo con l’Istituto per difetto dei requisiti normativi. Ai sensi dell’art. 2 della legge 297/1982, nel caso in cui il rapporto di lavoro con l’impresa fallita non rientri nell’obbligo contributivo previsto da tale disposizione—ad esempio, quando si tratti di un contratto a tempo determinato nel settore agricolo—l’intervento del Fondo non è configurabile.

(Rocchina Staiano)

Supporto alla lettura

TFR FONDO GARANZIA/FONDO TESORERIA INPS

Il Fondo di garanzia per il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è stato istituito dall’articolo 2, legge 29 maggio 1982, n. 297, per garantire ai lavoratori subordinati il pagamento del TFR in sostituzione del datore di lavoro insolvente. Successivamente, con gli articoli 1 e 2, decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, l’intervento del Fondo è stato esteso alle retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi del rapporto. Possono chiedere l’intervento del Fondo di garanzia tutti i lavoratori dipendenti da datori di lavoro tenuti al versamento del contributo che abbiano cessato un rapporto di lavoro subordinato, compresi gli apprendisti, i dirigenti di aziende industriali e, dal 1° luglio 2022, anche i giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti. Il Fondo di garanzia interviene con modalità diverse a seconda che il datore di lavoro sia soggetto o meno alle procedure concorsuali (cfr. paragrafo 5 della circolare INPS 26 luglio 2023, n. 70). Dal 1° gennaio 2007 i datori di lavoro privati (a esclusione dei datori di lavoro domestico) con più di 50 dipendenti hanno l’obbligo di versare al Fondo di Tesoreria le quote maturate da ciascun lavoratore e non destinate a forme pensionistiche complementari. La liquidazione della prestazione è effettuata integralmente dal datore di lavoro anche per la quota parte di competenza del Fondo. Al verificarsi di determinate condizioni, previste dalla legge 296/2006, solo il datore di lavoro può inoltrare la domanda di intervento al Fondo di Tesoreria (online o con file xml) per il pagamento diretto al lavoratore del TFR di competenza.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 29.7.2014, la Corte d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo con cui il locale Tribunale aveva ingiunto all’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, di pagare a (omissis) somme a titolo di TFR a seguito del fallimento della sua datrice di lavoro;

che la Corte, nel confermare la sentenza di prime cure, ha ritenuto che il rapporto di lavoro già intrattenuto dall’istante con l’impresa fallita non fosse assoggettato all’obbligo contributivo di cui alla l. n. 297 del 1982, art. 2 essendo a tempo determinato e di natura agricola;

che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (omissis), deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memorie;

che l’INPS ha resistito con controricorso, anch’esso successivamente illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697 e 2909 c.c. e della l. n. 297 del 1982, art. 2, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto incontestato che il precorso rapporto di lavoro avesse natura di bracciantato agricolo a tempo determinato, senza considerare che il datore di lavoro era un imprenditore commerciale, ed altresì per aver ignorato che la misura del suo credito, essendo stata definitivamente accertata in sede fallimentare, non poteva più essere rimessa in discussione dall’INPS in sede di cognizione ordinaria;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte territoriale specificamente considerato la censura di cui a pag. 6 dell’atto di appello, giusta la quale non era possibile rimettere in dubbio l’accertamento del credito effettuato in sede fallimentare;

che, con il terzo motivo, oltre a riproporre la censura dianzi riassunta sub specie di violazione e falsa applicazione della l. n. 297 del 1982, art. 2 la ricorrente si duole di violazione della disposizione ult. cit. anche in relazione al fatto che essa non distingue, ai fini dell’intervento del Fondo di garanzia, tra rapporti di lavoro a tempo determinato a rapporti a tempo indeterminato;

che i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte;

che, al riguardo, va premesso che, superando l’indirizzo già espresso da Cass. n. 24231 del 2014 (secondo cui l’esecutività dello stato passivo che abbia accertato in sede fallimentare l’esistenza e l’ammontare d’un credito per trattamento di fine rapporto in favore di un dipendente dell’imprenditore dichiarato fallito importerebbe il subentro dell’INPS nel debito del datore di lavoro insolvente, senza

che l’istituto previdenziale possa contestare l’assoggettabilità alla procedura concorsuale e l’accertamento ivi operato, al quale resterebbe vincolato sotto il profilo dell’an e del quantum debeatur), questa Corte ha affermato che il fatto che un credito per somme maturate per TFR sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro non può vincolare l’INPS che sia rimasto estraneo alla procedura, dovendo l’Istituto sempre poter contestare l’operatività della garanzia della l. n. 297 del 1982, art. 2 (così Cass. n. 19277 del 2018, cui hanno dato seguito, tra le altre, Cass. nn. 23047 e 26809 del 2018, 7549 e 14348 del 2020);

che, ciò posto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la natura del rapporto di lavoro precorso tra l’odierna ricorrente e la datrice di lavoro dichiarata fallita avesse pacificamente natura di bracciantato agricolo a tempo determinato, essendo rimasta incontestata la circostanza riferita dall’INPS nel ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo secondo cui dalla stessa domanda amministrativa emergerebbe che ella aveva prestato la propria opera quale operaia agricola a tempo determinato, percependo la relativa indennità di disoccupazione agricola (cfr. ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, debitamente trascritto a pagg. 7-8 del controricorso per cassazione, in relazione a pag. 2 della sentenza impugnata);

che, avendo la Corte di merito accertato che la retribuzione percepita dall’odierna ricorrente ratione temporis, in quanto operaia agricola a tempo determinato, includeva il c.d. terzo elemento, che è istituto retributivo contrattuale comprensivo della quota giornaliera dell’indennità di fine rapporto, del tutto correttamente ha escluso che detta quota di retribuzione entrasse a far parte della c.d. retribuzione contributiva, venendo a mancare, in ragione dell’erogazione del TFR giorno per giorno, il presupposto per la sua assicurazione l. n. 297 del 1982, art. 2 (così già Cass. n. 10546 del 2007);

che il Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per la corresponsione del TFR, nei casi di insolvenza del datore di lavoro fallito, non può ritenersi obbligato ad alcuna prestazione nell’ipotesi in cui il rapporto assicurativo presso l’Istituto non sia esistito per difetto dei presupposti di legge (così, da ult., Cass. n. 10475 del 2019); che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2021

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