• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. lav., 26/11/2014, n. 25161

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2014, n. 25161

Massima

L’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato, sancito dall’art. 2105 cod. civ., va integrato in relazione agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., sicché il lavoratore anche nei comportamenti extralavorativi deve attenersi ai principi di correttezza e buona fede, sì da non danneggiare il datore di lavoro.

Supporto alla lettura

IMPUGNAZIONE LICENZIAMENTO

L’impugnazione consiste in un atto scritto con il quale il lavoratore esprime la volontà di contestare la validità del licenziamento.

La legge non richiede per questo atto particolari formule: è infatti sufficiente che il lavoratore manifesti per iscritto e in termini chiari al datore di lavoro che intende opporsi al licenziamento (art.6 Legge 604/1966, modificato dall’art. 32 della Legge 183/2010), il licenziamento può essere impugnato dal lavoratore anche tramite l’intervento del sindacato, e l’impugnazione può essere portata a conoscenza del datore di lavoro con qualsiasi mezzo idoneo, come lettere, telegrammi o fax.

La Legge 183/2010 ha modificato modalità e termini per l’impugnazione del licenziamento:

ha confermato che l’impugnazione del licenziamento deve avvenire entro il termine di 60 giorni dalla data del licenziamento o dalla successiva data di comunicazione dei motivi, ma in merito a ciò che succede successivamente ha escluso l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione e ha contestualmente introdotto una pluralità di mezzi di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso al giudice (le parti avranno comunque la facoltà di richiedere il tentativo di conciliazione, ma saranno altresì libere di ricorrere direttamente all’autorità giudiziaria).
ha radicalmente ridotto i termini concessi al lavoratore per proporre ricorso al giudice, infatti, una volta impugnato per tempo il licenziamento, il lavoratore ha 180 giorni (270 giorni per i licenziamenti intimati prima del 18 luglio 2012) di tempo per depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Se la conciliazione o l’arbitrato vengono rifiutati oppure non è raggiunto il relativo accordo, il lavoratore ha 60 giorni di tempo (dal giorno del rifiuto o del mancato accordo) per depositare il ricorso in tribunale. Nel caso in cui il lavoratore non rispetti i termini di 270 o 60 giorni, l’impugnazione perde efficacia.
Le nuove norme in materia di impugnazione del licenziamento (Legge 183/2010) sono state estese anche ad altre controversie, e in particolare a:

tutti i casi di invalidità del licenziamento
i licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto
il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto
il trasferimento del lavoratore (in tal caso il termine decorre dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento)
l’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro
la cessione di contratto di lavoro nell’ambito di un trasferimento d’azienda
la somministrazione irregolare e tutti gli altri casi in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto
i contratti di lavoro a termine.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1122/011 del 21 dicembre 2011, decidendo sull’impugnazione proposta da (omissis). nei confronti della società Enel distribuzione spa, avverso la sentenza emessa dal Tribunale di L’Aquila il 24 novembre 2010, n. 367/10, rigettava l’appello e compensava tra le parti le spese di giudizio.

2. (omissis) aveva adito il Tribunale di L’Aquila per sentire dichiarare l’illegittimità del licenziamento comminatogli dalla società Enel distribuzione spa, sua datrice di lavoro, a seguito della contestazione disciplinare del 29 dicembre 2006, relativa all’acquisto a titolo oneroso dalla Zona Enel di L’Aquila di un immobile industriale (cabina secondaria in esercizio) con corte annessa costituita da un terreno di mq. 450 per un prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato, in violazione del codice etico aziendale e in conflitto di interessi con l’Enel, indotta in errore sul valore venale del bene.

3. Il Tribunale rigettava la domanda.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado d’Appello ricorre B.T., prospettando dodici motivi di ricorso.

5. Resiste con controricorso la società Enel distribuzione spa.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria, in prossimità dell’udienza, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

In particolare, con la memoria, la società Enel ha dedotto l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 348- ter c.p.c..

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Prima di passare ad esaminare i motivi di ricorso, è opportuno riepilogare la ricostruzione dei fatti per cui è causa, effettuata dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata.

1.1. Il (omissis) nel periodo tra il 1 ottobre 1999 ed il 31 marzo 2002, era stato assegnato alla Unità Gestione e si era occupato, prevalentemente, della gestione del patrimonio immobiliare della società Enel distribuzione, curando, in particolare, le pratiche autorizzative per l’acquisto dei terreni e degli immobili per le cabine secondarie.

In merito ai fatti di causa, gli accertamenti interni venivano effettuati a seguito di alcune lettere inviate, anche a mezzo del proprio legale, il 10 maggio 2006 e il 6 luglio 2006 da tale (omissis).

Nella prima, quest’ultimo evidenziava di aver inviato una richiesta di acquisto del terreno, oggetto di causa, il 21 marzo 2006 e che gli era stato risposto che il bene era già stato ceduto ad altro richiedente; nella seconda, chiedeva ulteriori chiarimenti, in esito ai quali la società accertava che il terreno era stato acquistato dal (omissis), proprio dipendente.

All’esito degli accertamenti, veniva promosso il procedimento disciplinare nei confronti del (omissis) medesimo.

Questi era assegnato all’Unità di Gestione quando, in data 22 ottobre 1999, tale D.P.A. inoltrava all’Enel la richiesta di affitto o, in subordine, di acquisto del terreno oggetto di causa, che veniva protocollata solo il 15 febbraio 2000.

Agli atti vi era una perizia effettuata dal geometra (omissis), datata 24 gennaio 2000, che il (omissis) aveva commissionato oralmente, in violazione delle procedure, e che stimava il valore del bene nella misura di L. 22.500.000, pari ad Euro 11.620,28.

Tale perizia veniva presa a base della determinazione del prezzo di vendita dell’immobile da parte del responsabile di zona della società, ing. (omissis), all’uopo sollecitato dal (omissis).

Il (omissis), tenuto conto del tempo trascorso, quantificava il valore in Euro 20.000,00, attuando una rivalutazione “ad occhio”.

1.2. I fatti, così ricapitolati, ad avviso della Corte d’Appello, erano, del resto, chiaramente evincibili dalla contestazione disciplinare del 29 dicembre/2006, di seguito riportata, ed avevano trovato conferma nell’istruttoria poi espletata: in data 30 marzo 2006, con rogito notarile sottoscritto presso il notaio dott. (omissis), lei ha acquistato a titolo oneroso, dalla zona Enel di (omissis), un immobile industriale (cabina secondaria e in esercizio) con corte annessa costituita da un terreno di 450 metri quadrati … Le contestiamo di aver effettuato tale acquisto per un prezzo notevolmente inferiore rispetto ai valori di mercato, non solo in violazione del codice etico aziendale ed in palese conflitto di interessi con l’Enel, ma anche inducendo la stessa Enel in errore sul valore venale del bene, essendosi avvantaggiato illegittimamente delle informazioni da lei acquisite nello svolgimento delle proprie funzioni presso la ex Unità Gestione della zona di (omissis), ed in particolare della perizia relativa al valore dell’immobile effettuata in data 24 gennaio 2000 dal geometra (omissis). Tale perizia era stata effettuata anteriormente alle modifiche dei vincoli urbanistici e pertanto, al momento della stipula dell’atto di compravendita, il valore indicato risultava notevolmente inferiore al valore di mercato.

Con tale comportamento complessivo lei ha arrecato notevole danno all’azienda e si è rifiutato espressamente di porre in essere qualsiasi atto per attenuare o far venire meno tale danno.

Le contestiamo infine di non aver dato comunicazione al proprio responsabile della situazione di potenziale conflitto di interessi con l’Enel nella quale lei si trovava per le notizie apprese nello svolgimento delle proprie funzioni”.

2. Preliminarmente, occorre precisare che non può trovare applicazione, ratione temporis, quanto previsto dall’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5, circa l’inammissibilità del ricorso di cassazione proposto avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado.

Ed infatti, detto articolo è stato aggiunto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. a) convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e quanto dallo stesso previsto trova applicazione, ai sensi del comma 2 del citato art. 54, ai giudizi d’Appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge (12 agosto 2012, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, intervenuta l’11 agosto 2012, n. 187, S.O.).

3. Può, quindi, passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e degli artt. 1175, 1375 e 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

Il ricorrente contesta la statuizione della Corte d’Appello che ha ritenuto non fondata l’eccepita tardività della contestazione degli addebiti, in quanto la stessa era intervenuta il 29 dicembre 2006, mentre i fatti ascrittigli risalivano al mese di marzo 2006 e al mese di gennaio 2000 (affidamento incarico al geom. omissis.).

Il tempo così trascorso, ad avviso del ricorrente, andava riferito non alla necessità di acquisire ulteriori elementi probatori, ma alla volontà di esercitare una continua pressione sul dipendente al fine di ottenere la retrocessione del bene venduto, come si poteva evincere dalla prova per testi.

L’interlocuzione con il (omissis) metteva in luce che il datore di lavoro almeno dal mese di aprile 2006, o al più tardi da quello successivo, era al corrente di tutti gli elementi della vicenda per cui è giudizio.

Il (omissis), il 19 luglio 2006 era stato convocato per un colloquio relativo alla compravendita in questione dall’ing. (omissis) della Direzione Audit dell’Enel spa (il servizio interno aziendale di controllo vigilanza) per il successivo 20 luglio. Dopo l’incontro l’ing. (omissis) aveva formalizzato alcune domande via e- mail alle quali esso (omissis) aveva immediatamente risposto. Dal 21 luglio 2006 esso ricorrente non aveva più avuto notizie dal datore di lavoro, e solo a metà ottobre veniva contattato dall’ing. (omissis), responsabile di zona di (omissis) di Enel distribuzione, che gli comunicava che l’Audit Enel aveva fatto effettuare perizia che aveva accertato un valore del terreno maggiore di quello pattuito con la compravendita del 30 marzo 2006, invitandolo a restituire la cabina elettrica ed il terreno, in modo da escludere un’eventuale lesione del patrimonio in danno dell’Enel e il pericolo di conseguenze disciplinari.

Gli addebiti prospettati di violazione del codice etico aziendale, conflitto di interessi con Enel, conferimento dell’incarico peritale al geom. (omissis), omessa comunicazione al proprio responsabile della situazione di potenziale conflitto di interessi con Enel, quindi, erano stati contestati tardivamente, senza che vi fosse l’esigenza di indagini approfondite come affermato dal giudice di secondo grado.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 dell’art. 35 Cost. e art. 41 Cost., comma 2, degli artt. 1175, 1345, 1375 e 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso del ricorrente, il comportamento del datore di lavoro che anche dopo la contestazione degli addebiti, nonchè a margine e prima della riunione per l’audizione di esso dipendente, sollecitava la restituzione del bene, anche in relazione all’entità della sanzione disciplinare che sarebbe stata irrogata, oltre a violare il procedimento disciplinare, ledeva i principi costituzionali relativi alla tutela della dignità del lavoratore, e palesava l’illiceità del motivo determinante il licenziamento, reso pertanto nullo, nonchè l’illegittimità della sanzione espulsiva, irrogata per ritorsione.

5. Il primo ed il secondo motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, in quanto investono, nel complesso la correttezza dell’iter procedimentale per l’irrogazione del licenziamento.

I motivi non sono fondati e devono essere rigettati.

Come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito e della tempestività del recesso datoriale, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro; si è, infatti, ritenuto che la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore (cfr., ex multis, Cass. n. 29480 del 2008, Cass. n. 17087 del 2011).

In ordine a tali principi, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che detto requisito deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (citata Cass., n. 29480 del 2008, Cass. n. 20719 del 2013, Cass. n. 15649 del 2010).

Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello, ripercorsa la scansione temporale dei fatti di causa, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, ritenendo che la contestazione aveva ad oggetto fatti complessi in ordine ai quali erano state necessarie indagini approfondite.

In particolare, la Corte d’Appello poneva in rilievo che il contratto di compravendita portava la data del 30 marzo 2006, l’Enel era stata allertata dalle richieste di chiarimenti di un terzo interessato all’acquisto del terreno, che si era rivolto ad un legale, nel luglio 2006, ed aveva acquisito contezza dell’entità del fatto solo a seguito della perizia espletata dall’ing. (omissis) a metà ottobre 2006. A questa erano seguiti incontri e colloqui mirati a definire le diverse responsabilità delle persone coinvolte, nonchè a trovare soluzioni tali da ridurre o elidere il danno, tra cui la retrocessione del bene, fallita per mancanza di una effettiva disponibilità in tal senso del (omissis).

Pertanto, la Corte d’Appello, con congrua motivazione, riteneva che la lettera di contestazione del 29 dicembre 2006 era intervenuta in tempi più che ragionevoli.

Quindi, l’articolata vicenda in cui si inserisce la condotta del (omissis), di cui ha dato congrua contezza la Corte d’Appello, richiedeva per l’accertamento e la valutazione dei fatti un più ampio spazio temporale, incompatibile, peraltro, proprio per gli eventi che si succedevano, con il ritenere che il datore di lavoro avesse inteso soprassedere all’irrogazione del licenziamento, cercando invece, come affermato dalla stessa Corte d’Appello, proprio perchè si intendeva applicare la massima sanzione espulsiva, di verificare se vi fosse una soluzione per scongiurarlo.

Quanto alla dedotta illiceità del motivo determinante del licenziamento, irrogato per ritorsione, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 1324 c.c., la causa illecita e il motivo illecito rilevano ai fini della nullità anche negli atti unilaterali, e dunque, anche nel licenziamento, e che il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizi di motivazione (cfr., Cass. n. 15093 del 2009).

Nella specie, la censura del carattere illecito del licenziamento non è fondata, atteso che, come si è già ricordato, la Corte d’Appello, con congrua motivazione, ha osservato come la sequenza di incontri e colloqui che precedevano il licenziamento, dovevano leggersi come un modo per trovare una soluzione idonea a scongiurarlo e non come una indebita pressione sul lavoratore.

Quindi, non è ravvisabile, nella specie, un licenziamento per ritorsione, assimilabile a quello discriminatorio, vietato dalla L. n. 604 del 1966, art. 4L. n. 300 del 1970, art. 15 e della L. n. 108 del 1990, art. 3 atteso che il licenziamento medesimo non veniva irrogato per la mancata restituzione del bene ma per le condotte come oggetto della contestazione.

6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte d’Appello, erroneamente, invertendo l’onere della prova, conferiva valore di prova piena alle consulenze stragiudiziali di controparte (redatte in data 10 novembre 2006 e in data 12 febbraio 2007, a firma dell’ing. (omissis), delle quali la prima attribuiva al bene, al momento della compravendita, il valore di mercato di Euro 76.000,00, e la seconda, attribuiva al bene, già alla data della perizia (omissis), 24 gennaio 2000, il valore di mercato di Euro 38.000,00), asserendo che per contrastarle esso ricorrente avrebbe dovuto contrapporre una propria consulenza, oppure sollecitare la nomina di CTU. 7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza conseguente all’inosservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La Corte d’Appello, nell’attribuire rilievo alle perizie dell’ing. (omissis) avrebbe posto a fondamento della propria decisione non un fatto provato, ma valutazioni di un terzo, prive anche di valore indiziario, in contrasto con il principio secondo cui il giudice ha l’obbligo di decidere secundum alligata et probata, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c..

8. Con il quinto motivo di ricorso è prospettato il vizio di insufficienza e apoditticità della motivazione in ordine al presunto danno subito dall’Enel distribuzione spa in forza della compravendita inter partes. Contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla dichiarata tardività delle deduzioni difensive dell’appellante relative alle valutazioni contenute nelle perizie (omissis).

Il ricorrente censura la motivazione della Corte d’Appello circa la sussistenza del danno che non vi sarebbe stato in ragione di quanto da esso dedotto nell’atto d’Appello. Tale fatto controverso, il presunto danno, sarebbe decisivo per il giudizio in quanto costituirebbe elemento qualificante degli addebiti contestati al fine del giudizio di congruità dell’irrogata sanzione espulsiva.

La Corte d’Appello, in proposito, attribuiva rilievo alle perizie stragiudiziali di controparte non dando una valida motivazione volta a spiegare le ragioni del proprio convincimento.

9. Il terzo e il quarto e quinto motivo devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. I motivi non sono fondati e devono essere rigettati.

In primo luogo, va ricordato che la giusta causa di licenziamento deve integrare una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, anche a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro (Cass. n. 15654 del 2012, n. 6498 del 2012), che può assumere rilievo nella complessiva valutazione delle circostanze, ma la cui mancanza non esclude di per sè la legittimità del licenziamento.

Occorre, quindi, premettere che nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dal principio del libero convincimento del giudice, non è a quest’ultimo vietato di porre a fondamento della decisione una perizia stragiudiziale, quale prova atipica, anche se contestata dalla controparte, purchè fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione.

Nella specie, il giudice di secondo grado, nei vagliare il motivo di impugnazione con cui si censurava l’operato del giudice di primo grado per aver dato valenza alle due perizie redatte dall’ing. (omissis) (tecnico incaricato dall’Enel distribuzione spa di redigerne una con riferimento all’epoca dell’acquisto – 2006 – e un’altra con riferimento all’epoca dell’epoca della perizia del M. – 2000) in merito al valore del bene, individuato in Euro 76.000,00, prezzo ritenuto dal ricorrente di gran lunga superiore a quello di mercato, ha argomentato in modo congruo sul rilievo probatorio attribuito alle suddette perizie.

La Corte d’Appello, infatti, nell’affermare che detti atti di parte potevano ritenersi attendibili in considerazione del contesto nel corso del quale venivano redatti, ha posto in luce che si trattava di perizie giurate e che erano state svolte senza condizionamenti, come si evinceva dalle dichiarazioni testimoniali rese dall’ing. (omissis), che escludeva di aver preso visione di altre perizie relative al bene, delle quali non era neppure a conoscenza, mentre aveva appreso della compravendita del bene ad un costo inferiore solo prima della seconda perizia, con cui aveva retrodatato il valore di mercato dell’immobile agli anni precedenti, il (omissis) non aveva allegato alcunchè a conforto della propria doglianza, come avrebbe potuto fare producendo una propria consulenza di parte o sollecitando una CTU, indicazioni date dalla Corte d’Appello a titolo esemplificativo della mancanza di una adeguata e tempestiva contestazione.

10. Con il sesto motivo di ricorso è dedotta contraddittorietà ed illogicità della sentenza impugnata in ordine alla asserita violazione delle disposizioni aziendali in ragione del conferimento verbale dell’incarico peritale al geom. (omissis). Tale modalità, assume il (omissis), infatti, rispondeva ad una prassi aziendale consolidata ed assentita.

11. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza di secondo grado.

Occorre rilevare che, come si evince dall’esame della contestazione, l’affidamento verbale dell’incarico al geom. (omissis) non costituisce ex sè oggetto della contestazione disciplinare medesima, ma un presupposto della stessa. Ed infatti, diversamente dalla prospettazione dell’odierno ricorrente, assume rilievo disciplinare l’essersi avvantaggiato al tempo dell’acquisto delle informazioni acquisite con la perizia (omissis).

La Corte d’Appello, nel prendere in esame le circostanze, seppure risalenti nel tempo (2000), relative al coinvolgimento del ricorrente nelle vicende che avevano interessato il terreno, sotto il profilo sia del conferimento verbale della perizia (omissis), sia della mancata successiva formalizzazione dello stesso, non riconduce tali vicende nell’alveo della condotta oggetto di contestazione. Il giudice d’Appello, invece, pone in evidenza, con adeguata motivazione, elementi che concorrono a palesare, nelle condotte realmente contestatele si incentrano sull’acquisto del bene, conflitto di interessi e violazione del vincolo fiduciario.

12. Con il settimo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, essendo incorsa la Corte d’Appello, nello statuire in ordine alla asserita violazione da parte di (omissis) delle disposizioni aziendali con riguardo al conferimento dell’incarico peritale al geom. (omissis), nel vizio di ultrapetizione.

Il giudice di secondo grado, benchè la contestazione avesse riguardo al conferimento verbale dell’incarico peritale, dava rilievo, nel ritenere la sanzionabilità della condotta, anche alla successiva mancata formalizzazione del conferimento dell’incarico al terzo, così violando l’art. 112 c.p.c..

13. Con l’ottavo motivo di ricorso è dedotto vizio di motivazione circa il vaglio della condotta del ricorrente sotto il profilo della lesione del vincolo fiduciario in relazione all’utilizzo della perizia (omissis), al prezzo e all’oggetto della compravendita.

Deduce il ricorrente, ripercorrendo le vicende della compravendita, che la Corte d’Appello, al fine di valutare la condotta osservata dal (omissis), avrebbe dovuto considerare anche la condotta dell’ing. (omissis), responsabile di zona, procuratore della società Enel distribuzione spa, ossia colui che sarebbe stato indotto in errore sul valore reale del bene, mentre l’aveva ritenuta, invece, estranea al giudizio.

14. Con il nono motivo di ricorso è dedotto vizio di motivazione circa il vaglio della condotta del ricorrente successivamente all’acquisto dell’immobile; omesso esame di circostanze decisive.

Assume il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere collaborativo il comportamento tenuto dal (omissis) successivamente alla vendita dell’immobile, al fine della mancanza di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata, e rilevare, anche in ragione dell’attività istruttoria espletata, che non era a lui addebitabile il non aver acconsentito alla retrocessione del bene, atteso che era stata la società Enel distribuzione spa a porre ostacoli in proposito.

15. Il settimo, l’ottavo ed il nono motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.

Richiamando, con specifico riguardo al settimo motivo, quanto già affermato con riguardo al sesto motivo di impugnazione, occorre rilevare che con l’ottavo ed il nono motivo, il ricorrente chiede a questa Corte un inammissibile riesame nel merito sull’impatto del comportamento di esso lavoratore sul rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nonchè dell’attività istruttoria svolta, dal momento che, come costantemente affermato da questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, non consistendo nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito.

Nella specie, la Corte d’Appello, come già ampiamente riportato sopra, ha adeguatamente motivato le proprie statuizioni.

Va premesso che, ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un’analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro;

nondimeno, l’identità delle situazioni riscontrate può essere valorizzata dal giudice per verificare la proporzionalità della sanzione adottata, privando, così, il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa (Cass. n. 10550 del 2013).

La Corte d’Appello, in aderenza ai richiamati principi, ha affermato che la condotta del (omissis), che proponeva l’acquisto al (omissis) e ometteva di chiedere la necessaria autorizzazione al FAT (trattandosi di cabina attiva per la media e bassa tensione), non escludeva la responsabilità dell’appellante, che intendeva acquistare a tutti i costi il terreno di cui conosceva la valutazione di estrema convenienza, per essere stato lui a fare stimare il bene e a proporre quella stima.

Anche sulle vicende successive all’acquisto, intercorse tra il (omissis) e la società datrice di lavoro con riguardo ad una eventuale retrocessione del bene, la Corte d’Appello offre una compiuta lettura delle risultanze istruttorie, che si sottrae al denunciato vizio, richiamando le testimonianze intervenute in merito, dalle quali risultava che alla retrocessione non si era pervenuti perchè il (omissis) adduceva sempre motivazioni diverse per negare il consenso ogni volta che si era vicini a concretizzare l’accordo.

16. Con il decimo motivo di ricorso, in ordine alla statuizione relativa alla sussistenza del conflitto di interessi e alla violazione dell’obbligo di fedeltà da parte di (omissis), è prospettato il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1365 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nell’interpretazione del punto 3.14 del codice etico della società Enel distribuzione spa. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle disp. sulla legge in generale, in punto di interpretazione dell’art. 2105 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3.

Il ricorrente deduce, ai fini dei criteri ermeneutici da applicare, la natura di negozio unilaterale del codice etico.

17. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

La casistica contenuta nell’art. 3.14 del citato codice etico, come affermato dalla Corte d’Appello, ha carattere solo esemplificativo di quelle situazioni “in cui possono manifestarsi conflitti di interessi” o può realizzarsi l'”avvantaggiarsi personale di opportunità di affari di cui” i collaboratori “sono venuti a conoscenza nel corso dello svolgimento delle proprie funzioni”.

Quale atto di autonomia privata l’interpretazione delle sue norme costituisce il risultato di un accertamento di fatto, sindacabile in cassazione solo con riferimento alla sufficienza ed alla non contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. S.U. n. 7443 del 2005).

Nella specie, con congrua motivazione la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente la violazione del codice etico, in quanto le contestazioni disciplinari e alcune circostanze (aver negato al superiore P. di essersi occupato del terreno quando era nell’Unità di Gestione), evidenziavano un comportamento non leale e una condotta attuata al fine di procurarsi un vantaggio, con danno dell’Enel e violazione dell’obbligo di fedeltà.

Anche il profilo di censura relativo all’art. 2105 c.c. non è fondato atteso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’obbligo di fedeltà del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dal testo dell’art. 2105 c.c. cit., il quale deve essere integrato con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono correttezze e buona fede nei comportamenti anche extralavorativi, in ogni caso e necessariamente tali da non danneggiare il datore (Cass. n. 3719 del 1988, n. 7529 del 1995, n. 12489 del 2003).

18. Con l’undicesimo motivo di ricorso è dedotta omessa motivazione circa la sproporzione tra gli addebiti contestati e la sanzione disciplinare espulsiva.

19. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice d’Appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa si sottraggono al riesame in sede di legittimità (ex multis, Cass., n. 7948 del 2011).

Il giudice d’Appello con congrua motivazione, in applicazione del richiamato principio, ha affermato che la condotta del (omissis) relativa alla complessiva vicenda dell’acquisto del bene, violava il dovere di fedeltà di esso lavoratore nei confronti dell’Enel, facendo ritenere congrua la sanzione irrogata.

20. Con il dodicesimo motivo di ricorso è dedotta omessa motivazione sulla contraddizione dei motivi di licenziamento rispetto alla iniziale contestazione degli addebiti.

Espone il ricorrente che mentre nella contestazione si assumeva che esso lavoratore si era avvantaggiato di informazioni acquisite nello svolgimento delle funzioni presso ex Unità Gestione della zona dell’Aquila, nella lettera di licenziamento, invece, si deduceva che si era avvalso della propria posizione funzionale nell’Azienda per procurarsi un ingiusto vantaggio a sè o ad altri o per arrecare danno ad altri.

21. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 6091 del 2010), il principio di necessaria corrispondenza fra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, ma ciò non si verifica quando, contestati fatti capaci di integrare un’astratta previsione legale, il datore di lavoro alleghi nel corso del procedimento disciplinare circostanze confermative o ulteriori prove, su cui il prevenuto possa senza difficoltà contro dedurre. Nella specie, come congruamente e correttamente affermato dalla Corte d’Appello, la discrasia non sussiste atteso la sostanziale coincidenza degli addebiti in ragione delle circostanze di fatto già sopra ampiamente ricordate.

22. Il ricorso deve essere rigettato.

23. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro cento per esborsi, Euro seimila per compensi professionali, spese generali nella misura del 15 per cento dei compensi, e accessori di legge.Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2014.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi