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Cassazione civile sez. lav., 26/06/2006, n. 14712

Massima

I lavoratori hanno diritto alla retribuzione dell’attività lavorativa prestata ed al rimborso delle spese sostenute, per la pulizia degli indumenti di protezione, forniti dal datore di lavoro, risultando affetta da nullità parziale, per contrasto con norme imperative (art. 377 e 379 del d.P.R. n. 547 del 1955, fino alla data di entrata in vigore del d.lg. n. 626 del 1994 ed a norma degli art. 40, comma 1 e 43, commi 3 e 4) la clausola, in senso contrario, del contratto collettivo che, sostituita di diritto dalle stesse norme inderogabili, concorre a conformare i contratti individuali di lavoro, sui quali si fondano i diritti alla retribuzione ed al rimborso spese dei lavoratori.

Supporto alla lettura

RETRIBUZIONE

La retribuzione costituisce il corrispettivo della prestazione fornita dal lavoratore che ha diritto ad un compenso proporzionato alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente a garantire a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Costituzione). In via generale la retribuzione viene determinata liberamente dalle parti, nel rispetto però di un limite minimo, che la giurisprudenza ha individuato nei valori di paga base fissati dai contratti collettivi. Il tfr viene considerato come retribuzione differita. La prescrizione per rivendicare la retribuzione è di 5 anni.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza ora denunciata, la Corte d’appello di Genova confermava – con motivazione parzialmente diversa – la sentenza del Tribunale della stessa sede, che – pronunciando sulle domande proposte dagli attuali ricorrenti principali contro il proprio datore di lavoro, S.p.a. ( omissis) (attuale resistente e ricorrente incidentale), con sede in Genova, per ottenerne la condanna a corrispondere un compenso, un rimborso delle spese e/o il risarcimento del danno per l’attività di pulizia dei propri indumenti di protezione, forniti dall’Azienda – aveva, bensì, ritenuto nulla, per contrasto con norme imperative (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 377 e, successivamente, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 43), la clausola (articolo 20) dei contratti collettivi in vigore nel periodo anteriore al 1 dicembre 1999 – che poneva a carico dei lavoratori la pulizia di detti indumenti, pur imponendone la fornitura al datore di lavoro – ma rigettava, tuttavia, le domande dei lavoratori – ritenendone compensata, dalla retribuzione, l’attività di pulizia degli indumenti – in base a motivazione, diversa appunto, che si articola, essenzialmente, nei passaggi seguenti:

– va confermata la nullità della clausola contrattuale – per contrasto con norme imperative – in quanto il datore di lavoro ne risulta tenuto a mantenere in efficienza – anche mediante la pulizia – detti indumenti, che – per lavoratori addetti, come nella specie, alla spazzatura e pulizia delle strade ed al ritiro e recupero della spazzatura – costituiscono veri e propri dispositivi di protezione individuale;

– peraltro la delega di tali compiti datoriali è esclusa dalla stessa clausola contrattuale – laddove “pone direttamente a carico dei lavoratori il compito del lavaggio” – e, comunque, “potrebbe ritenersi ammissibile solamente laddove risultasse che la persona delegata sia competente e capace di svolgere i compiti affidatigli, con messa a disposizione, da parte del datore di lavoro, degli strumenti anche economici idonei a prevenire i rischi per la sicurezza”);

– quanto alle conseguenze della confermata dichiarazione di nullità della clausola contrattuale, va parimenti confermato il rigetto delle domande dei lavoratori, ma va disattesa, tuttavia, la motivazione che ne è stata addotta a sostegno;

– infatti i lavoratori hanno “posto in essere sicuramente una attività di facere (lavaggio degli indumenti di lavoro), che non competeva loro, (mentre) l'( omissis) , che era invece tenuta a svolgere tale attività, non l’ha svolta, sicchè ha avuto un risparmio di spese che costituisce un arricchimento senza causa”;

– ne consegue che non è esperibile, da parte degli stessi lavoratori, l’azione di ripetizione d’indebito – in quanto questa “riguard(a) una obbligazione di dare” – ma soltanto l’azione di arricchimento senza causa, che riguarda, appunto, l’obbligazione di facere;

– tuttavia, nella specie, “nessuno degli elementi costitutivi dell’azione di arricchimento è stato allegato”, in quanto “l’azione proposta è diretta ad ottenere il pagamento di un compenso per l’attività svolta (nonchè le spese vive)”.

Avverso la sentenza d’appello, i lavoratori propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’intimata S.p.a. ( omissis) , con sede in Genova, resiste con controricorso e contestualmente propone, in subordine, ricorso incidentale condizionato – affidato a tre motivi – al quale i ricorrenti principali resistono con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso incidentale a quello principale, in quanto proposti separatamente contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. Con il primo motivo del ricorso principale – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2126, 2041, 2042, 2697 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c.), nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) – si censura la sentenza impugnata – per avere ritenuto che dalla nullità della clausola di contratto collettivo (che poneva a carico dei lavoratori, ed attuali ricorrenti principali, la pulizia degli indumenti di protezione forniti dall’Azienda datrice di lavoro), derivasse soltanto l’azione residuale di arricchimento senza causa – sebbene fosse esperibile, nella specie, una azione tipica, disciplinata da disposizione (art. 2126 c.c.), in forza della quale, se, in esecuzione del contratto nullo (anche) per illiceità dell’oggetto o della causa, “Il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione”.

Con il secondo motivo del ricorso principale – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1223 e 1227 c.c., art. 112 c.p.c.), nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) – si censura la sentenza impugnata – per avere ritenuto che dalla nullità della clausola di contratto collettivo (che poneva a carico dei lavoratori, ed attuali ricorrenti – principali, la pulizia degli indumenti di protezione forniti dall’Azienda datrice di lavoro), derivasse soltanto l’azione residuale di arricchimento senza causa – sebbene i lavoratori avessero, comunque, diritto al risarcimento dei danni subiti in dipendenza dell’inadempimento del datore di lavoro al riconosciuto obbligo di effettuare la pulizia degli indumenti di lavoro.

Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 32 Cost., art. 2087 c.c. artt. 112, 115 e 116 c.p.c., D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 377, 378 e 379, D.P.R. 9 marzo 1956, n. 303, art. 4, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 5, 40, 43 e 44), nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) – si censura la sentenza impugnata – per avere ritenuto nulla, per contrasto con norme imperative, la clausola di contratto collettivo (che poneva a carico dei lavoratori, ed attuali ricorrenti principali, la pulizia degli indumenti di protezione forniti dall’Azienda datrice di lavoro) – sebbene “l’obbligo di lavaggio degli indumenti di lavoro/dispositivi di protezione dei dipendenti delle aziende di igiene urbana” non rientri – a norma della disciplina legale in tema si sicurezza ed igiene del lavoro – tra i “doveri primari ed essenziali del datore di lavoro” e, comunque è “suscettibile di delega, con affidamento di detto incarico anche ai lavoratori interessati”, mentre la denegata “inidoneità della delega, sul piano delle attitudini, competenze e capacità del delegato, ” non potrebbe, comunque, determinare la “nullità radicale, ad ogni effetto, della delega stessa”, ma soltanto “la non liberazione e la persistente responsabilità del datore di lavoro delegante”.

Con lo stesso mezzo, si denuncia, altresì, l’intervenuta prescrizione, con riferimento, essenzialmente, ai diritti maturati dai lavoratori nel vigore della disciplina più remota nella soggetta materia (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 377).

Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1362, 1366, 1367, 1369 e 11418 c.c.), nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) – si censura, in subordine, la sentenza impugnata – per avere ritenuto nulla, per contrasto con norme imperative, la clausola di contratto collettivo (che poneva a carico dei lavoratori, ed attuali ricorrenti principali, la pulizia degli indumenti di protezione forniti dall’Azienda datrice di lavoro) – sebbene la stessa clausola recasse la delega ai lavoratori interessati del lavaggio degli indumenti – negata dalla stessa sentenza, per avere interpretato la clausola in violazione degli invocati canoni di ermeneutica contrattuale – e se ne dovesse escludere, per ciò, la dichiarata nullità.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale condizionato – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2099 e 2697 c.c., artt. 112, 114, 115 c.p.c.), nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) – si censura, in ulteriore subordine, la sentenza impugnata per avere, comunque, omesso di considerare, da un lato, che “la remunerazione, in senso lato, dell’attività di lavaggio deve ritenersi ricompressa nel trattamento economico e normativo complessivamente garantito dal CCNL” e, dall’altro, “le carenze del ricorso introduttivo su fatti costitutivi della domanda risarcitoria, nell’an e nel quantum, impedirebbero comunque di entrare nel merito di detta pretesa, in applicazione – in primo luogo – dell’articolo 2697 c.c.”.

All’esito dell’esame congiunto – suggerito dalla reciproca connessione logico-giuridico – il ricorso principale risulta fondato, mentre risulta infondato il ricorso incidentale condizionato.

2. Invero le disposizioni più remote – che disciplinano la dedotta fattispecie (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 377 e 379, Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) – sanciscono testualmente:

– Articolo 377 (Mezzi personali di protezione):

– il datore di lavoro, fermo restando quanto specificatamente previsto in altri articoli del presente decreto, deve mettere a disposizione dei lavoratori meni personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate, qualora manchino o siano insufficienti i mezzi tecnici di protezione.

– I detti mezzi personali di protezione devono possedere i necessari requisiti di resistenza e di idoneità nonchè essere mantenuti in buono stato di conservazione.

– Articolo 379 (Indumenti di protezione):

– Il datore di lavoro deve, quando si è in presenza di lavorazioni, o di operazioni o di condizioni ambientali che presentano pericoli particolari non previsti dalle disposizioni del Capo 3^ del presente Titolo (art. 366 ss.), mettere a disposizione dei lavoratori idonei indumenti di protezione.

Analogamente, le disposizioni più recenti nella stessa materia (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 40, comma 1, e art. 43, commi 3 e 4, spec. lettera a, Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro) sanciscono, a loro volta, testualmente:

– Articolo 40, comma 1 (Definizioni):

– Si intende per dispositivo di protezione individuale (DPI) qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonchè ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.

– Articolo 43, commi 3 e 4, spec. lettera a Obblighi del datore di lavoro).

– 3. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI (dispositivi di protezione individuale) conformi ai requisiti previsti dall’art. 42 e dal decreto di cui all’art. 45, comma 2. – 4. Il datore di lavoro:

– a) mantiene in efficienza i DPI (dispositivi di protezione individuale) e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie (……).

3. Ne risulta, quindi, stabilito – per quanto interessa questo giudizio – che la idoneità degli indumenti di protezione (ed, in genere, dei dispositivi di protezione individuale) – che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori (a norma del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, articoli 377 e 379, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ed a norma dell’art. 40, comma 1, e art. 43, commi 3 e 4, spec. lettera a, di quest’ultimo decreto, dopo la sua entrata in vigore, cit.) – deve sussistere non solo nei momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa, in funzione dello scopo (ratto legis) di assicurare – mediante la prevenzione della insorgenza e della diffusione di infezioni – la tutela della salute, quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (articolo 32 Cost.), con la conseguenza – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine la sentenza n. 11139 del 1998; vedi, altresì, la sentenza n. 9808 del 1997, nonchè – con riferimento alla ipotesi, affatto diversa, del cosiddetto vestiario uniforme obbligatorio – le sentenze n. 17639/2003 e 16686/2004) – che il lavaggio – indispensabile per il mantenimento in stato di efficienza – degli stessi indumenti di protezione non può che essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo imposto dalle disposizioni in esame.

4. Ora la clausola (articolo 20) dei contratti collettivi in vigore nel periodo anteriore al 1 dicembre 1999 – che poneva a carico dei lavoratori la pulizia di detti indumenti di protezione, pur imponendone la fornitura al datore di lavoro – risulta in palese contrasto con le norme imperative esaminate (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, articoli 377 e 379, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ed a norma dell’art. 40, comma 1, e art. 43, commi 3 e 4, spec. Lettera a, di quest’ultimo decreto, dopo la sua entrata in vigore, cit.) e, come tale, inficiata (ai sensi dell’art. 1419 c.c.) da nullità parziale e sostituita di diritto dalle stesse norme imperative (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. n. 3932/2001, 645/99, 9762/96, 1965/90, 42/84, 3293/83).

Infatti è la stessa clausola contrattuale – laddove “pone direttamente a carico dei lavoratori il compito del lavaggio” (sia pure illegittimamente, per quanto si è detto) – ad escluderne, da un lato, la delega ai lavoratori, da parte del datore di lavoro – a prescindere dalla ammissibilità di una delega siffatta, peraltro motivatamente negata dalla sentenza impugnata – e, dall’atro, la remunerazione – asseritamente, “ricompressa nel trattamento economico e normativo complessivamente garantito dal CCNL” – in quanto tale trattamento non può, all’evidenza, compensare l’esecuzione – da parte del lavoratore – di compiti che il medesimo contratto collettivo “pone direttamente a (suo) carico”.

5. Coerentemente, la funzione normativa dei contratti collettivi – di conformare (art. 2077 c.c.), cioè, il contenuto dei contratti individuali di lavoro (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. n. 8576, 11634, 1691/2004, 530/2003, 1298/2000) – resta affidata – nella prospettata ipotesi di nullità parziale – alla clausola contrattuale nulla del contratto collettivo, appunto, come sostituita dalle norme imperative che, per quanto si è detto, ne risultano violate (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 377 e 379, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ed a norma dell’art. 40, comma 1, e art. 43, commi 3 e 4, spec. lettera a, di quest’ultimo decreto, dopo la sua entrata in vigore, cit.).

I dedotti contratti individuali di lavoro – così conformati al contratto collettivo – costituiscono, poi, il titolo (causa petendi), sul quale risulta giuridicamente fondata la domanda principale dei lavoratori (ed attuali ricorrenti principali), diretta ad ottenere la retribuzione dell’attività lavorativa resa ed il rimborso delle spese sostenute – parimenti nell’interesse del datore di lavoro – per la pulizia degli indumenti di protezione forniti dallo stesso datore di lavoro (sostanzialmente nello stesso senso, con riferimento a fattispecie identica, vedi, per tutte, Cass. n. 22929, 24878, 24879, 25092 del 2005).

6. Al prospettato accertamento della nullità parziale di clausola del contratto collettivo – con sostituzione di diritto della clausola nulla – ed alla conformazione dei contratti individuali di lavoro (art. 2077 c.c.) – che ne risulta – non consegue, invece, l’applicazione – pretesa dai lavoratori (ed attuali ricorrenti principali) – della disposizione in tema di prestazione di fatto con violazione di legge (art. 2077 c.c.), in quanto questa presuppone la inesistenza di qualsiasi rapporto giuridicamente rilevante (in tal senso vedi, per tutte, Cass. n. 1646 del 1983) oppure la prestazione del lavoro “con violazione delle norme poste a tutela del lavoratore” norme che nella specie risultano osservate, invece, nella prestazione del lavoro appunto, sia pure imponendo al prestatore, per quanto si è detto, oneri indebiti).

Tuttavia l’esatta qualificazione giuridica della fattispecie controversa può essere operata – anche d’ufficio – dalla Corte di cassazione, quando le circostanze a tal fine rilevanti siano state compiutamente dedotte, dalla parte interessata, nelle fasi di merito – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 14865/2000, 9098/97, 667/^2; vedi, altresì, le sentenze n. 12289, 669/2004, 9168, 7740, 5150, 1928/2003, 10235/2002, 224/2001, 14343/99, concernenti, appunto, l’operazione ermeneutica di qualificazione giuridica) – in funzione della pronuncia su domanda proposta – del pari ritualmente – nelle fasi di merito.

7. Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata – laddove rigetta la domanda principale dei lavoratori (ed attuali ricorrenti principali), diretta ad ottenere la retribuzione dell’attività lavorativa resa ed il rimborso delle spese sostenute per la pulizia degli indumenti di protezione forniti dal datore di lavoro – merita le censure che le vengono mosse con il primo motivo del ricorso principale.

Ne risulta, di conseguenza, assorbito il secondo motivo dello stesso ricorso principale, che investe il rigetto della domanda subordinata di risarcimento del danno, proposta dai medesimi lavoratori (ed attuali ricorrenti principali).

8. Alla luce degli stessi principi di diritto, deve essere, invece, rigettato – perchè infondato – il ricorso incidentale condizionato, sia laddove nega l’obbligo – a carico del datore di lavoro – di “lavaggio degli indumenti di lavoro/dispositivi di protezione dei dipendenti delle aziende di igiene urbana” (primo motivo), sia laddove deduce, in subordine, che il lavaggio degli stessi indumenti sarebbe stato, comunque, delegato ai lavoratori interessati (secondo motivo) o remunerato dal “trattamento economico e normativo complessivamente garantito dal CCNL” (terzo motivo).

Peraltro risulta, all’evidenza, irrilevante – in relazione al prospettato accoglimento della domanda principale dei lavoratori (di retribuzione, appunto, e di rimborso spese) – la denuncia contestuale (terzo motivo) di asserite “carenze del ricorso introduttivo su fatti costitutivi della domanda risarcitoria, nell’an e nel quantum, (che) impedirebbero, comunque, di entrare nel merito di detta pretesa, in applicazione – in primo luogo – dell’articolo 2697 c.c.”.

Quanto, infine, alla denuncia (primo motivo) di asserita prescrizione – con riferimento, essenzialmente, ai diritti maturati nel vigore della disciplina più remota nella soggetta materia (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, articoli 377 e 379, cit.) – la censura risulta inammissibile – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 6542, 6656, 10201/2004, 8247, 2331/2003, 16303, 14905/2002, 8208, 6766, 402/2001) – in quanto la ricorrente incidentale non ottempera – al fine di evitare la declaratoria di inammissibilità, appunto, per la novità della questione – all’onere di indicare specificamente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, in quali atti dei giudizi di merito la stessa ricorrente abbia proposto (e riproposto in appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.) la questione – ora prospettata, appunto, con il primo motivo del ricorso incidentale – non risultando la questione stessa trattata nella sentenza, ora, investita da ricorsi per Cassazione.

9. Pertanto – previa riunione dei ricorsi – deve essere accolto il ricorso principale, mentre deve essere rigettato quello incidentale condizionato.

Per l’effetto, la sentenza impugnata va cassata – in relazione al ricorso accolto – con rinvio ad altro giudice d’appello, designato in dispositivo, perchè proceda al riesame della controversia, uniformandosi ai seguente principio di diritto:

“i lavoratori hanno diritto alla retribuzione dell’attività lavorativa prestata ed al rimborso delle spese sostenute – per la pulizia degli indumenti di protezione, forniti dal datore di lavoro – risultando affetta da nullità parziale – per contrasto con norme imperative (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, articoli 377 e 379, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ed a norma dell’art. 40, comma 1, e art. 43, commi 3 e 4, spec. lettera a, di quest’ultimo decreto, dopo la sua entrata in vigore) – la clausola, in senso contrario, di contratto collettivo, che – sostituita di diritto dalle stesse norme inderogabili – concorre a conformare i contratti individuali di lavoro, sui quali si fondano i prospettati diritti (alla retribuzione, appunto, ed al rimborso spese) dei lavoratori”.

Allo stesso giudice di rinvio, deve essere demandato, altresì, il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione (art. 385 c.p.c., comma 3).

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; Accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale condizionato; Cassa la sentenza impugnata – in relazione al ricorso accolto – con rinvio alla Corte d’appello di Torino, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di Cassazione.Così deciso in Roma, il 8 marzo 2006.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2006

Allegati

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