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Cassazione civile sez. lav., 26/04/2025, n.10966

Massima

Con riguardo alla contestazione della validità e dell’efficacia del licenziamento, la causa petendi va individuata nei motivi di illegittimità specificatamente denunciati nel ricorso introduttivo. Di conseguenza, è inammissibile sollevare in sede di impugnazione profili di illegittimità non tempestivamente dedotti. Tale principio preclude l’introduzione di nuove questioni o domande basate su differenti causae petendi nel corso del giudizio che modificherebbero l’oggetto sostanziale dell’azione o che richiederebbero accertamenti fattuali non contemplati nella domanda iniziale. L’immutabilità della causa petendi si applica sia ai licenziamenti collettivi sia a quelli individuali.

 

Supporto alla lettura

LICENZIAMENTO

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro.
Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento:

  • giusta causa
  • giustificato motivo soggettivo
  • giustificato motivo oggettivo
  • licenziamento orale (o verbale)
  • licenziamento in maternità o in conseguenza del matrimonio

GIUSTA CAUSA

Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).

 

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO

È rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso. Rientra ad esempio il licenziamento per motivi disciplinari.

GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

E’ rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa.
Costituisce pertanto G.M.O. la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.

 

La procedura in tutte queste forme di licenziamento per impugnare è bifasica: impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni. Impugnativa giudiziale nei successivi 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale.

 

LICENZIAMENTO VERBALE O ORALE

E’ il caso in cui il lavoratore viene allontanato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera – mail) ma a voce. Il licenziamento è nullo.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RILEVATO CHE

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Messina, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto la domanda proposta da Ri.Se. nei confronti di (omissis) Srl per l’accertamento della illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 22.2.2022.

2. La Corte territoriale ha premesso che, con riguardo alla tempestiva impugnazione stragiudiziale dell’atto di recesso (inviata il 19.4.2022 al domicilio digitale della società e sottoscritta esclusivamente dal difensore), doveva ritenersi ritualmente conferita la procura da parte del lavoratore all’avv. (omissis), a fronte del deposito in giudizio del mandato nonché dell’attività svolta precedentemente all’impugnazione (in specie, nel dicembre dell’anno 2021) dallo stesso procuratore avverso la medesima società; la Corte ha, poi, rilevato che il licenziamento disciplinare non era stato preceduto dalla contestazione degli addebiti, profilo di invalidità che poteva essere rilevato d’ufficio, con conseguente nullità della sanzione e applicazione dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, posto che – pur a fronte dell’accertata assenza ingiustificata sul posto di lavoro per quattro giorni – la mancanza di una preventiva contestazione integrava il difetto assoluto di giustificazione del licenziamento.

3. Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

Diritto
CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 6 della legge n. 604 del 1966 e 83 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, errato nell’escludere la decadenza del lavoratore dall’impugnazione del licenziamento invero, la procura ad litem inserita nel ricorso introduttivo del giudizio (priva di data ma facente corpo unico con l’atto giudiziario) doveva ritenersi conferita alla data del deposito presso la Cancelleria del Tribunale, ossia in data 13.9.2022, con conseguente decadenza dal diritto ad impugnare l’atto di licenziamento (in possesso del lavoratore sin dal 24.3.2022); ove anche si considerasse il 19.4.2022 quale data nella quale il lavoratore aveva appreso il provvedimento di recesso, in ogni caso lo stesso sarebbe incorso in decadenza, posto che la notifica del ricorso e della procura alle liti è stata effettuata in data successiva al deposito del ricorso (del 13.9.2022), e dunque in data successiva al termine di decadenza per impugnare il licenziamento.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 6 della legge n. 604 del 1966 e 2727 e 2729 c.c., avendo, la Corte territoriale, adottato un ragionamento presuntivo errato in quanto fondato su un unico fatto storico privo del requisito della gravità; invero, la lettera del 15.12.2021 (di richiesta di assegnazione di mansioni compatibili con lo stato di sopravvenuta inabilità del lavoratore) è stata sottoscritta sia dal lavoratore sia dal procuratore, ma da tale circostanza non può inferirsi il conferimento di un mandato in quanto il Ri.Se. non era a conoscenza delle future determinazioni del datore di lavoro.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 c.c., 99, 112, 414 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto rilevabile d’ufficio la violazione della procedura dettata dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970 nonostante secondo orientamento consolidato della Suprema Corte (orientamento successivo a quello richiamato dalla sentenza impugnata) la specialità della normativa dettata in materia di licenziamenti non consente di rilevare d’ufficio una ragione di invalidità del recesso diversa da quella eccepita dalla parte.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge n. 300 del 1970 e 1 del D.L. n. 23 del 2015, avendo, la Corte territoriale, erroneamente applicato la tutela sanzionatoria dettata dallo Statuto dei lavoratori nonostante il Ri.Se. sia stato assunto in data successiva al 7.3.2015 (nella specie, l’1.6.2018) e, dunque, dovesse ritenersi assoggettato al regime giuridico dettato dal D.L. n. 23 del 2015.

5. I primi due motivi ricorso, da trattare congiuntamente in quanto concernenti la validità dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento effettuata dal procuratore, sono inammissibili.

5.1. La Corte territoriale, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha accertato che il procuratore speciale che aveva impugnato il licenziamento in nome e per conto del Ri.Se., era dotato di procura scritta di data antecedente al compimento dell’atto stesso.

5.2. Questa Corte ha affermato che l’impugnativa stragiudiziale ex art. 6, comma 1, della legge n. 604 del 1966, può efficacemente essere eseguita in nome e per conto del lavoratore dal suo difensore, previamente munito di apposita procura scritta, senza che lo stesso sia tenuto a comunicarla o documentarla al datore di lavoro nel termine di sessanta giorni, perché, ferma la necessaria anteriorità della procura, è sufficiente che il difensore manifesti di agire in nome e per conto del proprio assistito e dichiari di avere ricevuto apposito mandato; il datore di lavoro convenuto in giudizio può contestare l’idoneità dell’impugnativa stragiudiziale sottoscritta dal solo difensore, anche se in precedenza non si sia avvalso della facoltà a lui concessa dall’art. 1393 c.c. (Cass. n. 16416 del 2019; in tale aspetto conformi anche Cass. n. 3634 del 2017 e Cass. n. 1444 del 2019; da ultimo, Cass. n. 9650 del 2021). Dall’ipotesi in cui il difensore che impugna è già munito di idonea procura del lavoratore va distinta la fattispecie della ratifica (che non concerne il caso di specie), che deve essere comunicata o notificata al datore di lavoro entro il termine di decadenza di sessanta giorni.

5.3. Con riguardo alla sindacabilità per cassazione del ragionamento presuntivo, è assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito della novella apportata all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. dall’art. 54,D.L. n. 83 del 2012 (conv. con L. n. 134 del 2012), il principio secondo cui spetta al giudice di merito individuare i fatti da porre a fondamento dell’inferenza presuntiva e valutarne la rispondenza ai requisiti di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., con un apprezzamento di fatto che è intangibile in questa sede di legittimità, salvo che si sia omesso l’esame di un qualche fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014 così, tra le più recenti, Cass. nn. 10253 e 18611 del 2021, Cass. n. 25959 del 2023); che, più in particolare, si è precisato (da ultimo da Cass. n. 22366 del 2021) che la censura ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in ordine all’impiego del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito e che la mancata valutazione di un elemento indiziario non può di per sé dare luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, stante che il fatto da provare può considerarsi desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, non potendo l’inferenza logica essere in alcun modo oggettivamente inconfutabile; che, alla stregua delle suesposte considerazioni, è evidente che, nel caso di specie, parte ricorrente, lungi dal denunciare un errore di diritto o l’omesso esame circa un fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014), domanda sostanzialmente a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale i giudici di merito hanno presuntivamente fatto risalire il conferimento del mandato al procuratore speciale già a dicembre 2021.

6. Il terzo motivo di ricorso è fondato.

6.1. La sentenza impugnata, nel ritenere rilevabile d’ufficio la violazione del procedimento disciplinare dettato dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970 (e, in specie, la mancata preventiva contestazione degli addebiti disciplinari), trascura il principio di diritto secondo cui l’impugnazione del licenziamento richiede l’allegazione (tempestiva e rituale), secondo le regole che disciplinano il loro ingresso nel processo del lavoro, dei profili di illegittimità del provvedimento espulsivo.

6.2. Va, invero, ribadito “il consolidato orientamento secondo cui la causa petendi dell’azione proposta dal lavoratore per contestare la validità e l’efficacia del licenziamento va individuata nello specifico motivo di illegittimità dell’atto denunciato nel ricorso introduttivo, con la conseguenza che costituisce inammissibile domanda nuova la prospettazione, in sede di impugnazione, di un profilo di illegittimità non tempestivamente dedotto” (in termini Cass. n. 20397 del 2021; in conformità Cass. n. 8/2020; Cass. n. 18705/2019; Cass. n. 9675/2019; Cass. n. 6950/2019; Cass. n. 23869/2018; Cass. n. 7687/2017).

6.3. Il principio ha trovato applicazione, oltre che costantemente nella materia dei licenziamenti collettivi, anche nelle controversie sui licenziamenti individuali, ad esempio per negare che il lavoratore che abbia impugnato, con il ricorso introduttivo, il provvedimento datoriale di recesso allegandone il carattere ritorsivo, possa successivamente dedurre, in sede di gravame, nuovi profili di illegittimità (come la tardiva contestazione degli addebiti e la non immediatezza della sanzione) perché ciò integra la proposizione di domande nuove, non essendo comunque consentita l’introduzione di una nuova questione nel corso del giudizio di primo grado (Cass. n. 5555 del 2011; v. pure Cass. n. 655 del 2015); si tratta di “proposizione di domande autonome, siccome fondate su ben precise causae petendi (la pretesa assenza di contestazione degli addebiti), implicanti l’esigenza di specifici accertamenti fattuali, e, con ciò stesso, comportanti il mutamento, nei suoi elementi materiali, del fatto costitutivo dedotto in giudizio e la prospettazione di un nuovo tema di indagine e di decisione (non esclusivamente sotto il profilo giuridico), con conseguente alterazione dell’oggetto sostanziale dell’azione e dei termini della controversia (Cass. n. 15795 del 2008 e, in precedenza, Cass., n. 456 del 2000; Cass. n. 13630 del 1999).

7. Il quarto motivo, avente ad oggetto l’individuazione del regime sanzionatorio da applicare al caso di specie, è assorbito.

8. In conclusione, la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, inammissibili i primi due motivi, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte

– accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i primi due motivi, assorbito il quarto;

–cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 27 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2025.

Allegati

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