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Cassazione civile sez. lav., 22/05/2025, n. 13741

Massima

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’accertamento della sua illegittimità da parte del giudice di merito per difetto di idonea prova circa la sussistenza delle ragioni poste a base del recesso, onere che incombe sul datore di lavoro, costituisce una valutazione di fatto non censurabile in sede di legittimità mediante una generica riproposizione di una differente ricostruzione del quadro probatorio o una critica dell’apprezzamento operato dal giudice di merito.

Supporto alla lettura

LICENZIAMENTO

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro.
Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento:

  • giusta causa
  • giustificato motivo soggettivo
  • giustificato motivo oggettivo
  • licenziamento orale (o verbale)
  • licenziamento in maternità o in conseguenza del matrimonio

GIUSTA CAUSA

Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).

 

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO

È rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso. Rientra ad esempio il licenziamento per motivi disciplinari.

GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

E’ rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa.
Costituisce pertanto G.M.O. la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.

 

La procedura in tutte queste forme di licenziamento per impugnare è bifasica: impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni. Impugnativa giudiziale nei successivi 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale.

 

LICENZIAMENTO VERBALE O ORALE

E’ il caso in cui il lavoratore viene allontanato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera – mail) ma a voce. Il licenziamento è nullo.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 1826/2022 il Tribunale di Roma aveva respinto l’opposizione di (omissis) contro l’ordinanza dello stesso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva rigettato il ricorso di detta lavoratrice per l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (soppressione della posizione lavorativa della (omissis)) comunicatole con missiva dell’1.8.2019, ricevuta il 13.8.2019 dal convenuto CENTRO NAZIONALE SPORTIVO LIBERTAS APS.

2. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del reclamo proposto dalla lavoratrice contro la suddetta sentenza e in parziale riforma della stessa, nel resto confermata, dichiarava l’illegittimità del licenziamento della lavoratrice effettuato dal CENTRO NAZIONALE SPORTIVO LIBERTAS APS ed ordinava al reclamato di riassumere la reclamante entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcirle il danno versandole un’indennità pari a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione ed interessi dal dì della maturazione del diritto al saldo.

3. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver richiamato il contenuto testuale della lettera con la quale era stato comunicato il licenziamento impugnato, considerava gli elementi essenziali della motivazione del licenziamento, al netto della vaghezza riscontrata in tale nota; e, riconsiderate le risultanze processuali, giungeva alla conclusione che emergeva il difetto di idonea prova circa la sussistenza del g.m.o. esternato dal datore di lavoro nella lettera di licenziamento, e tanto segnava la illegittimità del recesso per mancanza di giustificazione.

4. La Corte, per altro verso, riteneva che non emergeva una prova idonea del fatto che il licenziamento fosse stato motivato da intenti ritorsivi.

5. Infine, la Corte, considerando applicabile il regime sanzionatorio previsto dall’art. 8 della legge n. 604/1966, riteneva che alla lavoratrice competesse l’indennità ivi prevista nella misura massima di 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

6. Avverso tale decisione il CENTRO NAZIONALE SPORTIVO LIBERTAS APS ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

7. La lavoratrice intimata ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale, a mezzo di unico motivo.

8. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 della legge n. 604/1966 e degli articoli 1324136213631364 codice civile”. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha violato gli articoli indicati in rubrica laddove ha postulato in maniera del tutto erronea che le motivazioni sottese al provvedimento espulsivo fossero generiche, nonché separate ed alternative. La stessa Corte, facendo invece buon governo della norma di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966 e degli articoli codicistici in materia di interpretazione delle clausole di un atto unilaterale, avrebbe dovuto concludere nel senso che le ragioni e motivazioni espresse nella lettera di licenziamento erano assolutamente rispondenti al dato normativo e consentivano sin da subito di verificare – sia per la lavoratrice che per i giudici – l’esistenza e l’effettività del giustificato motivo oggettivo posto alla base del provvedimento espulsivo.

2. Con un secondo motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c. denuncia la “Violazione e falsa applicazione degli articoli 13 e 5 della legge n. 604/1966, dell’art. 2697 codice civile e degli articoli 115 e 116 codice procedura civile”. Per il ricorrente la Corte territoriale ha violato gli articoli in rubrica indicati laddove ha ritenuto che nella fattispecie non fosse sussistente ovvero non fosse provato il giustificato motivo oggettivo posto alla base del provvedimento espulsivo. La Corte avrebbe dovuto invece inferire e concludere nel senso della legittimità del licenziamento comminato e dell’avvenuta prova delle ragioni determinanti quest’ultimo, atteso che vi era stata la soppressione del posto cui era addetta la (omissis) – con riduzione del costo personale, passato da due ad una sola unità – all’esito della necessità per parte datoriale – in conseguenza dell’adozione di un nuovo sistema di contabilità dietro invito del CONI, che peraltro aveva ridotto i contributi in favore del CNS Libertas – di riorganizzazione del settore lavorativo cui era addetta la medesima dipendente poi licenziata.

3. Con il terzo motivo denuncia ex art. 360 n. 5 c.p.c. “omesso esame circa in fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti inserimento della sig.ra (omissis), dipendente dello studio (omissis), all’interno del CNS Libertas per utilizzo del nuovo sistema contabile in luogo della sig.ra (omissis) – Assunzione della (omissis) quale dipendente della CNS Libertas – Successivo licenziamento della (omissis) e cessazione della collaborazione della sig.ra (omissis) – Ridimensionamento dei costi di gestione e dei costi del personale”.

4. Con un quarto motivo denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 604/1966“. Deduce che la Corte territoriale, nel ritenere illegittimo il licenziamento intimato dal CNS Libertas, aveva altresì violato l’art. 8 L. n. 604/1966 laddove aveva riconosciuto alla sig.ra (omissis) il diritto a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ovvero l’aumento massimo dell’indennità prevista nella citata norma. La Corte stessa, invece, in considerazione del numero di dipendenti occupati dal CNS Libertas avrebbe dovuto limitare la misura dell’indennità risarcitoria unicamente tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità.

5. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la lavoratrice intimata deduce la ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 co. 1 n. 3 cpc) per aver la Corte d’Appello errato non reputando che il licenziamento era stato adottato per motivi ritorsivi, facendo mal governo delle acquisizioni processuali, compendiate nel capitolo che precede intitolato “a confutazione delle riportate motivazioni del ricorso (ove fossero ammissibili), reiterazioni delle argomentazioni svolte nei precedenti giudizi, non possono che riportarsi le difese spiegate dalla controricorrente nella fase cautelare, in 1 e 2 grado”‘.

6. Occorre muovere dall’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale, siccome torna ad insistere sulla prospettazione della natura ritorsiva del licenziamento intimato alla lavoratrice, il che, in caso di accoglimento di tale censura, potrebbe portare all’applicazione della tutela reale piena di cui all’art. 18, commi primo e secondo, L. n. 300/1970 e, quindi, di una tutela maggiore di quella, esclusivamente obbligatoria, ottenuta in secondo grado dalla lavoratrice.

6.1. Il sopra riassunto motivo è, tuttavia, inammissibile.

7. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, infatti, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciuti (salvo il divere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (così Cass. n. 13796/2023).

Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuire un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanze probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, n. 5, del c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 20751/2022; Sez. un. n. 20867/2020).

7.1. Ebbene, nella censura in esame, la ricorrente incidentale denuncia cumulativamente la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ma in nessuno dei modi consentiti in questa sede di legittimità.

Difatti, deduce, peraltro genericamente, che la Corte d’Appello avrebbe fatto “mal governo delle acquisizioni processuali”, limitandosi a riferire in base a quale motivazione la stessa Corte aveva ritenuto che non emergesse prova idonea del fatto che il licenziamento fosse stato motivato da intenti ritorsivi e, quindi, a richiamare talune pronunce di legittimità in tema di prova del carattere ritorsivo del licenziamento (cfr. pagg. 25-26 del controricorso).

8. Parimenti inammissibile è il primo motivo del ricorso principale.

9. Esso, infatti, è riferito ad una parte della motivazione, sì presente nella sentenza impugnata (tra la pag. 7 e l’inizio di pag. 9), ma che non integra la ratio decidendi in base alla quale la Corte di merito ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice.

9.1. Più nello specifico, la Corte in sede di reclamo ha senz’altro considerato e commentato il tenore della lettera di licenziamento, evidenziandone “degli elementi di vaghezza”.

Tuttavia, non ha poi tratto da tali rilievi la conclusione che la motivazione dell’impugnato licenziamento fosse assente o carente, in violazione dell’art. 2 L. n. 604/1966, per dichiararne quindi l’inefficacia giusta il comma 3 di quest’ultimo articolo.

9.2. La Corte, piuttosto, come ben risulta dal dispositivo e, meglio e chiaramente, dalla sua motivazione a riguardo, ha dichiarato illegittimo il recesso datoriale, non per tale ipotetico vizio formale, bensì per “il difetto di idonea prova circa la sussistenza del g.m.o.”, come più volte affermato in sentenza (v. in particolare pag. 11).

Invero, come già riferito in narrativa, i giudici di secondo grado, pur avendo messo in luce taluni profili di “vaghezza” del contenuto della nota con la quale veniva comunicato il licenziamento, non li hanno considerati risolutivi, tanto che hanno poi diffusamente esaminato “gli elementi essenziali della motivazione del licenziamento” (v. pagg. 9-11).

10. Il secondo motivo del ricorso principale è complessivamente infondato, presentando diversi profili d’inammissibilità.

11. In particolare, circa la dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 115116 c.p.c. si richiamano i principi di diritto esposti nell’esaminare l’analoga e contrapposta censura della ricorrente incidentale.

Anche il ricorrente principale, infatti, deduce la violazione o falsa applicazione delle suddette norme in termini difformi da quelli consentiti in questa sede di legittimità.

12. Quanto, poi. alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezione e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (v., ex multis, Cass. n. 6374/2023).

12.1. Orbene, il ricorrente principale neanche deduce che la Corte distrettuale abbia illegittimamente invertito l’onere della prova, onere della prova che, come correttamente ricordato dalla stessa (cfr. pag. 9 della sua sentenza), circa la sussistenza del giustificato motivo (oggettivo) del licenziamento incombeva sul datore di lavoro ex art. 5 L. n. 604/1966.

13. Il ricorrente principale, infatti, addebita piuttosto alla Corte di merito di aver fornito “una propria interpretazione disarmonica del complessivo quadro probatorio” (v. pagg. 18 e 24 del ricorso).

13.1. Lo stesso ricorrente, inoltre, propone una propria differente ricostruzione del “complessivo quadro probatorio” (cfr. pagg. 22-28 del ricorso), che non può trovare ingresso in questa sede.

14. Comunque, nell’accertamento fattuale e probatorio operato dalla Corte territoriale non è riscontrabile alcuna offesa ai principi che governano la prova a carico del datore di lavoro della sussistenza del giustificato motivo posto a base del licenziamento.

15. Appare inammissibile il terzo motivo del ricorso principale.

16. Come emerge chiaramente dall’esteso sviluppo di tale censura (cfr. pagg. 29-35 del ricorso), il ricorrente in chiave di omesso esame di più fatti asseritamente decisivi e controversi ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in realtà critica l’accertamento probatorio operato dalla Corte di merito; accertamento che si è fondato su un complessivo apprezzamento delle risultanze processuali, tra le quali è stato considerato anche che “la posizione già ricoperta dalla (omissis) è stata assunta da un’altra dipendente, (omissis), assunta durante il periodo di malattia della (omissis) e poi rimasta presso l’azienda”; fatto che peraltro, secondo la stessa Corte, era “rimasto pacifico” (v. pag. 9 della sua sentenza), e perciò non controverso, come invece sostenuto dal ricorrente.

16.1. E, secondo le Sezioni unite di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così Cass., sez. un., 27.12.2019, n. 34476).

17. È invece fondato il quarto motivo del ricorso principale.

18. Come accennato in narrativa, la Corte d’Appello ha osservato che “Il regime sanzionatorio applicabile è quello previsto dall’art. 8 della legge 604/66, attesa la risalenza del rapporto di lavoro (1988) e la soglia dimensionale della reclamata (pacificamente inferiore ai 15 dipendenti v. lett. v) del ricorso ex art. 1, comma 48, L. n. 92/2012.

Quanto alla sanzione, va considerata anzitutto la grande anzianità della lavoratrice tale da meritare l’aumento massimo dell’indennità -, e poi la dimensione e la struttura non indifferente della reclamata, nonché il comportamento del datore di lavoro e le condizioni delle parti (vedi l’incremento delle attività del Centro Sportivo desumibile dai bilanci 2018 e 2019)”.

Nel dispositivo di sentenza è stato, poi, specificato che l’indennità risarcitoria era pari a “14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”, oltre accessori dalla maturazione del diritto al saldo.

19. Orbene, l’art. 8 L. n. 604/1966, come sostituito dall’art. 2 L. 11 maggio 1990, n. 108, recita “Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni, o in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”.

19.1. Contrariamente a quanto deduce la controricorrente, il testo dell’art. 8 L. n. 604/1966, come novellato dall’art. 2 L. n. 108/1990, in difetto di diversa disciplina di diritto transitorio, è entrato in vigore dopo l’ordinaria vacatio legis a far tempo dalla sua pubblicazione nella G.U., ed è applicabile a tutti i licenziamenti intervenuti dopo l’entrata in vigore del nuovo testo di tale norma, e quindi anche al licenziamento di cui è causa. È infatti ininfluente il dato che la lavoratrice fosse stata assunta dal convenuto nel 1988, e quindi prima di tale entrata in vigore.

20. Ciò rilevato, questa Corte ha chiarito che, in materia di risarcimento dei danni per licenziamento illegittimo, l’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (come modificato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990) consente di superare il limite massimo della indennità risarcitoria, fissato in sei mensilità di retribuzione, ove ricorrano cumulativamente due condizioni anzianità di servizio e dimensione aziendale. Per quanto riguarda questo secondo elemento, l’espressione “datore di lavoro che occupa più di quindici dipendenti” deve essere interpretata nel sistema delle leggi sui limiti alla facoltà di recesso del datore di lavoro e va, quindi, intesa nel senso che la maggiorazione dell’indennità risarcitoria può essere applicata solo al datore di lavoro che occupi complessivamente più di quindici e fino a sessanta dipendenti, distribuiti in unità produttive e ambiti comunali aventi ciascuno meno di quindici dipendenti (così Cass., sez. lav., 10.5.2001, n. 6531).

20.1. La sentenza impugnata in parte qua non è conforme al tenore della previsione di cui al secondo periodo dell’art. 8 L. n. 604/1966 novellato, come interpretato da questa Corte.

In particolare, i giudici del reclamo, da un lato, hanno considerato la grande anzianità della lavoratrice (assunta nel 1988), senza tradurla per la verità in un numero preciso di anni, e, dall’altro, hanno dato per pacifico che la “soglia dimensionale” del reclamato fosse “inferiore ai 15 dipendenti”.

Pertanto, la determinazione dell’indennità risarcitoria in misura pari a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto è contra legem, perché tale misura massima dell’indennità in questione poteva essere decisa alla duplice condizione dell’anzianità di servizio ultraventennale della lavoratrice e del requisito dimensionale costituito dall’occupare il datore di lavoro complessivamente più di quindici e fino a sessanta dipendenti, distribuiti in unità produttive e ambiti comunali aventi ciascuno meno di quindici dipendenti.

La Corte di merito, invece, non ha accertato tale seconda condizione, che deve concorrere con l’altra, ed ha constatato, al contrario, che il datore di lavoro occupava meno di 15 dipendenti.

Per conseguenza, nella specie, la misura dell’indennità risarcitoria non poteva nella specie superare il limite di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, una volta valutati tutti gli elementi indicati nella prima parte dell’art. 8 L. n. 604/1966.

21. In definitiva, dichiarati inammissibili il ricorso incidentale, il primo e il terzo motivo del ricorso principale, e rigettato il secondo motivo dello stesso ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata in accoglimento del quarto motivo del ricorso principale.

21.1. Ritiene, inoltre, il Collegio di poter decidere nel merito a riguardo giusta la seconda ipotesi di cui all’art. 384, comma secondo, c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

In particolare, gli elementi già valorizzati dalla Corte di merito – e, cioè, la notevole anzianità di servizio della lavoratrice, di circa 31 anni all’atto del licenziamento comunicato con missiva dell’1.8.2019 (essendo stata riassunta il 15.1.1988), la dimensione e la struttura non indifferenti del CENTRO NAZIONALE SPORTIVO LIBERTAS APS, il comportamento del datore di lavoro e le condizioni delle parti (la Corte aveva in proposito accertato un incremento di attività del centro desumibile dai bilanci 2018 e 2019) -, giustificano ampiamente la misura massima di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

22. La liquidazione delle spese del doppio grado di giudizio di merito può essere confermata come determinata dalla Corte territoriale; quanto alle spese di questo giudizio di cassazione, avuto riguardo alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso incidentale, ma al limitato accoglimento di un solo motivo del ricorso principale, afferente solo alla misura dell’indennità risarcitoria, dette spese, liquidate per intero come in dispositivo, vanno poste per ¾ a carico delle ricorrente principale, compensando tra le parti il residuo ¼ delle stesse spese.

23. La ricorrente incidentale è tenuta al pagamento del c.d. raddoppio del contributo unificato previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, dichiarati inammissibili il primo ed il terzo motivo, e rigettato il secondo motivo dello stesso ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ridetermina l’indennità risarcitoria in favore della lavoratrice in 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fattoi; conferma la liquidazione delle spese del doppio grado di giudizio di merito operata nell’impugnata sentenza; condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente/ricorrente incidentale, di ¾ delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per l’intero in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 5.500,00 per compensi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, compensando tra le parti il restante ¼ di dette spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma il 7 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2025.

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