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Cassazione civile sez. lav., 20/09/2005, n. 18497

Massima

È possibile il licenziamento del lavoratore che sia stato reintegrato nel posto di lavoro sulla base di un provvedimento cautelare, attesa l’efficacia di siffatto provvedimento, al pari del provvedimento di reintegrazione emesso all’esito del giudizio ordinario, di operare la ricostituzione “ex tunc” del rapporto di lavoro da considerarsi, pertanto, privo di soluzione di continuità. Ne consegue che il nuovo licenziamento ha natura autonoma rispetto al primo e i giudizi sulla loro legittimità non si pongono fra loro in rapporto di pregiudizialità, salve le conseguenze che possono derivare, per il secondo licenziamento, da una conferma della legittimità del primo con sentenza passata in giudicato.

Supporto alla lettura

LICENZIAMENTO

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro.
Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento:

  • giusta causa
  • giustificato motivo soggettivo
  • giustificato motivo oggettivo
  • licenziamento orale (o verbale)
  • licenziamento in maternità o in conseguenza del matrimonio

GIUSTA CAUSA

Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO

È rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso. Rientra ad esempio il licenziamento per motivi disciplinari.

GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

E’ rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa.
Costituisce pertanto G.M.O. la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.

La procedura in tutte queste forme di licenziamento per impugnare è bifasica: impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni. Impugnativa giudiziale nei successivi 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale.

LICENZIAMENTO VERBALE O ORALE

E’ il caso in cui il lavoratore viene allontanato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera – mail) ma a voce. Il licenziamento è nullo.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 19 febbraio 2003 il Tribunale di Milano dichiarava illegittimo il licenziamento irrogato dalla s.r.l. (omissis) Società Sviluppo Commerciale al proprio dipendente (omissis) con lettera in data 24 aprile 2002 e condannava la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno ex art. 18 della legge n. 300 del 1970.

Avverso tale sentenza proponeva appello la s.r.l. (omissis) Società Sviluppo Commerciale lamentandone l’erroneità in relazione ai criteri di calcolo delle assenze del lavoratore adoperati per la valutazione del superamento, o meno, del periodo di comporto.

Con sentenza depositata in data 24 marzo 2004 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, rigettava le domande proposte dal lavoratore. Premesso in fatto che al (omissis) era stato intimato, con lettera datata 13 dicembre 2001, un primo licenziamento per superamento del periodo di comporto (per le assenze concernenti il periodo 3 aprile 2001 – 13 dicembre 2001) e che era pacifico che a quest’ultima data le assenze per malattia computabili nell’ambito del comporto ammontavano a 177, e premesso altresì che il secondo licenziamento (che costituiva l’unico oggetto della controversia sottoposta al suo esame) era stato intimato con lettera 24 aprile 2002 e faceva riferimento alle assenze maturate a decorrere dal 3 aprile 2001, riteneva computabili, ai fini del superamento del comporto in relazione a questo secondo licenziamento le assenze fatte dopo il primo licenziamento (13 dicembre 2001) e fino alla data di effettiva conoscenza, da parte del (omissis) della lettera con la quale gli era stato intimato tale licenziamento, osservando che l’effetto risolutivo del licenziamento, data la sua natura di atto ricettizio, si era verificato solo con la data di arrivo della raccomandata. I cinque giorni di assenza fatti durante questo periodo (giustificati da certificazione medica), sommati ai 177 maturati in precedenza determinavano il superamento del periodo di comporto contrattualmente determinato in 180 giorni.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il (omissis) affidato a due motivi. Si difende con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato la s.r.l. (omissis) Società Sviluppo Commerciale affidato a quattro motivi. Il (omissis) ha notificato controricorso avverso il ricorso incidentale ed la depositato altresì memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi.

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del principio di immutabilità dei motivi di licenziamento di cui agli artt. 2 e 5 della legge n. 604 del 1966, nonché vizio di motivazione. In sostanza, secondo il ricorrente, la Corte di merito, non solo non ha tenuto conto della motivazione posta alla base della prima lettera di licenziamento, ma, nel dare ingresso alle tesi del datore di lavoro, ha spostato la data di riferimento per il calcolo del periodo di comporto alla data in cui il lavoratore ha avuto conoscenza legale del recesso (18 dicembre 2001), con ciò, oltre tutto, entrando nel merito di una materia sottoposta alla cognizione di altro giudice (e cioè quello competente a giudicare del primo licenziamento). Ciò costituisce, ad avviso del ricorrente una palese violazione del principio di immutabilità dei motivi addotti dal datore di lavoro a fondamento del licenziamento. Sotto altro profilo ribadisce l’illegittimità del secondo licenziamento irrogato al lavoratore (quello in data 24 aprile 2002), che costituisce l’unico licenziamento oggetto del presente giudizio, osservando che non possono essere considerate come assenze per malattia, e non possono essere pertanto calcolate nel periodo di comporto, le assenze successive al primo licenziamento atteso che queste ultime sono state determinate dalla impossibilità della prestazione lavorativa dovuta al recesso e non già alla malattia.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 669 decies, 669 terdecies e 112 cod. proc. civ. Deduce che con la decisione in esame la Corte territoriale non solo ha sindacato nel merito questioni relative al primo licenziamento, ma ha anche sostanzialmente revocato il provvedimento cautelare di reintegrazione nel posto di lavoro concesso dal Tribunale di Milano in sede di reclamo in relazione al primo licenziamento, provvedimento che poteva essere revocato solo dal giudice competente a giudicare nel merito su tale licenziamento.

Col primo motivo di ricorso incidentale condizionato la (omissis) s.r.l. denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte di merito ha posto a fondamento della decisione un numero di assenze rilevanti per il comporto (177) senza considerare le contestazioni formulate dalla società in ordine ai criteri di calcolo adottati per pervenire alla suddetta quantificazione.

Col secondo motivo la società ricorrente incidentale denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’applicazione della disciplina degli atti unilaterali ricettizi di cui agli artt. 1334 e 1335 cod. civ. all’atto che poneva termine alla sospensione cautelare che, in quanto atto di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, non può avere carattere unilaterale ricettizio; denuncia altresì vizio di motivazione.

Col terzo motivo la società ricorrente incidentale denuncia vizio di motivazione con riferimento al mancato computo dei giorni di assenza durante i quali la raccomandata del 13 dicembre 2001 era stata intenzionalmente lasciata in giacenza.

Col quarto motivo la società ricorrente incidentale denuncia vizio di motivazione con riferimento al mancato ricalcalo dei giorni di assenza così come risultanti dalle perizie medico-legali prodotte, secondo le quali la patologia denunciata non ebbe alcuna soluzione di continuità per cui non potevano essere esclusi dal computo gli intervalli tra una malattia e l’altra.

I motivi del ricorso principale possono essere considerati unitariamente.

I fatti rilevanti ai fini del presente giudizio sono pacifici e possono essere schematizzati come segue: a) con lettera in data 13 dicembre 2001 la (omissis) srl ha intimato al (omissis) un licenziamento “con effetto immediato” per superamento del periodo di comporto calcolato a decorrere dal 3 aprile 2001; b) con ordinanza in data 11 aprile 2002, emessa in sede di reclamo avverso il provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ. che aveva rigettato il ricorso proposto dal lavoratore, il Tribunale di Milano ha ordinato la reintegrazione del (omissis) nel posto di lavoro avendo ritenuto che, al momento in cui era stato intimato il licenziamento, i giorni di assenza computabili ai fini del comporto ammontassero a 177 e non superassero pertanto la soglia dei 180 giorni prevista dalla contrattazione collettiva; c) con lettera in data 24 aprile 2002 la (omissis) srl ha intimato un nuovo licenziamento per superamento del periodo di comporto facendo riferimento, anche in questo caso, ai giorni di assenza calcolati a decorrere dal 3 aprile 2001; in particolare, ai fini del superamento del periodo di comporto, la società deduce la computabilità, oltre che dei giorni d’assenza per malattia concernenti il periodo 3 aprile 2001 – 13 dicembre 2001 (data di irrogazione del primo licenziamento), anche gli ulteriori 5 giorni trascorsi dal 13 dicembre 2001 al momento in cui il (omissis), assente per malattia, ha avuto conoscenza della lettera di licenziamento datata 13 dicembre 2001; d) l’oggetto del presente giudizio è costituito unicamente da questo secondo licenziamento; e) per quanto riguarda il primo licenziamento risulta dagli atti unicamente che con sentenza in data 4 febbraio 2004 il Tribunale di Milano, decidendo in prime cure, ne ha dichiarato l’illegittimità.

In linea di principio questo Collegio condivide pienamente l’orientamento, ripetutamente espresso da questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 5 aprile 2001 n. 5092) secondo cui l’azione diretta ad invalidare il licenziamento è un’azione di annullamento, ha natura costitutiva e pertanto, fino all’eventuale sentenza di accoglimento e salvi gli effetti retroattivi di questa, il negozio produce regolarmente i suoi effetti; ne consegue che al licenziamento segue la cessazione del rapporto di lavoro e che un ulteriore licenziamento, intimato in corso di causa e prima della sentenza di accoglimento, deve considerarsi privo di ogni effetto per l’impossibilità di adempiere la sua funzione.

Deve peraltro rilevarsi che, nella fattispecie in esame, in relazione al primo licenziamento, è stata ordinata, sia pur in sede cautelare, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Il primo problema che si pone all’esame di questa Corte è quello di stabilire se possa essere validamente intimato un (secondo) licenziamento in pendenza del giudizio di merito sulla validità del primo, quando sia intervenuto un provvedimento di reintegrazione emanato in fase cautelare.

Sulla natura di siffatto provvedimento questa Corte ha ripetutamente affermato che la reintegrazione in via cautelare presenta molteplici profili di differenza rispetto al provvedimento, solo apparentemente analogo, rappresentato dall’ordine di reintegrazione impartito dal Giudice con la sentenza che dichiara l’inefficace o annulla il licenziamento o ne dichiara la nullità ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (cfr., da ultimo, Cass. 9 luglio 2004 n. 12767).

A tale affermazione, che a ben vedere, è essenzialmente fondata sul fatto che l’art. 700 cod. proc. civ. non impone al giudice di anticipare in qualche modo la sentenza conclusiva del giudizio in corso avanti a sé con un provvedimento corrispondente a quello che prevedibilmente sarà il contenuto della stessa sentenza, ma soltanto di emettere i provvedimenti d’urgenza che appaiono secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (cfr., oltre alla sentenza prima citata, Cass. 20 gennaio 1997, n. 551), non può tuttavia attribuirsi valore assoluto. Proprio tenendo conto della libertà concessa al giudice nell’adottare il provvedimento cautelare ritenuto, in relazione alle circostanze, più idoneo alla finalità perseguita deve infatti ritenersi che non sia precluso al giudice di adottare in sede cautelare lo stesso provvedimento richiesto in sede di giudizio ordinario (come ad esempio la reintegrazione) con la conseguenza che tale provvedimento produrrà, sia pure provvisoriamente, in attesa della decisione di merito, gli effetti tipici che ad esso sono connessi. Ove pertanto, come nella specie, sia stato adottato in sede cautelare un provvedimento di reintegrazione nel posto di lavoro, deve ritenersi che questo abbia la stessa efficacia del provvedimento di reintegrazione emesso all’esito del giudizio ordinario e quindi abbia l’effetto di operare la ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro che pertanto deve considerarsi privo di soluzione di continuità (cfr., ex multis, Cass. 23 luglio 1998 n. 7267; Cass. 24 marzo 1998 n. 3131). Del resto non vi sono ragioni concettuali per escludere che il provvedimento cautelare, anticipando gli effetti del provvedimento definitivo, abbia efficacia ex tunc.

La risposta al problema prima enunciato deve essere pertanto positiva nel senso che è possibile il licenziamento del lavoratore che sia stato reintegrato nel posto di lavoro sulla base di un provvedimento cautelare. Del resto, diversamente opinando, si avrebbe l’assurda conseguenza che il lavoratore reintegrato in via provvisoria godrebbe di una sorta di immunità fino al momento della pronuncia di merito che, come nel caso in esame, può intervenire dopo un lasso di tempo molto lungo.

Il nuovo licenziamento ha pertanto natura autonoma rispetto al primo ed i giudizi sulla loro legittimità non si pongono fra loro in rapporto di pregiudizialità, salve le conseguenze che possono derivare per il secondo licenziamento da una conferma della legittimità del primo con sentenza passata in giudicato (cfr., ad esempio, Cass. 8 luglio 1998 n. 6623; Cass. 27 giugno 2000 n. 8751). Deve pertanto escludersi, nella presente fattispecie, la ricorrenza degli estremi per una sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., sospensione che peraltro non è stata richiesta da nessuna delle parti.

Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata sostenendo che, prendendo in considerazione i giorni di malattia posti a fondamento del primo licenziamento, la Corte di merito avrebbe giudicato su una materia sottoposta alla cognizione di altro giudice. Sotto altro profilo il ricorrente ha dedotto che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del principio dell’immutabilità dei motivi posti alla base del licenziamento.

Tali argomentazioni sono prive di pregio. Il secondo licenziamento è basato sul superamento del periodo di comporto con riferimento ad un arco di tempo diverso, sia pur in parte coincidente, rispetto a quello considerato dal primo licenziamento. Non vi è stata pertanto alcuna violazione del principio dell’immutabilità dei fatti posti alla base del licenziamento.

Per quanto riguarda poi la valutazione, da parte della sentenza impugnata, dei giorni di malattia posti a fondamento del primo licenziamento, basta ribadire che il giudizio demandato alla Corte di merito era del tutto autonomo, avendo ad oggetto una diversa fattispecie (e cioè il secondo licenziamento), e che quindi legittimamente, nell’ambito di tale autonomo giudizio, è stata valutata la rilevanza, ai fini del superamento del periodo di comporto posto alla base di tale licenziamento, dei giorni di assenza de quibus. Deve essere del resto sottolineato che non è stata proposta dal ricorrente alcuna censura con riferimento all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui era “pacifico che alla data del 31.12.2001 le assenze per malattia computabili arrivassero comunque al numero di 177”.

Anche l’ultima censura contenuta nel primo motivo di ricorso, concernente l’utilizzabilità, o meno, ai fini del comporto, dei giorni di assenza compresi fra la data della lettera che irrogava il primo licenziamento e quella in cui il (omissis) ha avuto effettiva conoscenza di tale lettera, deve ritenersi infondata. Basterà osservare che il licenziamento è un atto ricettizio, che acquista pertanto efficacia dal momento in cui esso è giunto a conoscenza del destinatario. Non possono essere pertanto ritenuti come imputabili agli effetti del licenziamento i giorni di assenza (per i quali il (omissis) aveva presentato certificazione medica attestante lo stato di malattia) precedenti l’avvenuta conoscenza, da parte del (omissis), del provvedimento risolutivo e quindi legittimamente la sentenza impugnata li ha considerati computabili ai fini del comporto relativamente al secondo licenziamento.

Deve essere infine rigettato il secondo motivo del ricorso principale in quanto, avendo la Corte di merito deciso su un provvedimento di recesso diverso da quello sul quale si era pronunciato il giudice del reclamo, non è configurabile alcuna revoca del provvedimento cautelare emesso da quest’ultimo.

Il ricorso principale deve essere in definitiva rigettato con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale assorbito l’incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 giugno 2005.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 SET. 2005

Allegati

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