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Cassazione civile sez. lav., 18/03/2024, n. 7211

Massima

In tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento della violazione è impugnabile in sede giudiziale unicamente se concerne l’inosservanza di norme sulla circolazione stradale, essendo in questo caso soltanto idoneo ad acquisire il valore e l’efficacia di titolo esecutivo per la riscossione della pena pecuniaria nell’importo direttamente stabilito dalla legge; quando, invece, riguarda il mancato rispetto di norme relative ad altre materie, il verbale non incide “ex se” sulla situazione giuridica soggettiva del presunto contravventore, essendo esclusivamente destinato a contestargli il fatto e a segnalargli la facoltà del pagamento in misura ridotta, in mancanza del quale l’autorità competente valuterà se vada irrogata una sanzione e ne determinerà l’entità, mediante un ulteriore atto, l’ordinanza di ingiunzione, che potrà formare oggetto di opposizione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 689 del 1981. Nella disciplina del codice della strada va quindi confermata l’opponibilità in sede giudiziale già del verbale di accertamento (ora, v. art. 7 D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150), ma ciò in quanto atto che, in mancanza di impugnativa amministrativa o giudiziale è destinato a divenire, esso stesso, titolo esecutivo, come non accade nel sistema generale della L. 689/1981, ove il verbale e l’atto di contestazione sono solo elementi prodromici rispetto alla successiva, ed eventuale, adozione dell’ordinanza ingiunzione, che soltanto costituisce titolo esecutivo (fattispecie in tema di differenza tra la disciplina dei verbali emessi per violazione del codice della strada e quelli emessi dell’Ispettorato del lavoro).

NDR: in tal senso Cass. SU n. 16 del 04/01/2007.

Supporto alla lettura

OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA

Per la violazione di talune norme non penali sono previste sanzioni amministrative (di solito pecuniarie).

Contro il provvedimento che le applica al trasgressore, questi può proporre opposizione per ottenere l’annullamento totale o parziale del provvedimento, o almeno una riduzione della sanzione.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha respinto il gravame proposto da AA in amministratore straordinaria e da XX contro la sentenza che aveva rigettato l’azione di accertamento negativa proposta avverso il verbale di accertamento n. 85620 del 25/09/2018 emesso dall’Ispettorato del Lavoro di Roma.

La Corte d’appello a supporto della decisione ha richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza secondo cui il verbale di accertamento della Direzione del lavoro non è autonomamente impugnabile ed ha pure richiamato la contraria sentenza di legittimità n. 10184/2017 affermando di non condividerla.

Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione AA in amministratore straordinaria e XX con tre motivi ai quali ha resistito l’Ispettorato Territoriale del lavoro di Roma con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria difensiva.

Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Ragioni della decisione

Col primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. per non avere ritenuto sussistente l’interesse ad agire degli odierni ricorrenti, ex art. 360 n. c.p.c., affermando per contro che l’interesse a rivolgersi all’autorità giudiziaria sorgerebbe in concreto soltanto quando l’amministrazione determina l’entità della sanzione e la infligge con l’ordinanza ingiunzione; laddove invece il ricorso introdotto dagli odierni ricorrenti integra un’azione di accertamento negativo volta a rimuovere tramite l’intervento del giudice una situazione di incertezza rappresentata dal rispetto o meno da parte della Compagnia ricorrente della normativa nazionale in tema di riposi e tempi di volo del personale navigante.

E’ infatti la caratteristica dell’azione di mero accertamento quella di richiedere l’intervento giudiziale in presenza di una contestazione di un diritto senza tuttavia che lo stesso sia necessariamente ancora leso. Come prevede l’articolo 100 c.p.c. in quanto per proporre una domanda e per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse; che è la condizione processuale che subordina la facoltà di un soggetto di richiedere una pronuncia giudiziale alla concreta possibilità che da essa discendano effetti favorevoli e giuridicamente apprezzabili per il soggetto medesimo.

Ebbene nel caso di specie l’interesse degli odierni ricorrenti a che venga accertato il rispetto della normativa di cui trattasi sussiste a prescindere dalla esistenza di atti impositivi dell’Ispettorato con la conseguenza che il relativo accertamento giustifica il ricorso al giudice del lavoro. Si configura una situazione di incertezza in merito alla normativa in parola che è obiettiva e attuale e comunque atta a produrre un danno o comunque un pregiudizio concreto che non è eliminabile senza l’intervento del giudice.

Il motivo è infondato, non sussistendo ragioni valide per disattendere il motivato e consolidato orientamento di questa Corte, richiamato dal giudice di appello, il quale afferma la non impugnabilità in via autonoma del verbale di accertamento con il quale vengono contestate sanzioni ammnistrative in materia di lavoro.

Nei termini si è pronunciata anzitutto questa Corte a Sez. Unite con la sentenza n. 16 del 04/01/2007 statuendo che: “In tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento della violazione è impugnabile in sede giudiziale unicamente se concerne l’inosservanza di norme sulla circolazione stradale, essendo in questo caso soltanto idoneo ad acquisire il valore e l’efficacia di titolo esecutivo per la riscossione della pena pecuniaria nell’importo direttamente stabilito dalla legge; quando, invece, riguarda il mancato rispetto di norme relative ad altre materie, il verbale non incide “ex se” sulla situazione giuridica soggettiva del presunto contravventore, essendo esclusivamente destinato a contestargli il fatto e a segnalargli la facoltà del pagamento in misura ridotta, in mancanza del quale l’autorità competente valuterà se vada irrogata una sanzione e ne determinerà l’entità, mediante un ulteriore atto, l’ordinanza di ingiunzione, che potrà formare oggetto di opposizione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 689 del 1981″.

L’orientamento è stato poi ribadito da ultimo da questa sezione lavoro con ordinanza n. 32886 del 19/12/2018, secondo cui: “In tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento ispettivo non è suscettibile di autonoma impugnabilità in sede giurisdizionale, trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale viene invece incisa soltanto quando l’amministrazione, sentite eventualmente le contrarie ragioni dell’interessato, determina l’entità della sanzione e, a conclusione del procedimento amministrativo, la infligge con l’ordinanza ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria” E’ stato osservato nella medesima ordinanza anzitutto che è consolidato il principio per cui “in tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento ispettivo (…) non è suscettibile di autonoma impugnabilità in sede giurisdizionale, trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale viene invece incisa soltanto quando l’amministrazione, sentite eventualmente le contrarie ragioni dell’interessato, determina l’entità della sanzione e, a conclusione del procedimento amministrativo, la infligge con l’ordinanza ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria” (Cass. 12 luglio 2010, n. 16319, Cass. 10 maggio 2010, n. 11281; Cass. 30 agosto 2007, n. 18320).

E’ stato pure evidenziato in tale ultimo provvedimento che la disciplina in discorso “è dunque diversa da quella speciale e tipica prevista dal codice della strada, ove è pacifica l’opponibilità in sede giudiziale già del verbale di accertamento (ora, v. art. 7 D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150), ma ciò in quanto atto che, in mancanza di impugnativa amministrativa o giudiziale è destinato a divenire, esso stesso, titolo esecutivo, come non accade nel sistema generale della L. 689/1981, ove il verbale e l’atto di contestazione sono solo elementi prodromici rispetto alla successiva, ed eventuale, adozione dell’ordinanza ingiunzione, che soltanto costituisce titolo esecutivo”.

Oltre alla menzionata materia della circolazione stradale, va rilevato che, come risulta dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, diversa è pure la disciplina vigente nella materia contributiva, spesso connessa a quella sanzionatoria del lavoro; essendo pacifico che in tale materia sia ammessa ex art. 24, comma 3, del D.Lgs. n. 46 del 1999 l’azione di accertamento negativo con impugnazione del verbale di accertamento contenente la pretesa al pagamento di crediti contributivi (ordinanza n. 1558 del 23/01/2020), atteso che in questo caso lo stesso potere di iscrizione a ruolo è condizionato all’emissione di un provvedimento esecutivo del giudice sul verbale di accertamento impugnato in giudizio (sentenza n. 4032 del 01/03/2016), fatto sempre salvo – in caso di violazione e di avvenuta iscrizione nonostante l’impugnazione – il normale giudizio di cognizione sulla esistenza della pretesa (Cass. n. 6753/2020; n. 12025/2019, n. 9159/2017).

Infine va considerato che come già affermato dalla citata ordinanza n. 32886 del 19/12/2018 nemmeno può dirsi che la normativa, così impostata, solleciti in alcun modo dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3) o dei diritti di difesa (art. 24) ed al giusto processo (art. 111 Cost.), in quanto semmai le garanzie per l’interessato ricevono una ancora maggior tutela, data dal fatto che in esito (o contestualmente) al verbale, deve procedersi alla contestazione delle infrazioni, la quale apre una fase di possibili difese e valutazioni in sede amministrativa, da cui potrebbe anche derivare la rinuncia della PA rispetto alla pretesa sanzionatoria. Da cui si evince pure che nessuna ragione logica giuridica esiste per consentire di adire il giudice prima ancora che si consolidi la pretesa amministrativa con l’eventuale emissione della ordinanza con cui vengono in ipotesi comminate le sanzioni.

Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 comma 1 disp. att. c.p.c. per genericità della motivazione nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost e dell’art. 132,2 comma numero 4 c.p.c. per motivazione per relationem in relazione alla pronunzia di carenza di interesse ad agire (ex art. 360 n. 4 c.p.c.).

Il motivo è infondato non sussistendo genericità, né difetto di motivazione nella sentenza impugnata, avendo la Corte d’appello dato ampia e congrua spiegazione dei motivi del rigetto dell’appello in modo conforme ai precetti anche costituzionali che disciplinano l’obbligo di motivazione ed alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la motivazione è apparente quando, benché graficamente esistente, essa non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. s.u. 3.11.16, n. 22232; Cass. 23.5.19, n. 13977; Cass. 1.3.22, n. 6758), sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo di violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost., individuabile nelle ipotesi (come, tra le altre, quella di motivazione apparente) che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., dando luogo a nullità della sentenza (Cass. s.u. 7.4.14, n. 8053; Cass. 12.10.17, n. 23940).

Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia di un motivo d’appello avendo la Corte del tutto omesso di pronunciarsi sulle questioni sostanziali di merito circa l’insussistenza di qualsiasi violazione e responsabilità su cui già il giudice di primo grado non si era pronunciato in relazione alla correttezza dell’operato aziendale ritenute assorbite dal primo giudice in conseguenza della pronuncia sulla questione preliminare afferente la improponibilità del ricorso per asserita mancanza di interesse.

Anche tale motivo è infondato, avendo la Corte accertato la improponibilità del ricorso ne consegue che del tutto legittimamente ha omesso la decisione del merito.

L’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio, pertanto, deve essere escluso in relazione a una questione – implicitamente o esplicitamente – assorbita in altre statuizioni della sentenza che è suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio se riprospettata con specifica censura (Cass. 13.7.01, n. 9545; Cass. 1.4.03, n. 4975; Cass. 29.2.15, n. 3417);

Pertanto, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va respinto.

Le spese processuali seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo in favore della parte controricorrente; segue altresì il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 1.700,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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