Massima

L’art. 18, comma 4, dell’accordo quadro sulle prerogative sindacali, stipulato il 7 agosto 1998, nel condizionare al previo nulla osta del sindacato di appartenenza il trasferimento del dirigente sindacale “in un’unità operativa ubicata in sede diversa da quella di assegnazione”, rimane nel solco dell’art. 22 della legge n. 300 del 1970, che pure condiziona al nulla osta il trasferimento dalla “unità produttiva”, ma aggiunge il requisito del trasferimento di “sede”, cosicché, per l’accordo quadro, non occorre nulla osta al trasferimento fra unità operative entro la medesima sede, dovendosi ritenere che la nozione di “sede” sia più ampia di quella di “unità produttiva” e, in mancanza di una definizione fornita dall’accordo quadro, sia desumibile dall’art. 1, comma 2, della legge n. 417 del 1978, dettato per i dipendenti statali, secondo il quale “per sede di servizio si intende il centro abitato o la località isolata in cui hanno sede l’ufficio o l’impianto presso il quale il dipendente presta abitualmente servizio”. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso la necessità del nulla osta per il trasferimento del dirigente sindacale ad un settore operativo distante circa duecento metri rispetto a quello di precedente assegnazione).

Supporto alla lettura

STATUTO DEI LAVORATORI

La L. 300/1970 reca “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Si tratta di un corpo normativo fondamentale del diritto del lavoro italiano che, parzialmente modificato e integrato nel corso degli anni, ancora oggi costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali.

  • Titolo I (artt. 1 – 13): disciplina diritti e divieti volti a garantire la libertà e dignità del lavoratore; in particolare in materia di libertà di opinione del lavoratore (art. 1), regolamentazione del potere di controllo (artt. 2 – 6) e disciplinare (art. 7), di mansioni e trasferimenti (art. 13).
  • Titolo II (artt. 14 – 18): dedicato alla libertà sindacale, nell’affermare e disciplinare il principio cardine del diritto di costituire associazioni sindacali nei luoghi di lavoro e di aderirvi (art. 14), sancisce la nullità degli atti discriminatori (art. 15), pone il divieto di costituire o sostenere sindacati di comodo (art. 17) e, allo scopo di rendere effettivi tali diritti, introduce la garanzia della stabilità del posto di lavoro, disponendo le tutele accordate al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (art. 18).
  • Titolo III: si tracciano le prerogative dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, attraverso il riconoscimento al sindacato del potere di operare nella sfera giuridica dell’imprenditore, per il conseguimento dei propri obiettivi di rappresentanza e di tutela. Valgono a tale scopo il fondamentale diritto alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (art. 19), nonché le ulteriori prescrizioni finalizzate a consentire l’esercizio dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, nelle sue varie forme di manifestazione (assemblea, affissione, permessi, locali e garanzie della funzione sindacale – artt. 20 – 27).
  • Titolo IV: oltre alle disposizioni in materia di permessi e aspettative per i dirigenti sindacali (artt. 30 – 32), assume una posizione cruciale l’art. 28, che predispone un particolare strumento giudiziario volto a reprimere condotte antisindacali, in quanto impeditive o limitative dell’esercizio dell’attività sindacale o del diritto di sciopero.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTO E DIRITTO

La CISL FPS di Treviso propose un ricorso ai sensi dell’art. 28 st. lav. Denunziando per condotta antisindacale la Provincia di Treviso per aver trasferito l’ (omissis), dirigente sindacale, peraltro demansionandolo, senza il suo nulla osta.

Il Tribunale respinse il ricorso e respinse anche l’opposizione.

La Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello con sentenza pubblicata il 28 luglio 2009.

Il sindacato ricorre per cassazione, articolando tre motivi.

La Provincia di Treviso si difende con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato.

Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 22 st. lav.. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 28 st. lav. e degli artt. 414 e 421 c.p.c.. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2103 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

I fatti accertati dalla Corte di merito non sono contestati. Non vengono denunziati vizi di motivazione in ordine a fatti decisivi e controversi. Così la Corte li descrive: l’(omissis), rappresentante sindacale unitario appartenente alla CISL-FPS, svolgeva la propria attività nel settore lavori pubblici-edilizia in (omissis). Con provvedimento del direttore generale del 22 novembre 2004, venne trasferito al settore gestione del territorio in via (omissis). I due edifici distano circa 200 metri tra loro.

La Corte ha escluso che fosse necessario il nulla osta in base a quanto disposto dall’art. 18, comma 4, del contratto collettivo quadro di comparto del 7 agosto 1998.

Il sindacato ricorrente, come si è visto denunzia violazione dell’art. 22 st. lav. e ritiene che l’interpretazione fornita dalla Corte del complesso normativo costituito da tale norma e dalla su indicata norma del contratto collettivo quadro sia errata.

Il ricorso non è fondato.

L’art. 22 st. lav. si esprime così: “il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti … (sindacali) … può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza”.

Quindi richiede il nulla osta per il trasferimento dall’unità produttività.

L’art. 18, comma 4, del contratto collettivo nazionale quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonchè delle altre prerogative sindacali, stipulato il 7 agosto 1998, dispone: “il trasferimento in un’unità operativa ubicata in sede diversa da quella di assegnazione dei dirigenti sindacali indicati nell’ art. 10, può essere predisposto solo previo nulla osta delle rispettive organizzazioni sindacali di appartenenza e della rsu ove il dirigente ne sia componente”.

Quindi la previsione dell’autonomia collettiva rimane nel solco della previsione legislativa perchè entrambe richiedono un trasferimento da una unità, produttiva od operativa, ad un’altra, ma aggiunge qualcosa in più, perchè il trasferimento di unità deve anche comportare un trasferimento di sede. Se si passa semplicemente da una unità produttiva od operativa ad un’altra, all’interno però della medesima sede, il trasferimento non richiede il nulla osta.

Il problema diventa allora quello di stabilire cosa debba intendersi per sede.

Dal modo in cui il concetto è utilizzato nella normativa su riportata si desume che è un concetto più ampio di quello di unità produttiva od operativa.

Per delineare questo concetto i giudici di merito hanno fatto riferimento alla L. n. 417 del 1978, art. 1, comma 2, in base al quale, “per sede di servizio si intende il centro abitato o la località isolata in cui hanno sede l’ufficio o l’impianto presso il quale il dipendente presta abitualmente servizio”.

Il sindacato critica la scelta ermeneutica, assumendo che tale normativa riguarda unicamente i dipendenti statali e non quelli degli enti locali ed è dettata solo al fine di disciplinare le missioni e i trasferimenti, ma non riguarda le prerogative sindacali.

Entrambe le critiche non sono fondate.

La normativa, sebbene dettata per i dipendenti dello Stato, fissa limiti invalicabili anche per le normative riguardanti i dipendenti di regioni, province e comuni, come si desume dalla medesima Legge, art. 20.

E’ vero poi che non si tratta di una normativa specifica sulle prerogative sindacali, ma il punto è che la normativa su tali prerogative dettata dall’accordo quadro fa riferimento ai concetti generali di trasferimento, unità operativa e sede, senza definirli.

In assenza di una definizione finalizzata, questi concetti devono essere intesi nel significato desumibile dalle prescrizioni rinvenibili nell’ordinamento.

D’altro canto, la norma dell’accordo quadro, introducendo una distinzione tra sede e unità operativa, come si è visto, assegna alla sede un significato più ampio di quello di ufficio o impianto, entità rapportabili ad unità operative, e mostra di porsi in linea con la distinzione tra sede ed ufficio o impianto su cui si basa la L. n. 417 del 1978, art. 1.

L’interpretazione della normativa in esame fornita dalla Corte di Venezia è quindi corretta e condivisibile.

Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 28 st. lav. e degli artt. 414 e 437 c.p.c.. La Corte di Venezia, secondo il ricorrente, avrebbe violato tali norme, perchè non ha preso in esame alcuni eventi successivi al provvedimento di rigetto della fase cautelare, rilevanti ai fini della valutazione del demansionamento.

Il motivo è generico, e pertanto inammissibile, perchè non specifica in cosa consistono questi fatti, nè tanto meno il perchè della loro rilevanza ai fini della decisione.

Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2103 c.c. e del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 52. La tesi è che la Corte, nel verificare la sussistenza o meno di un demansionamento connesso al trasferimento, ha posto a confronto le mansioni svolte prima del trasferimento con quelle che la provincia ha dichiarato che avrebbe fatto svolgere al dipendente e non con quelle realmente svolte.

Anche questo motivo è inammissibile per assoluta genericità, perchè il ricorrente non spiega quali sono state le mansioni di fatto svolte dopo il trasferimento che la Corte avrebbe dovuto considerare ai fini del suo giudizio e che invece ha omesso di considerare.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Il ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del principale, rimane assorbito.

La spese legali, per legge, devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte riuniti ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato. Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in 50 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011

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