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Cassazione civile sez. lav., 11/01/2016, n. 195

Massima

È improcedibile il ricorso per cassazione qualora il ricorrente non adempia all’onere di produrre, a pena di improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Lecce ha rigettato l’impugnazione di (omissis) avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Taranto che gli aveva accolto solo in parte la domanda volta alla condanna della Ausl Ta/(omissis) al pagamento dell’indennizzo per il mancato godimento, nel periodo 1.7.98 – 28.2.02, di n. 120 riposi compensativi. Il primo giudice, dopo aver dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle pretese antecedenti al 30.6.98 ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001art. 69, comma 7, aveva liquidato in via equitativa l’importo di Euro 6.198,00, oltre interessi legali, considerando che ciascun riposo compensativo era da commisurare alla somma di Euro 51,65, pari al corrispettivo del turno di 18 ore prestato oltre i primi dieci, in base alle determinazioni contenute nella Delib. Commissario Straordinario 21 giugno 2002, n. 139.

La Corte salentina ha ritenuto corretta la decisione del primo giudice in quanto la pronta disponibilità fornita dallo S. a svolgere il servizio nelle sedi di (omissis) non poteva ritenersi data con riferimento a presidio ospedaliero diverso da quello di appartenenza, atteso l’accorpamento dei presidi stessi proprio ai fini della pronta disponibilità.

Inoltre, secondo la Corte, i due certificati medici dell’estate del 2001, che il ricorrente aveva prodotto a sostegno della domanda del danno biologico da stress, erano insufficienti alla dimostrazione dello stesso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso lo (omissis) con due motivi.

Rimane solo intimata l’azienda sanitaria di Taranto.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente denunzia l’erronea interpretazione dell’art. 20 del CCNL della dirigenza medica del 6/12/1996, in relazione alla Delib. Commissariato Straordinario 21 giugno 2002, n. 139, l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, nonchè l’omessa acquisizione istruttoria ex art. 210 c.p.c., della richiesta di parte ricorrente.

Ritiene il ricorrente che l’accorpamento dei presidi di (omissis) previsto nella suddetta Delib. era solo una misura organizzativa temporanea che non eliminava il disagio e lo stress psicofisico determinati dall’obbligo per il medico di recarsi presso un presidio diverso e distante, per cui il giudice d’appello aveva travisato il contenuto della stessa delibera, avendone fornito un’interpretazione in conflitto con i fondamentali canoni di ermeneutica contrattuale.

Osserva la Corte che tale motivo è improcedibile a causa della mancata produzione del contratto collettivo e della Delib. sui quali è incentrata la censura in esame, in spregio a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 5, sentenza n. 303 del 12/1/2010) che l’art. 369 c.p.c., comma 4, nel prescrivere che unitamente al ricorso per cassazione debbano essere depositati a pena d’improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, non distingue tra i vari tipi di censura proposta: ne consegue che, anche in caso di denuncia di “error in procedendo”, gli atti processuali devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso.” Le stesse Sezioni unite di questa Corte hanno poi statuito (Cass. Sez. Un. n. 22726 del 3/11/2011) che “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentante delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi”.

Nella fattispecie quest’ultimo onere non risulta assolto, come in precedenza evidenziato, nè il ricorrente si è premurato di indicare in quale sede del procedimento di merito sono stati prodotti il contratto collettivo e la delibera di cui in premessa, sulla base dei quali è stata dedotta l’erronea interpretazione oggetto di censura.

2. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione ed erronea interpretazione dell’art. 2087 c.c., in relazione all’art. 20 del CCNL della dirigenza medica.

In pratica, il ricorrente lamenta che a fronte della documentazione amministrativa e sanitaria versata in atti, che comproverebbe l’esistenza del nesso eziologico tra l’attività lavorativa svolta attraverso turni non intervallati da riposi compensativi e lo stress psicofisico subito, la Corte territoriale, che pur avrebbe potuto disporre l’acquisizione dell’ulteriore documentazione richiesta ed ammettere la consulenza medico-legale invano sollecitata, avrebbe finito per seguire un iter logico argomentativo inadeguato ed incoerente rispetto alle emergenze istruttorie che sarebbero state, invece, ignorate.

Tale motivo è infondato.

Invero, il ricorrente, pur proponendo il motivo come violazione di legge e di contratto collettivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non solo non produce il testo integrale del contratto collettivo citato, ma formula, in realtà, censure attinenti ad un lamentato vizio di motivazione attraverso la evidenziazione della penosità delle prestazioni di lavoro svolte nei turni di pronta disponibilità, finendo, in tal modo, per eseguire una mera rivisitazione, non consentita nel giudizio di legittimità, delle risultanze istruttorie già vagliate in maniera congrua dalla Corte di merito in base ad un giudizio conclusosi con la rilevata inidoneità della certificazione sanitaria prodotta ai fini del preteso risarcimento.

Invero, come si è già avuto modo di statuire (Cass. Sez. Lav. n. 7394 del 26 marzo 2010), “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

(Principio enunciato dalla S.C. in tema di impugnazione del licenziamento, in riferimento alla denuncia dell’erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa)” (in senso conf. v. Cass. Sez. lav. n. 16698 del 16 luglio 2010).

In definitiva il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio in quanto l’Azienda Unità Sanitaria Locale TA/(omissis) è rimasta solo intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2016

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