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Cassazione civile sez. lav., 06/12/2024, n.31352

Massima

Ai lavoratori turnisti della sanità pubblica che hanno eseguito la prestazione lavorativa per un numero di ore eccedenti il normale orario settimanale va riconosciuto il diritto al compenso per lavoro straordinario, a meno che il datore di lavoro eccepisca che, in concreto, il surplus orario è solo apparente, dovendo essere compensato con il minor numero di ore lavorate nelle settimane successive, stante la fisiologica flessibilità del lavoro su turni. 

Supporto alla lettura

ORARIO DI LAVORO

L’orario di lavoro è quel periodo in cui il lavoratore è al lavoro e a disposizione del datore di lavoro, con l’obbligo di esercitare la sua attività o le sue funzioni. Qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro è definito come periodo di riposo.

Un’importante limitazione definita dalla legge, ed integrata dalla contrattazione collettiva, riguarda invece il lavoro notturno.

Si distingue inoltre tra:

  • orario di lavoro normale: fissato in 40 ore settimanali (anche se ci sono deroghe a questa regola generale introdotte dalla legge);
  • orario di lavoro straordinario: eccedente il normale orario di lavoro e che, per espressa disposizione di legge, deve essere contenuto nonchè remunerato a parte e compensato con maggiorazioni previste dal contratto collettivo, che a sua volta può consentire, in alternativa o in aggiunta, che i lavoratori fruiscano di riposi compensativi. La legge prevede però dei casi in cui lo straordinario è comunque ammesso, a prescindere dalla volontà del singolo lavoratore, e salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi (es. eccezionali esigenze tecnico-produttive; casi di forza maggiore; mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva)

In ogni caso si desume il diritto al riposo del lavoratore dopo sei giorni consecutivi di lavoro.

In merito al tema della reperibilità, oggetto di possibili modifiche, sono previsti precisi diritti del lavoratore tenuto ad essere reperibile di domenica; mentre, oggetto di numerose controversie è il tempo necessario al lavoratore per indossare la divisa di lavoro: secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale esso deve essere ricompreso nell’orario di lavoro (cd. “tempo tuta”).

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
Gli attuali controricorrenti e intimati, già dipendenti dell’attuale ricorrente Azienda Ospedaliero-Universitaria, si rivolsero congiuntamente al Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna della ex datrice di lavoro al pagamento della retribuzione per ore di lavoro straordinario svolte, nel corso degli anni e fino al 31.10.2014, durante il servizio reso come “turnisti h 24” addetti al servizio 118.

Il Tribunale accolse le domande con sentenza che venne impugnata dall’Azienda davanti alla Corte d’Appello della medesima città.

La Corte d’Appello respinse il gravame, confermando la sentenza di primo grado.

Contro la sentenza della Corte d’Appello l’Azienda ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.

La maggior parte dei lavoratori si è difesa con controricorso, mentre due di loro sono rimasti intimati, il tutto come da indicazione in epigrafe.

Solo la ricorrente ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano “errata applicazione dell’art. 40 CCNL integrativo del 20.9.2011 – errata applicazione dell’art. 34 del CCNL di comparto (per il quadriennio 1998/2001) – errata valutazione del surplus orario in termini di straordinario – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”

La ricorrente contesta alla Corte d’Appello di avere impropriamente equiparato l’ordinario “surplus orario” settimanale del turnista – che dà diritto al recupero mediante riposo compensativo nelle settimane successive – al lavoro straordinario, che deve essere previamente autorizzato dal datore di lavoro e dà al lavoratore la facoltà di scegliere tra il pagamento dei relativi compensi oppure il recupero in termini di ore di riposo, attraverso l’istituto della “banca delle ore” (previsto dall’art. 40 del CCNL integrativo del 20.9.2011).

2. Il secondo motivo censura “errata applicazione degli artt. 26 del CCNL di comparto (per il quadriennio 1998/2001), modificato dall’art. 5 del CCNL 2006-2009, e 34 del CCNL di comparto (per il quadriennio 1998/2001) – errata valutazione del surplus orario in termini di straordinario – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”

Anche con questo motivo la ricorrente sostiene che alla base della decisione della Corte territoriale vi sia l’errore di non avere riconosciuto la differenza essenziale tra surplus orario derivante dall’intrinseca flessibilità dell’orario di lavoro del turnista e lavoro straordinario.

3. Il terzo motivo è rubricato “errata applicazione dell’art. 34 del CCNL di comparto (per il quadriennio 1998/2001) – omesso accertamento della inesigibilità del credito da straordinario in assenza di preventiva autorizzazione – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”

Il motivo ravvisa un vizio nella sentenza impugnata per essere stato accertato il diritto al pagamento della retribuzione dovuta per il lavoro straordinario nonostante questo non fosse stato autorizzato dal datore di lavoro.

4. Infine, il quarto motivo denuncia “errata applicazione dell’art. 2112 c.c. – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”

Si imputa alla Corte territoriale di non avere considerato che i lavoratori – passati tutti alle dipendenze dell’A.S.U.R. Marche a decorrere dall’1.11.2014 – conservano anche nei confronti del nuovo datore di lavoro tutti i diritti maturati mentre erano alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria.

5. Il ricorso è infondato, perché il dispositivo della sentenza impugnata è conforme al diritto, nonostante le imprecisioni in alcuni passaggi della motivazione (art. 384, comma 4, c.p.c.).

5.1. La Corte d’Appello ha dato atto ripetutamente – e la ricorrente non mette in discussione – che sono fatti pacifici sia le ore lavorate in eccedenza rispetto alle 36 ore settimanali, non compensate da riposi, sia il mancato pagamento di tale surplus orario.

Ciò posto, la distinzione tra surplus orario e lavoro straordinario – su cui molto insiste la ricorrente, anche per sostenere che la “banca delle ore” riguarderebbe solo le ore di straordinario e non il surplus – non può certo portare alla conclusione che il surplus orario del turnista non debba essere anch’esso compensato o retribuito. Una tale conclusione sarebbe in palese contrasto con l’art. 36 Cost., che infatti è esplicitamente richiamato nella sentenza impugnata.

Ne consegue che è vano insistere sulla differenza tra surplus orario del turnista e lavoro straordinario, senza offrire, per il surplus orario, una compensazione alternativa rispetto alla richiesta retribuzione, che, in quanto relativa a prestazioni aggiuntive rispetto al normale debito orario di 36 ore settimanali, non può che essere la retribuzione prevista dal contratto collettivo per il lavoro straordinario.

Certamente il turnista non matura al termine della settimana il diritto al pagamento delle ore lavorate in eccedenza rispetto alle 36 ore stabilite dal contratto collettivo, essendo ordinaria e fisiologica la compensazione con un minor numero di ore lavorate nella settimana successiva o nelle settimane successive, in forza di una diversa regolazione dei turni. E in ciò vi è un’innegabile differenza rispetto al lavoro straordinario, per il quale il lavoratore matura immediatamente un diritto di credito, che può eventualmente accantonare per una successiva scelta tra retribuzione o riposo compensativo, mediante il meccanismo della “banca delle ore”.

Ma la differenza è destinata a sfumare quando il surplus orario si consolida nel tempo e, quindi, trascende la flessibilità imposta dall’organizzazione del lavoro nei turni necessari per coprire l’intero arco delle 24 ore.

Ne consegue che il datore di lavoro – per negare il diritto del lavoratore a una retribuzione coerente con le ore di lavoro prestate – non può limitarsi a rilevare, in termini astratti, la differenza tra surplus orario del turnista e lavoro straordinario, ma dovrebbe eccepire, in concreto, che le ore eccedenti rientrano (tuttora) nella fisiologica flessibilità di orario del turnista, indicando tempi e modi per cui le ore di lavoro rivendicate dal lavoratore sono solo apparentemente eccedenti, dovendo essere inserite in un più ampio contesto cronologico, nell’ambito della regolazione dei turni.

5.2. I primi due motivi di ricorso sono dunque infondati, proprio perché incentrati solo sull’errore di qualificazione in astratto del surplus orario del turnista, il che non basta per scalfire la correttezza della decisione della Corte d’Appello laddove ha affermato che – se non altro in forza dell’art. 36 Cost. – le ore eccedenti il normale orario di lavoro devono essere pagate dal datore di lavoro e devono essere pagate come lavoro straordinario.

È irrilevante che la Corte d’Appello abbia impropriamente individuato nel passaggio dei lavoratori ad una diversa Azienda il momento in cui l’obbligazione retributiva pecuniaria divenne esigibile. Infatti, sarebbe stato comunque onere dell’attuale ricorrente allegare e dimostrare che le ore di lavoro eccedenti il normale orario rientravano ancora nell’ambito della fisiologica flessibilità dei turni, sia pure gestita ormai dalla diversa Azienda di destinazione dei lavoratori.

5.3. Il terzo motivo è infondato – e, per così dire, pone un falso problema – perché il lavoro svolto nei turni, anche eccedente il normale orario settimanale, è ovviamente autorizzato dal datore di lavoro, posto che discende dalla stessa necessità di coprire il servizio nell’intero arco delle 24 ore. È dunque irrilevante indagare su chi sia la persona fisica incaricata di predisporre il calendario dei turni e su quale posizione essa occupi nell’organigramma aziendale.

Ciò fermo restando che il lavoro straordinario deve essere sempre pagato, a meno che le prestazioni non siano svolte insciente vel prohibente domino, e quindi anche se il consenso del datore di lavoro è soltanto implicito e a prescindere dal superamento dei limiti di liceità del ricorso alle prestazioni straordinarie (Cass. nn. 17912/2024; 23506/2022).

5.4. Infondato, infine, è il quarto motivo, pur dovendosi correggere l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui i lavoratori non potrebbero far valere nei confronti di A.S.U.R. Marche tutti i diritti da loro maturati quando erano dipendenti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria.

È infatti corretto – e sufficiente a sorreggere la decisione assunta – il riferimento della Corte territoriale alla solidarietà passiva tra datori di lavoro sancita dall’art. 2112 c.c., che legittima i lavoratori ad agire indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro.

6. Rigettato il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

7. Si dà atto che, stante l’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.
La Corte:rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore solidale dei controricorrenti, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000, oltre alle spese generali al 15 per cento, a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge;

dà atto che sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 10 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2024.

Allegati

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