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Cassazione civile sez. lav., 05/09/2023, n. 25796

Massima

In tema di conciliazione in sede sindacale, ai fini dell’inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, è necessario che l’accordo sia stato raggiunto con un’assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura. (Nella specie la S.C. ha escluso, la riconducibilità al novero delle conciliazioni non impugnabili di cui all’art. 2113, ult. comma, c.c., di un accordo stipulato nella sede della Prefettura, nonostante la partecipazione di un rappresentante sindacale del lavoratore, avendo il giudice di merito, con valutazione insindacabile in sede di legittimità, escluso l’effettiva assistenza, anche alla luce della sede non prettamente sindacale di sottoscrizione dell’accordo e della mancanza di previsione di modalità contrattuali collettive cui parametrare la valutazione, senza tuttavia in astratto escludere la possibilità di sottoscrizione di detto atto anche in tale luogo).

Supporto alla lettura

Conciliazione in sede sindacale

La conciliazione stragiudiziale delle controversie di lavoro può essere conclusa in sede sindacale.

L’art. 2113 c.c., al primo comma, definisce non valide le rinunce e le transazioni che hanno ad oggetto diritti del lavoratore, derivanti da disposizioni inderogabili. Vi è però un’eccezione a tale regola: è consentito transigere diritti inderogabili, a condizione che la rinuncia/transazione sia oggetto di una conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185,410,411,412 ter e 412 quater c.p.c.

In altri termini, legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunce delle transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo. Tale forma di protezione non è necessaria (ex art. 2113, ultimo comma, c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi protette (in breve, le associazioni sindacali).

Non solo, l’art. 410 c.p.c. prevede che il tentativo di conciliazione possa avvenire presso la “commissione di conciliazione” e l’art. 411, terzo comma, c.p.c. parla di conciliazione “in sede sindacale”. Secondo la Corte di Cassazione, tali luoghi hanno carattere tassativo e non ammettono equipollenti, sia perché sono direttamente collegati l’organo deputato alla conciliazione sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza della controparte datoriale In tale contesto normativo, quindi, la protezione del lavoratore non è affidata alla sola assistenza sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene.

Assistenza (sindacale) e sede (neutra) sono quindi concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE

1. la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia di rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo, emesso in favore di F.D., per il pagamento da parte della società editoriale (Omissis) della somma di Euro 105.680,49, oltre accessori, a titolo di retribuzioni non percepite e TFR per rapporto di lavoro terminato il 6/11/2014 (a seguito di licenziamento disciplinare, oggetto di altro contenzioso definito con sentenza di questa Corte di rigetto dell’impugnativa del recesso n. 7286/2023);

2. la Corte di merito, in particolare, per quanto qui rileva, ha osservato che:

l’accordo conciliativo del 9/12/2013 tra le parti, stipulato davanti al Prefetto di Vibo Valentia con cui, in cambio della riammissione in servizio da un precedente licenziamento, il ricorrente in monitorio aveva accettato, tra l’altro, il pagamento del 60% dell’importo delle retribuzioni maturate sino al 30/9/2013, in parte corrisposto, non era riconducibile al novero delle conciliazioni non impugnabili di cui all’art. 2113, ult. comma, c.c., non constando che tale accordo fosse stato concluso presso una sede sindacale e nel rispetto delle modalità previste dal contratto collettivo di categoria ai sensi dell’art. 412-ter c.p.c.;

non si era formato giudicato implicito sulla validità dell’accordo transattivo nel diverso giudizio sull’impugnativa di licenziamento, che peraltro non necessitava di tale pregiudiziale valutazione, attenendo tale giudizio a questioni diverse, ed essendo stato in tale sede l’accordo conciliativo solo incidentalmente richiamato;

in ogni caso, l’eccezione di tardività dell’impugnazione per mancato rispetto del termine decadenziale previsto dall’art. 2113 c.c. non era stata tempestivamente sollevata dalla società appellante;

3. avverso la predetta sentenza la società originaria opponente a decreto ingiuntivo ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria; ha resistito con controricorso il giornalista; parte ricorrente ha depositato memoria; il PG ha concluso per il rigetto del ricorso quanto al primo motivo e per l’inammissibilità del secondo motivo.

Diritto

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., in relazione all’art. 412-ter c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); sostiene che la sentenza gravata ha erroneamente ritenuto impugnabile, e quindi invalida, la conciliazione tra le parti sottoscritta innanzi al Prefetto di Vibo Valentia, dando rilievo al solo dato del luogo di sottoscrizione e non a quello dell’effettiva assistenza di un sindacalista di fiducia del lavoratore, rimanendo anche irrilevante che il contratto collettivo non preveda alcuna procedura di conciliazione sindacale;

2. con il secondo motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e comunque del sopravvenuto giudicato (art. 360 c.p.c., n. 4); sostiene (nella memoria anche sulla base la sentenza di questa Corte inter partes n. 7286/2023) che si è formato il giudicato sulla validità della transazione in questione;

3. il primo motivo non è fondato;

4. la norma di cui all’art. 2113, ult. comma, c.c., conferisce caratteristiche di inoppugnabilità alla “conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185,410,411,412 ter e 412 quater del codice di procedura civile”; a sua volta, l’art. 412-ter c.p.c. stabilisce che la conciliazione e l’arbitrato in materia di lavoro “possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative”;

5. costituisce principio consolidato in materia quello del decisivo rilievo dell’effettività dell’assistenza sindacale, nel senso che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c. c. (cfr. Cass. n. 24024/2013; v. anche Cass. n. 13217/2008, sempre sulla necessità di effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell’organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa; Cass. n. 12858/2003);

6. osserva il Collegio che la Corte distrettuale, nel rilevare che l’accordo di cui si discute era stato stipulato nella sede della Prefettura di Vibo Valentia, con l’intervento di un rappresentante sindacale dei lavoratori, non ha escluso in astratto la possibilità di sottoscrizione di atti di tale natura in tale luogo; piuttosto, ha ritenuto in concreto, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede (tenuto evidentemente conto delle osservazioni di controparte sulle modalità concrete dell’intervento in tale caso di una rappresentante sindacale, modalità descritte in termini di ineffettività dell’assistenza), di escludere la riconducibilità della specifica fattispecie all’ipotesi di cui all’art. 412-ter c.p.c., non trattandosi, in ogni caso, di conciliazione giudiziale o davanti alle Commissioni di conciliazione o in sede arbitrale; di conseguenza, nel merito, la non riconducibilità dell’accordo in questione a una delle fattispecie previste dall’ult. comma dell’art. 2113 c.c., compresa quella di cui all’art. 412-ter c.p.c., deve essere letta come valutazione del difetto di effettiva assistenza sindacale (assistenza che, in effetti, non emerge specificamente dagli atti di causa), desumibile anche dalla sede non prettamente sindacale in cui era stato raggiunto l’accordo e dalla mancata previsione di modalità contrattuali collettive cui parametrare tale valutazione;

7. neppure è fondato il secondo motivo;

8. nel giudizio sul licenziamento, l’accordo transattivo è stato menzionato solo per affermare che le ricadute emotive della sua firma non potevano attenuare la gravità dei comportamenti addebitati al lavoratore a base del licenziamento; non sono stati considerati né le modalità di conclusione dell’accordo (sede protetta, conformità al CCNL), né il suo contenuto patrimoniale (rinuncia al 40% delle retribuzioni); nella pronuncia di cassazione che ha definito il giudizio sul licenziamento, l’impostazione sul punto è la medesima (v. p.p. 22,23); per tale eterogeneità (temporale e contenutistica) delle questioni oggetto del giudizio sul licenziamento, è da escludere che si sia formato un giudicato esterno sulle modalità di conclusione dell’accordo (precedente al licenziamento e alla nuova configurazione del rapporto di lavoro giornalistico) e sul suo contenuto, di cui, invece, si discute nel presente giudizio;

9. il ricorso deve, pertanto, essere respinto, con regolazione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza;

10. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2023

Allegati

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