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Cassazione civile sez. lav., 04/03/2016, n. 4286

Massima

Il diritto al Trattamento di Fine Rapporto (TFR), che si consolida e diviene esigibile al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, non è compreso in una transazione stipulata precedentemente a tale risoluzione qualora la stessa abbia esplicitamente o implicitamente salvato i diritti connessi alla cessazione del rapporto. Ai fini del calcolo del TFR, i compensi erogati per le festività non godute cadenti nella giornata della domenica sono computabili nella base di calcolo, in quanto non hanno natura occasionale ai sensi dell’art. 2120 c.c., ma stabile e continuativa, essendo destinati a ripetersi in occasione di tali ricorrenze.

Supporto alla lettura

TFR – TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Matura durante lo svolgimento del rapporto ed è costituito dalla somma di accantonamenti annui di una quota di retribuzione rivalutata periodicamente. Deve essere corrisposto al lavoratore in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro (e quindi indipendentemente dalle motivazioni che l’hanno determinata), fatto salvo il caso di integrale destinazione alla previdenza complementare.

Fino al 31 dicembre 2006, il TFR non destinato alla previdenza complementare restava in azienda fino alla cessazione del rapporto, salvo le eventuali anticipazioni richieste dal dipendente; inoltre la gestione del trattamento era completamente demandata al datore di lavoro. A decorrere dal 1 gennaio 2007, il TFR ha assunto la finalità prevalente di strumento di finanziamento previdenziale, infatti è cambiata la disciplina del conferimento del trattamento alle forme pensionistiche complementari, con l’obbligo per i lavoratori di decidere al momento dell’assunzione la destinazione del TFR maturando.

Il TFR che i lavoratori di aziende con almeno 50 dipendenti decidono di mantenere presso il datore di lavoro e di non destinare a forme di previdenza complementare viene gestito da un apposito fondo istituito presso l’INPS (Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto, c.d. Fondo Tesoreria).

Al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore potrà effettuare una verifica circa l’esattezza dell’importo corrisposto a titolo di TFR. In caso di mancata corresponsione dell’importo in questione, oppure nel caso in cui l’importo corrisposto non dovesse essere corretto, il lavoratore potrà agire giudizialmente nei confronti dell’ex datore di lavoro proponendo o un decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., nel caso in cui disponga di un documento dal quale risulti l’esatto ammontare del TFR (busta paga, CUD, ecc.), ovvero un ricorso ex art. 414 c.p.c. nel caso in cui manchi la prova scritta del credito.

Il diritto a percepire il TFR si prescrive in 5 anni (art. 2948, c. 5 c.c.), che decorrono dal momento in cui cessa il rapporto di lavoro.

L’art. 2120 c.c., c. 2, fa salva la possibilità per la contrattazione collettiva di stabilire quali elementi retributivi debbano essere presi in considerazione ai fini del calcolo del TFR, prevedendone ulteriori rispetto alla legge, ma anche escludendone altri, purché ciò avvenga senza che la retribuzione accantonabile vada al di sotto del limite minimo garantito dalla Costituzione.

L’art. 2122 stabilisce che, in caso di morte del lavoratore, il TFR maturato e spettante al lavoratore alla data del decesso sia corrisposto sotto forma di indennità sostitutiva ai superstiti. Ne hanno diritto il coniuge, i figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. In mancanza di tali persone, l’indennità è attribuita secondo le regole della successione testamentaria o legittima.

La legge prevede alcune ipotesi tassative nelle quali parte del TFR accantonato può essere anticipato nel corso del rapporto. I Contratti Collettivi hanno la facoltà di fissare condizioni di miglior favore per l’erogazione di anticipazioni del TFR, nonché stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle relative richieste.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza n. 994/2010 depositata il 24.8.2010 la Corte di Appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da Poste Italiane spa avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Castrovillari aveva accolto la domanda proposta da (omissis), domanda volta al pagamento delle differenze economiche relative al TFR consequenziali al mancato computo da parte della società delle indennità relative alle festività cadenti nella giornata della domenica nel periodo compreso tra il 1998 ed il 2005.

La Corte territoriale ha ritenuto che:

a. l’eccezione di inammissibilità della domanda della lavoratrice, formulata da Poste Italiane spa con riferimento alla intervenuta transazione, era infondata atteso che la lavoratrice nel dichiarare di non avere altro a pretendere, aveva fatto salvi i diritti maturati sino alla risoluzione del rapporto o con quest’ultima connessi.

Il credito azionato dalla lavoratrice era relativo al TFR, diritto che non sorgeva prima della risoluzione del rapporto di lavoro ed era, anzi, a questa connesso intimamente.

Correttamente il giudice di prime cure aveva evidenziato che la transazione era stata stipulata prima della cessazione del rapporto e, dunque, prima del sorgere del diritto al TFR in relazione al quale nulla era stato previsto, ma anzi era stato escluso dalla transazione.

b. era inammissibile la censura di violazione dell’art. 70 CCNL perchè la società non aveva prodotto nè in 1^ nè in 2^ grado la copia del CCNL. c. I compensi dei quali era stato richiesto il computo nella base di calcolo del TFR non avevano natura occasionale, ai sensi dell’art. 2120 c.c., perchè la erogazione era stabile e continuativa destinata a ripetersi in occasione della coincidenza delle festività con la giornata della domenica.

Avverso detta sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

La M. è rimasta intimata Con il primo motivo la ricorrentedenunzia omessa/erronea e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in ordine al verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti innanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro di Cosenza, in data 28.6.2005;

violazione falsa applicazione dell’art. 2120 c.c.; illogicità della sentenza.

Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il TFR fosse escluso dal novero delle materie definite con la transazione, e assume che il credito relativo al TFR sorge successivamente alla risoluzione del rapporto e che la transazione era stata sottoscritta in data precedente detta risoluzione.

Afferma, inoltre, che, per effetto della L. n. 297 del 1982, il credito del TFR sorgerebbe al momento della costituzione del rapporto per accrescersi nel tempo durante lo svolgimento del rapporto, divenendo esigibile soltanto alla data di cessazione del rapporto.

Deduce che, in virtù dell’accordo, era stata liquidata alla lavoratrice la somma di Euro 11.000,00 e di Euro 1.000,00 a titolo di liberalità e che la transazione non era più impugnabile, secondo la previsione dell’art. 2113 c.c..

Assume che l’art. 2120 c.c., sarebbe stato violato avuto riguardo alle clausole contenute nell’accordo conciliativo.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 2120 c.c..

Sostiene che la sentenza avrebbe trascurato qualsiasi indagine sugli aspetti giuridici tipici del compenso erogato per le festività non godute coincidenti con la domenica e richiama l’art. 70 del CCNL per affermare che il compenso relativo a dette festività non sarebbe computabile nel TFR. Richiama, inoltre, la previsione di cui al D.P.R. n. 1029 del 1960art. 1 comma 4, nella parte in cui prevede che qualora i contratti di lavoro vigenti per determinati settori abbiano già regolato, nei confronti dei lavoratori retribuiti in misura fissa, il trattamento per il caso di ricorrenze festive cadenti di domenica, prevedendo la sostituzione delle ricorrenze stesse con altre da concordare o stabilendo l’aggiunta delle relative giornate ai periodi feriali contrattuali, o con altri sistemi, verrà mantenuto il trattamento di cui ai predetti contratti.

Esame dei motivi.

Sul primo motivo.

Il primo motivo è infondato.

Va osservato che le censure si risolvono in una critica dell’interpretazione che dell’atto negoziale conciliativo ha fornito la Corte territoriale, critica che tuttavia non può trovare ingresso in questa sede di legittimità, perchè si compendia esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi esaminati dalla Corte di merito, e, dunque, in una critica di una valutazione di fatto, comunque assistita da motivazione adeguata e coerente sul piano logico, e dunque incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 17993/200312054/2003).

Deve in proposito ribadirsi che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

In tale contesto la denuncia del vizio di motivazione dev’essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza.

Va anche osservato che, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. Cass. 9120/20154564/201425728/20133607/20114178/20075273/2007).

Infine, questa Corte ha ripetutamente affermato che, tema di interpretazione contrattuale, la parte, che intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nella interpretazione di una dichiarazione negoziale o di un comportamento contrattuale da parte del giudice del merito, deve specificare i canoni ermeneutici in concreto violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, perchè, in caso diverso, la critica della ricostruzione della volontà negoziale e del comportamento inter partes operata da tale giudice e la proposta di una diversa valutazione investono il “merito” delle valutazioni del giudice e sono, perciò, inammissibili in sede di legittimità. Più in particolare le censure debbono essere rigorosamente specifiche con indicazione dei singoli canoni ermeneutici violati e delle ragioni della asserita violazione, mentre le censure riguardanti la motivazione devono riguardare l’obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, potendo il sindacato di legittimità riguardare esclusivamente la coerenza formale della motivazione, ovvero l’equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per Cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che – ripetesi – si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte (Cass. n. 8994/2001).

Con il motivo in esame la ricorrente non ha affatto spiegato perchè le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata avrebbero deviato dalle regole di ermeneutica contrattuale richiamate, nè ha specificato le ragioni per le quali la sentenza impugnata sarebbe viziata per obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento seguito, essendosi per contro limitata a prospettare un’interpretazione delle clausole pattizie invocate (ivi compresa quella finale abdicativa) diversa da quella accolta dal Giudice a quo ed a lei più favorevole.

Va comunque rilevato che nel ragionamento seguito dal Giudice d’appello non è ravvisabile alcuna e illogicità o contraddizione, posto che questa ha evidenziato che la lavoratrice, nel dichiarare di non avere altre pretese in relazione al rapporto di lavoro con Poste Italiane, aveva poi esplicitamente fatti salvi i diritti maturati sino alla risoluzione del rapporto; ha, correttamente, evidenziato che siffatto diritto si consolida al momento della risoluzione del rapporto; che il TFR era stato per espressa volontà delle parti escluso dal novero delle materie definite in sede transattiva, questa intervenuta prima della effettiva risoluzione del rapporto di lavoro.

E’ infondato il profilo di doglianza nella parte in cui la violazione dell’art. 2120 c.c., è posta in relazione alle clausole contenute nell’atto di transazione perchè, come sopra osservato, dal verbale di transazione emerge che la lavoratrice non intese rinunziare a tutti i diritti che erano correlati al rapporto di lavoro, avendo fatto salvi quelli connessi intimamente alla risoluzione del rapporto di lavoro e dunque evidentemente al TFR. Infine, prive di pregio e di decisività sono le argomentazioni sviluppate con riferimento alla natura del TFR in quanto se è innegabile che si tratta di una retribuzione differita è altrettanto innegabile che il diritto al suo pagamento sorge al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 2120 c.c..

Il motivo è infondato.

Esso non si confronta con le ragioni esposte nella sentenza, nella quale è affermato che la violazione dell’art. 70 CCNL, che avrebbe escluso i compensi per le festività in giorni domenicali non era valutabile a causa della mancata produzione del CCNL da parte della società sia nel giudizio di primo grado e nel giudizio di appello.

La censura formulata con riferimento alla natura non occasionale riconosciuta dalla Corte compenso in esame è altresì infondata alla luce dell’art. 2120 c.c., comma 2, vigente, che nel definire la nozione di retribuzione, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma codicistica, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendersi solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro.

(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la computabilità, ai fini del suddetto calcolo, delle somme corrisposte a titolo di festività non fruite in quanto cadenti di domenica) Cass. 11448/2004, 150801/2008).

Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va respinto.

Non v’è spazio per la pronunzia sulle spese in quanto la lavoratrice è rimasta intimata.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2016

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