Svolgimento del processo
Con sentenza in data 23 novembre 1994 il pretore di Firenze condannava l’INPS a corrispondere al sig. (omissis) l’indennità di mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991, relativamente al periodo dal 29 ottobre 1991 al 30 marzo 1992, oltre accessori. Rilevato che il (omissis), a seguito di licenziamento operato dalla s.r.l. in data 28 ottobre 1991 nell’ambito di una procedure ex artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, aveva presentato in data 14 aprile 1992 la domanda per ottenere l’indennità di mobilità prevista dall’art. 7 della predetta legge, il pretore riteneva che l’istanza non fosse assoggettata al termine decadenziale di cui all’art. 129 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. nella legge n. 1155 del 1936, così come eccepito dall’INPS in sede amministrativa.
L’appello dell’INPS veniva respinto dal Tribunale di Firenze con sentenza del 28 n. giugno del 1912 luglio 1995.
Riteneva il giudice d’appello che il presupposto legale generativo del diritto all’indennità va individuato nell’iscrizione nella lista dei lavoratori collocati in mobilità, iscrizione da cui nasce l’obbligo del datore di lavoro di versare le contribuzioni utili alla gestione della mobilità; che l’art. 9 della legge n. 223 del 1991 non contempla tra le ipotesi di decadenza dal diritto quella, pretesa dall’INPS, della omessa domanda nei termini di cui al citato art. 129; che il generico richiamo, in quanto applicabile, alla disciplina dell’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, operato dal comma 12 dell’art. 7 della citata legge n. 223 del 1991, non valeva ad applicare, in via analogica, il termine decadenziale previsto dal ricordato art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935, conv. con legge n. 1155 del 1936, attesa la natura eccezionale della decadenza (art. 14 delle preleggi).
Avverso tale sentenza ricorre per Cassazione l’INPS. L’intimato resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 12, della legge 23 luglio 1991, n. 223; dell’art. 129, comma 5, e dell’art. 73, comma 2, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. nella legge 6 aprile 1936, n. 1155; dell’art. 14 delle preleggi, nonché vizio di motivazione.
Lamenta l’Istituto che il Tribunale ha individuato nell’iscrizione nella lista il presupposto legale dell’insorgenza del diritto all’indennità di mobilità, non considerando che il complesso procedimento previsto dalla legge n. 223 del 1991 si conclude con la comunicazione scritta del recesso ai lavoratori, nel rispetto del termine di preavviso, e con la contestuale comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati, e quindi collocati in mobilità, all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione, alla Commissione regionale per l’impiego e alla associazioni sindacali di categoria. Aggiunge il ricorrente che sarebbe il licenziamento il fatto oggettivo che costituisce il presupposto dell’inserimento del lavoratore nella lista di mobilità, così come è il licenziamento che costituisce l’evento rilevante per il disposto dell’art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935.
Di conseguenza la domanda per l’indennità di mobilità, così come quella per il trattamento di disoccupazione, in forza del rinvio generale stabilito dall’art. 7, comma 12, della legge n. 223 del 1991, deve essere presentata entro il termine di sessantotto giorni dalla data del licenziamento di cui all’art. 24 o del recesso di cui all’art. 4 della stessa legge.
Sostiene ancora il ricorrente che il Tribunale ha negato l’applicazione analogica della decadenza, di cui all’art. 1209 del R.D.L. n. 1827 del 1935, alla domanda per l’indennità di mobilità, stante il carattere eccezionale di decadenza (art. 14 delle preleggi), ma non ha considerato che, in forza del rinvio operato dal comma 12 dell’art. 7 della legge n. 223 del 1991, non si trattava di applicazione analogica bensì di applicazione diretta della disciplina dell’indennità di disoccupazione all’indennità di mobilità.
Né l’inizio “in quanto applicabile”, contenuto nel citato comma 12, varrebbe ad escludere l’applicabilità dell’art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 all’indennità di mobilità, apparendo inaccettabile ipotizzare, nel silenzio della legge ed anzi in contrasto con il menzionato comma 12 dell’art. 7, una duplicità di disciplina per la presentazione della domanda di indennizzo, relativa al trattamento di disoccupazione o all’indennità di mobilità, in presenza dell’evento comune del licenziamento, costituente il presupposto sia dell’una che dell’altra prestazione.
L’INPS richiama infine, la pronuncia n. 9691 del 1991 di questa Corte, con la quale la disciplina del quinto comma dell’art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 è stata ritenuta applicabile al trattamento speciale di disoccupazione previsto dall’art. 8 della legge n. 1115 del 1968 (trattamento poi sostituito dall’indennità di mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991), con un chiaro superamento della locuzione “in quanto compatibili” contenuta nel quinto comma del menzionato art. 8.
Il ricorso è fondato.
L’art. 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223 dispone che, raggiunto l’accordo sindacale ovvero esaurita le procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l’impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Contestualmente l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità va comunicato per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni sindacali di categoria.
Per il comma 8 dell’art. 7 della legge in esame l’indennità di mobilità sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione. Il comma 12 dello stesso articolo, infine, dispone che l’indennità di mobilità è regolata dalla normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, in quanto applicabile, nonché dalle disposizioni di cui all’art. 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88.
L’art. 73, primo comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, dispone che l’indennità di disoccupazione è corrisposta a decorrere dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione del lavoro (oppure, in caso di pagamento della indennità di mancato preavviso, dall’ottavo giorno successivo a quello di scadenza del periodo di preavviso pagato).
L’art. 77, secondo comma, del citato R.D.L., prevede che in caso di ritardata presentazione della domanda, l’indennità sarà corrisposta a decorrere dal quinto giorno dopo quello della presentazione stessa.
L’art. 129, quinto comma, dello stesso R.D.L. n. 1827 del 1935 statuisce infine, per quanto qui interessa, che il diritto dell’assicurato al godimento dell’indennità di disoccupazione viene meno quando questi non abbia presentato domanda entro sessanta giorni da quello d’inizio della disoccupazione indennizzabile (e quindi entro 68 giorni dal licenziamento).
Ritiene la Corte che, per effetto del rinvio contenuto nel comma 12 dell’art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la domanda per la fruizione della indennità di mobilità soggiace al termine di decadenza di cui al quinto comma dell’art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935, conv. con legge n. 1155 del 1936.
Non si tratta, come ha esattamente evidenziato il ricorrente, di applicazione analogica di una norma eccezionale quale è quella che dispone una decadenza, ma di applicazione diretta della normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; per cui resta estraneo alla regolazione della fattispecie l’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (sul divieto di applicazione analogica delle leggi penali e di quelle eccezionali).
L’indennità di mobilità, prevista dall’art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, si distingue dalle tipiche prestazioni di disoccupazione sia per le condizioni oggettive che ne costituiscono il presupposto, sia per la procedura da seguire sia per il sistema di finanziamento. Ma, benché speciale per questi aspetti, essa rientra pur sempre, unitamente all’indennità ordinaria di disoccupazione, tra gli strumenti intesi a tutelare lo stesso evento protetto, costituito dallo stato di disoccupazione da licenziamento; non a caso il comma 8 del citato art. 7 dispone che l’indennità di mobilità sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione.
Ecco che allora il rinvio operato dal comma 12 del ricordato art. 7 alla normativa sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, “in quanto applicabile”, non può non riguardare anche i termini per la presentazione della domanda della prestazione, atteso che la legge n. 223 del 1991 nulla dispone circa i termini di presentazione di tale domanda; e tenuto presente che costituisce pacifico principio di diritto che chi intende conseguire una prestazione deve farne domanda e che, nel conflitto tra chi assume e chi nega (per asserita decadenza) il diritto a quella prestazione, è compito del giudice individuare la norma che disciplina le modalità di costituzione di siffatto diritto.
Né l’applicazione dei termini di cui all’art. 129, comma 5, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. con legge n. 1155 del 1936, e della relativa decadenza, può essere esclusa dalla previsione, da parte dell’art. 9 della legge n. 223 del 1991, di specifiche ipotesi di cancellazione dalle liste di mobilità e di decadenza dalla relativa indennità.
L’art. 9 della legge 23 luglio 1991, n. 223 prevede, infatti, ipotesi di decadenza dall’indennità del lavoratore che rifiuti di essere avviato ad un corso di formazione professionale o non lo frequenti regolarmente, non accetti l’offerta di un lavoro avente determinate caratteristiche, non accetti di essere impiegato in opere e servizi di pubblica utilità, non provveda a dare comunicazione entro cinque giorni dall’inizio di un lavoro a tempo parziale o a tempo determinato, non risponda, senza giustificato motivo, alla convocazione da parte degli uffici circoscrizionali o dell’agenzia per l’impiego.
Nulla dispone l’art. 9 circa i tempi e i modi di presentazione della domanda diretta ad ottenere la prestazione (mentre collega la decadenza anche ad ipotesi di omessa comunicazione tempestiva di un lavoro compatibile); il che conferma che le modalità di presentazione della domanda, e le relative conseguenze, sono, per effetto del rinvio operato dal comma 12 dell’art. 7, quelle previste dalla normativa sulla assicurazione contro la disoccupazione involontaria.
Deve quindi affermarsi che, ai fini della concessione della indennità di mobilità prevista dall’art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223 a favore dei dipendenti licenziati da imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale o da imprese che cessino l’attività o riducano il personale per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, l’assicurato deve manifestare la volontà di avvalersi della tutela previdenziale proponendo formale domanda all’ente assicuratore nei termini previsti a pena di decadenza dagli artt. 77 e 129 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. nella legge 6 aprile 1936, n. 1155 (applicabili per effetto del richiamo, operato dal comma 12 dell’art. 7 della citata legge n. 223 del 1991, alla normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria), e quindi entro sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Sulla durata di tale termine, va chiarito che esso è di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro perché l’art. 73 del R.D.L. n. 1827 dispone che l’indennità di disoccupazione è corrisposta a decorrere dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione dal lavoro; e l’art. 129 statuisce che la domanda debba essere presentata entro sessanta da quello d’inizio della disoccupazione indennizzabile. Non computandosi il dies a quo in questo secondo termine (art. 155, comma 1, c.p.c.), ecco che il termine complessivo diviene di sessantotto giorni.
Allo stesso risultato – circa l’operatività della decadenza di cui al ricordato art. 129 – era già pervenuta questa Corte, con la sentenza n. 9691 del 18 settembre 1991, con riferimento al trattamento speciale di disoccupazione derivante da licenziamenti per cessazione di attività o per riduzione di personale, previsto dall’art. 8 della legge 5 novembre 1968, n. 1115.
Anche in quel caso il rinvio, “in quanto compatibili”, alle norme vigenti per il trattamento ordinario di disoccupazione, contenuto nel quarto comma dell’art. 8 della legge n. 1115 del 1968, è stato ritenuto comprensivo delle modalità di presentazione delle domande prescritte dall’art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935, conv. con legge n. 1155 del 1936, e delle relative conseguenze.
Ed il trattamento speciale di disoccupazione, previsto dall’art. 8 della legge 5 novembre 1968, n. 1115 a favore di dipendenti di imprese industriali che fossero stati licenziati per cessazione di attività aziendale di stabilimento o di reparto o per riduzione di personale, rispondeva alle stesse finalità dell’indennità di mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991 e prevedeva anch’esso un contributo straordinario a carico delle imprese, da versarsi all’atto di ciascun licenziamento; una volta innovata la disciplina con la legge n. 223 del 1991 ecco che l’art. 8 della legge n. 1115 del 1968 è stato espressamente abrogato dall’art. 16 della nuova legge.
Per tutto quanto esposto il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 c.p.c.), la causa va decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta dal sig. (omissis). Il soccombente non è tenuto, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., al rimborso delle spese in favore dell’INPS di questo giudizio di legittimità, e dei precedenti giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di (omissis). Nulla per le spese dell’intero giudizio.