1. La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 227 del 2019, ha accolto l’appello principale proposto dalla Provincia di Ancona nei confronti di (omissis), e in riforma della sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda proposta dalla lavoratrice; ha rigettato l’appello incidentale di quest’ultima.
2. Il Tribunale aveva accolto la domanda proposta dalla lavoratrice per l’accertamento della violazione dell’obbligo datoriale di garantire il rispetto del divieto di fumo nei locali in cui operava essa dipendente e per l’illegittima esposizione al fumo passivo della stessa, e aveva condannato l’Amministrazione al risarcimento del danno biologico temporaneo in misura del 50% per 93 giorni, nonché del danno biologico permanente nella percentuale del 25% secondo la misura indicata dalle Tabelle di Milano, oltre al pagamento della somma di Euro 1.900,00 a tiolo di spese mediche sostenute e spese di lite.
3. La Corte d’Appello ha affermato che non era stata raggiunta la prova del danno causale tra il lamentato danno alla salute e la nocività dell’ambiente di lavoro in cui la stessa operava. Ha richiamato la CTU svolta in appello rilevando che i primi sintomi di deficit ventilatorio ostruttivo a carico della lavatrice risalivano al dicembre 2007, prima dell’esposizione al fumo nell’ambiente di lavoro (marzo 2008). Inoltre, era emerso che la prima riacutizzazione di asma si era verificata in epoca anch’essa precedente al 2008, pur non essendo la lavoratrice ancora esposta al fumo passivo. Quanto alla cefalea osmofobica risultava diagnosticata prima del 2008.
Quindi, ha affermato la Corte d’Appello che le fasi di insorgenza e riacutizzazione delle patologie si collocavano in epoca anteriore al marzo 2008, data di decorrenza della presa di servizio della lavoratrice. Inoltre, la storia clinica della paziente era caratterizzata da un insieme di specifici fattori di rischio (asma bronchiale, rinite cronica).
Rigettava l’appello incidentale relativo al mancato riconoscimento del demansionamento in quanto la lavoratrice non aveva allegato le mansioni contrattuali e quelle a cui era stata adibita. Neppure erano state provate le oggettive ed effettive condizioni di lavoro per cui non potevano ritenersi provate le condizioni di asserita scarsa pulizia dei locali lavorativi. Difettava l’intento persecutorio dei denunciati comportamenti indicativi del mobbing, e non vi erano elementi per affermare che la lavoratrice fosse stata vittima di atteggiamenti sgradevoli, irrispettosi e discriminatori, né le richieste istruttorie orientavano in questo senso.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando quattro motivi di ricorso.
5. Resiste la Provincia di Ancona con controricorso, assistito da memoria con cui si riporta integralmente al controricorso.
6. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis 1, c.p.c.
L’adunanza camerale si è svolta in data 18 giugno 2024 e, a seguito della sospensione di tutte le attività disposta dal Presidente Aggiunto della Corte a causa della situazione verificatasi nel palazzo della Corte di cassazione, è proseguita in data 27 giugno 2024 come da provvedimento del Presidente in data 19 giugno 2024.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1227, cod. civ., in forza dell’art. 360 cpc, comma 1, n. 3, con riguardo alla violazione delle regole che disciplinano l’accertamento del nesso causale nel giudizio civile.
Assume la ricorrente che il nesso eziologico sussisterebbe ogni qual volta, alla stregua di una valutazione ex post, una determinata condotta umana possa essere considerata condizione del verificarsi dell’evento, anche congiuntamente ad altri fattori. Tale regola, sarebbe stata disattesa dalla Corte d’Appello, senza considerare la correlazione tra patologie bronchiali e delle vie aeree e esposizione al fumo passivo.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in forza dell’art. 360, n. 5. cpc, con riguardo alla circostanza che le patologie che affliggono la ricorrente si sono manifestate in epoca successiva all’assunzione quale dipendente della Provincia di Ancona.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in forza dell’art. 360, n. 5. cpc, con riguardo alla circostanza che la ricorrente non abbia fornito prova dell’insalubrità dei luoghi di lavoro.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 115, 116, 132 e 196 cpc, in forza dell’art. 360, n.3, in relazione alla violazione delle norme che regolano la formazione della prova nel giudizio.
La Corte d’Appello aveva accolto acriticamente la CTU di appello disattendendo l’esito della CTU di primo grado favorevole alla ricorrente, senza indicarne le ragioni.
5. I motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 25884 del 2022) in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, che qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.
La decisione impugnata, quanto agli effetti dell’esposizione al fumo passivo, la cui effettività non è stata esclusa dalla Corte d’Appello, non risulta adottata in conformità ai principi che regolano l’accertamento del nesso causale a fronte di domanda risarcitoria in tema di responsabilità civile aquiliana, secondo i quali il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, con la precisazione che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (Cass., SU, n. 576 del 2008), ciò perché “In tema di illecito aquiliano perché rilevi il nesso di causalità tra una condotta e l’evento lesivo deve ricorrere, secondo la combinazione dei principi della “condicio sine qua non” e della causalità efficiente, la duplice condizione che si tratti di una condotta antecedente necessaria dell’evento e che la stessa non sia poi neutralizzata dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l’evento stesso” (Cass. n. 18584 del 2021; cfr. Cass. n. 23197 del 27/09/2018), tenendo conto che “lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorata esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell’ambito degli elementi di conferma, e, allo stesso tempo, nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto” (Cass., n. 47 del 2017).
Invero, la Corte di appello si è limitata a dare rilievo al primo sorgere dei deficit ventilatorio ostruttivo e della riacutizzazione dell’asma, così come per la cefalea osmofobica, collocandoli prima dell’assunzione in servizio, ma, disattendendo i suddetti principi, non ha illustrato le ragioni per cui l’esposizione al fumo passivo nel periodo in cui la ricorrente prestava servizio presso la Provincia di Ancona non avrebbe concorso a far persistere o aggravare tali patologie in ragione dei criteri che regolano nella fattispecie l’accertamento del nesso causale, sopra richiamati.
Neppure la Corte d’Appello ha considerato che, a partire dall’art. 51 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (emanato anche in conformità con la sentenza della Corte Costituzionale n. 399 del 1996), negli ambienti di lavoro è vietato fumare e il datore di lavoro è responsabile del rispetto del divieto (a cui infrazione può essere sanzionata disciplinarmente), divieto che è finalizzato a garantire la salubrità dei luoghi di lavoro e a proteggere – in via di prevenzione – la salute di tutti i lavoratori dal fumo passivo, il cui carattere potenzialmente dannoso per la salute è scientificamente accertato per tutti e, quindi, in modo ancora più incisivo nei confronti delle persone propense a malattie respiratorie.
Nella specie, risulta pacifico il mancato rispetto del suddetto divieto e non risulta che la Provincia abbia adottato alcun provvedimento al riguardo, a tutela della ricorrente e di tutti i dipendenti.
6. Il ricorso va accolto per quanto di ragione. La sentenza di appello va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio, che nel decidere la controversia si atterrà ai suddetti principi di diritto.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 e 27 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria l’1 agosto 2024.
