Svolgimento del processo
1. I dottori A.A., B.B. e C.C. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei ministri e, sul presupposto di aver conseguito ciascuno una diversa specializzazione medica, chiesero che fosse riconosciuto l’inadempimento dello Stato italiano in ordine al recepimento delle direttive comunitarie regolatrici delle scuole di specializzazione, con condanna al pagamento dell’adeguata retribuzione ovvero al risarcimento dei relativi danni, non avendo essi percepito alcun compenso per tale attività.
Si costituì in giudizio il convenuto, eccependo la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda in accoglimento dell’eccezione di prescrizione.
2. La sentenza fu impugnata dagli attori soccombenti e la Corte d’appello di Roma, con sentenza 31 marzo 2017, n. 2144, in riforma di quella del Tribunale, accolse la domanda degli appellanti e condannò l’Amministrazione appellata al pagamento, in favore di ciascuna parte, della somma di Euro 6.713,94 per ciascun anno di corso, con gli interessi legali dalla data della domanda e con il carico delle spese di lite.
3. Con successivo atto di citazione ai sensi dell’art. 398 c.p.c., la Presidenza del Consiglio dei ministri ha impugnato per revocazione la citata sentenza della Corte d’appello, sostenendo che essa era in contrasto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5), con altre due precedenti sentenze, passate in giudicato, con le quali le medesime domande degli attori erano state già rigettate.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza dell’8 maggio 2019, n. 3061, ha accolto la domanda, ha revocato la sua precedente sentenza e, decidendo in fase rescissoria, ha dichiarato che le domande dei dottori A.A., B.B. e C.C. non potevano essere accolte per preclusione nascente da un precedente giudicato.
Ha osservato la Corte territoriale che dalla documentazione a disposizione risultava che il Dott. A.A. aveva convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma, con citazione del 19 giugno 2000, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’università e della ricerca, chiedendo che fosse accertato il suo diritto a percepire un’adeguata remunerazione ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6; tale domanda era stata rigettata dal Tribunale con sentenza 27 novembre 2002, n. 45127, passata in giudicato.
Analogamente, i dottori B.B. e C.C., unitamente ad altri colleghi, avevano promosso un giudizio dello stesso genere davanti al Tribunale di Napoli, chiedendo l’accertamento dello stesso diritto di cui al giudizio promosso dal Dott. A.A.. Tale domanda era stata rigettata dal Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Napoli in data 27 aprile 2007 (sentenza n. 1295) e passata in giudicato.
Dal confronto tra queste pronunce e quella oggetto della domanda di revocazione risultava che, effettivamente, la sentenza n. 2144 del 2017 della Corte d’appello di Roma era contraria alle precedenti ormai passate in giudicato, il che imponeva l’accoglimento della revocazione.
4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propongono ricorso i dottori A.A., B.B. e C.C., con unico atto affidato a due motivi.
Resiste la Presidenza del Consiglio dei ministri con controricorso affiancato da memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 395 c.p.c..
Osservano i ricorrenti che nel caso in esame non sussisterebbero i requisiti idonei a considerare perfezionato il giudicato, cioè l’identità di soggetti, petitum e causa petendi. Il giudice della revocazione deve, secondo i ricorrenti, riscontrare l’effettiva sussistenza di tale identità, ma nel caso in esame la sentenza impugnata non l’avrebbe fatto, mancando in essa un effettivo confronto tra le decisioni asseritamente in contrasto. Nei giudizi promossi davanti ai Tribunali di Roma e Napoli i dottori avevano agito per ottenere l’applicazione retroattiva del D.Lgs. n. 257 del 1991, e in quei procedimenti sussisteva il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri. La richiesta di risarcimento danni ivi formulata si fondava su presupposti fattuali e giuridici in tutto diversi dal giudizio odierno e l’azione non era volta ad ottenere la richiesta di indennizzo per tardiva attuazione delle direttive Europee.
La domanda proposta nel giudizio odierno, invece, era diretta all’adempimento di un’obbligazione ex lege e solo in via subordinata veniva chiesto il risarcimento danni, tanto che la Corte d’appello ha riconosciuto, nella sentenza n. 2144 del 2017, un indennizzo a seguito dell’inadempimento di un’obbligazione ex lege. Nel secondo giudizio, inoltre, anche la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri si fondava su di un diverso presupposto e sugli importanti sviluppi della giurisprudenza sull’argomento.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4).
Osservano i ricorrenti che nei giudizi precedenti instaurati davanti ai Tribunali di Roma e Napoli la domanda dei ricorrenti era stata rigettata per intervenuta prescrizione. Da ciò consegue che la decisione su cui si può formare il giudicato riguarderebbe soltanto l’inerzia del titolare e l’idoneità della stessa ad estinguere il diritto; pertanto, qualora in un diverso giudizio vengano fatte valere nuove prospettazioni legate a fatti sopravvenuti, l’azione proposta in un giudizio successivo determinerebbe un nuovo thema decidendum, che parte dai più recenti sviluppi della giurisprudenza in materia. Le sentenze pronunciate negli anni 2002 e 2007, quindi, non costituirebbero un giudicato preclusivo della domanda introdotta successivamente. Nel caso in esame, infatti, i medici ricorrenti hanno agito facendo valere il loro diritto all’indennizzo per l’inadempimento di un’obbligazione esistente per legge a carico dello Stato; si tratterebbe quindi, in altre parole, di una nuova azione per la quale non poteva esistere il vincolo del precedente giudicato.
3. I due motivi di ricorso, inammissibili per alcuni profili, sono entrambi privi di fondamento.
3.1. Essi sono prospettati, innanzitutto, con una tecnica non rispettosa della previsione dell’art. 366, comma 1, n. 6), del codice di rito.
Ed invero il ricorso non fornisce, nell’esposizione sommaria, estremamente lacunosa, una riproduzione diretta o almeno indiretta di quali siano i fatti costitutivi della domanda; trattandosi, infatti, di domanda volta al riconoscimento di un diritto c.d. eterodeterminato, tali elementi erano indispensabili per consentire l’individuazione del diritto fatto valere, tanto più in considerazione del fatto che il ricorso impugna una sentenza che ha accolto la domanda di revocazione per sussistenza di un pregresso giudicato.
In secondo luogo, alla pag. 5 del ricorso, pur indicandosi come prodotti i due atti di citazione introduttivi degli altri due giudizi, così sotto tale profilo adempiendo all’onere di indicazione dell’atto cui si fa riferimento, si fornisce un richiamo solo indiretto del loro contenuto, che appare del tutto generico ed inidoneo ad evidenziare nuovamente i fatti costitutivi delle domande formulate in quei giudizi.
Allo stesso modo, il ricorso è carente in quanto non riporta, nè in tutto nè in parte, quale sia il contenuto delle due precedenti decisioni, l’una del Tribunale di Roma e l’altra della Corte d’appello di Napoli, che costituiscono, nell’assunto della sentenza oggi in esame, cosa giudicata (come correttamente rilevato dall’Avvocatura dello Stato nel controricorso).
Di talchè, in definitiva, il ricorso appare carente ai fini di un’effettiva possibilità di valutazione della fondatezza delle censure proposte.
3.2. Ciò premesso in ordine ai rilievi preliminari di inammissibilità, il Collegio rileva che i due motivi di ricorso sono comunque da rigettare.
La giurisprudenza di questa Corte ha già affermato che in tema di revocazione, perchè una sentenza possa considerarsi contraria ad un’altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che sussista un’ontologica e strutturale concordanza tra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudizio e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, e risultando l’apprezzamento del giudice della revocazione al riguardo sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (sentenza 21 dicembre 2012, n. 23815, e ordinanza 3 dicembre 2021, n. 38230).
La Corte di merito ha fatto buon governo di questo principio.
Ed infatti dalla lettura dello stesso ricorso appare in modo inconfutabile come i tre medici ricorrenti abbiano agito, in sostanza, due volte in vista dello stesso obiettivo, cioè il riconoscimento, in loro favore, del diritto alla remunerazione fissata dalle ben note direttive Europee e dalla legislazione italiana di recepimento.
Non acquista rilievo, infatti, che in un giudizio essi abbiano agito per sentir dichiarare che la normativa Europea è applicabile retroattivamente e nell’altro abbiano fatto valere la prospettazione dell’inadempimento di un’obbligazione esistente per legge a carico dello Stato.
L’obiettivo, infatti, era evidentemente lo stesso ed è irrilevante che i giudizi davanti ai Tribunali di Roma e Napoli si siano conclusi con una decisione declaratoria dell’intervenuta prescrizione, contrariamente a quanto osservato nel secondo motivo di ricorso.
E’ palese, infatti, che, essendo configurabile per i medici qui ricorrenti, in relazione alla loro pretesa alla giusta remunerazione, un solo diritto, a prescindere dalla prospettazione in iure del medesimo, gli odierni ricorrenti potevano avanzare la loro pretesa in un solo giudizio. Il che significa che, anche volendo ammettere, in via di mera ipotesi, che nei due giudizi di cui è stata ritenuta l’efficacia di pregresso giudicato i medici avessero prospettato solo una delle possibili ragioni giuridiche fondanti la loro pretesa, l’esistenza del giudicato di rigetto avrebbe negato una volta per tutte l’unico bene della vita configurabile. E ciò tanto nel caso di rigetto della domanda nel merito quanto in quello di declaratoria di intervenuta prescrizione del diritto.
Del tutto prive di fondamento, pertanto, si presentano le censure odierne là dove esse postulano, con riguardo alla vicenda in esame, l’applicazione diretta del D.Lgs. n. 257 del 1991 o l’applicazione del diritto comunitario circa la risarcibilità dell’inadempimento statuale ad una direttiva non self executing. 4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, oltre le spese prenotate a debito dall’Avvocatura generale dello Stato.
In considerazione del comportamento, obiettivamente non corretto e connotato da colpa grave, tenuto dai ricorrenti nella vicenda in esame, il Collegio ritiene equo condannarli anche al pagamento di un’ulteriore somma ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, disposizione applicabile ratione temporis nel caso in esame.
Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.000, oltre alle spese prenotate a debito dall’Avvocatura generale dello Stato, nonchè dell’ulteriore somma di Euro 6.000 ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 7 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2022