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Cassazione civile sez. III, 30/10/2024, n.28008

Massima

In caso di cumulo delle domande proposte da una pluralità di danneggiati nei confronti del medesimo danneggiante, si ha litisconsorzio facoltativo derivante da ragioni di connessione non riconducibili alla solidarietà, con la conseguenza che è inammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proposta da uno di essi a seguito di quella principale di un altro, perché dall’eventuale accoglimento di quest’ultima non potrebbe derivare alcun pregiudizio all’impugnante in via incidentale, non vertendosi in ipotesi di cause inscindibili. 

Supporto alla lettura

LITISCONSORZIO

Il litisconsorzio è un istituto in base al quale in un processo figurano più parti rispetto alle due essenziali, in particolare, più attori (litisconsorzio attivo), più convenuti (litisconsorzio passivo), più attori e più convenuti (litisconsorzio misto).

Si distinguono due tipologie di litisconsorzio:

-litisconsorzio facoltativo: consente la trattazione in un unico processo di cause tra parti diverse che condividano lo stesso oggetto o lo stesso titolo o la cui decisione dipenda dalla risoluzione di identiche questioni giuridiche. La trattazione unitaria delle cause risponde ad esigenze di mera opportunità, non è un obbligo, al fine di evitare la formazione di giudicati contrastanti.

Art. 103 cpc: ‘Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono , oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni. 
Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza’

-litisconsorzio necessario: caratterizzato dalla presenza obbligatoria di più parti in un processo quando la decisione finale del giudice può produrre effetti giuridici soltanto se tutte le parti interessate sono coinvolte nel procedimento. Tale istituto risponde all’ esigenza di garantire che il  giudizio sia equo e completo, evitando decisioni parziali o inefficaci che potrebbero pregiudicare i diritti di una delle parti coinvolte.

Art. 102 cpc: Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito’

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 22 febbraio 2017 (omissis), quale moglie e amministratrice di sostegno del marito (omissis) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Pavia, (omissis), l’Impresa (omissis) Spa in liquidazione e la (omissis) Spa – nelle rispettive qualità di conducente, proprietario e assicuratore della responsabilità civile autoveicoli – per chiedere il risarcimento dei danni patiti da lei e dal marito in conseguenza di un sinistro stradale avvenuto il 6 settembre 2007.

A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che nella citata occasione il marito era stato investito dalla vettura condotta dal (omissis), riportando una serie di danni, in relazione ai quali era stato stipulato un atto di transazione, in data 19 gennaio 2008, per la somma di Euro 50.000, più Euro 5.000 a titolo di spese legali. Successivamente, tornati entrambi in Ucraina e rientrati in Italia il 20 dicembre 2008, il marito aveva manifestato sintomi di una malattia psichiatrica asseritamente derivante dalla sindrome da stress post-traumatico conseguente all’incidente, per la quale la Commissione medica dell’INPS l’aveva riconosciuto, in data 26 aprile 2012, invalido con totale e permanente inabilità lavorativa nella misura del 100 per cento.

La (omissis), pertanto, chiese che i convenuti fossero condannati al risarcimento degli ulteriori danni sofferti dal marito, i cui sintomi si erano manifestati dopo la firma dell’atto di transazione, nonché dei danni da lei direttamente patiti, avendo ella dovuto abbandonare il lavoro per assistere il marito totalmente invalido.

Si costituirono in giudizio il (omissis) e la società di assicurazioni, sostenendo l’inammissibilità della domanda per essere stata ogni pretesa risarcitoria tacitata con la suindicata transazione, nonché la prescrizione del diritto e, comunque, l’assenza di una responsabilità esclusiva del conducente nella determinazione del sinistro stradale; nessuno si costituì, invece, per la società (omissis).

Espletata una c.t.u. medico-legale sulla persona di (omissis), con nomina di un interprete di lingua ucraina, il Tribunale dichiarò inammissibile la domanda proposta nei confronti della società (omissis), in quanto nel frattempo dichiarata fallita, rigettò ogni domanda nei confronti dei due convenuti costituiti e compensò integralmente le spese di giudizio.

Osservò il Tribunale che con la precedente sentenza n. 101 del 2016, pronunciata tra le stesse parti, il medesimo Ufficio aveva rigettato tutte le domande formulate da (omissis), in proprio e quale moglie e amministratrice di sostegno del marito, finalizzate ad ottenere sia l’annullamento del contratto di transazione in precedenza intercorso tra la vittima e la società assicuratrice sia il risarcimento, a favore di (omissis), del danno patrimoniale e non patrimoniale subito in conseguenza del sinistro. Ha poi aggiunto che, per ammissione della stessa parte attrice, i primi segni della malattia psichiatrica del marito si erano manifestati nell’agosto 2009, cioè in una data comunque precedente rispetto a quella di inizio dell’altro giudizio definito con la citata sentenza (che era stato intrapreso nel 2013). Conseguiva da tale premessa che la domanda risarcitoria avanzata, tramite la moglie, da (omissis) non poteva comunque essere proposta, in considerazione dell’efficacia definita tombale dell’accordo transattivo raggiunto.

Tale motivazione non poteva, però, essere idonea a supportare analoga decisione anche in relazione al danno richiesto da (omissis) iure proprio, in conseguenza del trauma psichico sofferto dal marito.

A questo proposito il Tribunale, richiamando e facendo proprie tutte le conclusioni del c.t.u., dichiarò che anche le domande avanzate dalla donna dovevano essere rigettate, non potendosi ritenere accertata l’esistenza del nesso di causalità tra l’investimento e la lesione psichica (essendo l’onere della relativa prova, ovviamente, a carico dell’attrice). Ed invero il c.t.u, mentre aveva riconosciuto il collegamento causale tra l’incidente e gli esiti algico-iposteno-disfunzionali della lesività organica, determinata in una percentuale tra il 14 e il 15 per cento, aveva ritenuto mancante ogni prova certa di un collegamento tra lo stesso incidente e la patologia psichiatrica. A tale conclusione, osservò il Tribunale, il c.t.u. era giunto richiamando i criteri cronologico, topografico, di efficienza o sufficienza, di continuità fenomenica e di esclusione. Per cui, pur essendo stato accertato lo stato di prostrazione psichica del (omissis), il Tribunale rigettò la domanda per mancato raggiungimento della prova dell’esistenza del nesso causale tra l’incidente e la patologia.

2. La decisione è stata impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’Appello di Milano, con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., ha dichiarato inammissibile l’appello in quanto privo di ragionevoli probabilità di essere accolto.

3. Contro la sentenza del Tribunale di Pavia propone ricorso principale (omissis) con atto affidato ad un solo motivo.

Si costituisce (omissis), tramite l’amministratrice di sostegno (omissis), con controricorso contenente ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

La (omissis) Spa resiste con due separati controricorsi al ricorso principale e a quello incidentale.

Entrambi i ricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

 

1. Con l’unico motivo del ricorso principale si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 116,61,62 e 194 cod. proc. civ., nonché degli artt. 112,132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. in ordine alla c.t.u. svolta in primo grado e per mancato esame di elementi indiziari decisivi.

La ricorrente – dopo aver riportato una serie di passaggi della relazione del c.t.u. e delle critiche ad essa mosse dal c.t. di parte – suddivide in due parti la censura e osserva che la sentenza del Tribunale non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi probatori dai quali si sarebbe dovuto dedurre che la gravissima patologia psichiatrica che ha reso (omissis) totalmente invalido è conseguenza del sinistro stradale di cui si è detto. L’amplissimo motivo contesta i criteri seguiti dal c.t.u. nel valutare la situazione, in particolare criticandone l’operato perché non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione altra documentazione sanitaria di senso contrario; censura poi il fatto che la suindicata relazione, recepita dal Tribunale, non abbia tenuto in alcun conto la certificazione della Commissione medica superiore dell’INPS che aveva riconosciuto al (omissis) la totale e permanente inabilità lavorativa al 100 per cento, sulla base di una diagnosi accertata di disturbo post-traumatico da stress, con gravissime connotazioni psicotiche, per esiti di investimento stradale.

2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., nonché eventuale violazione degli artt. 1965 e 1362 e ss. cod. civ., in combinato disposto con gli artt. 2043 e 2054 dello stesso codice.

La complessa e articolata censura può essere così riassunta. La sentenza del Tribunale impugnata in questa sede sarebbe errata perché ha ritenuto che sulla domanda di risarcimento dei danni ulteriori lamentati in proprio da (omissis) sussisterebbe il giudicato derivante dal rigetto della domanda contenuto nella sentenza n. 101 del 2016 del medesimo Tribunale. La ritenuta sussistenza del giudicato sarebbe, ad avviso del ricorrente, errata, perché nel primo giudizio, cioè quello definito dalla sentenza n. 101 citata, l’oggetto era costituito solo dall’accertamento dell’invalidità della transazione stipulata nel 2008, mentre nel secondo giudizio, cioè quello odierno, lo stesso (omissis) e la moglie hanno chiesto l’accertamento dei danni postumi non prevedibili al momento in cui fu firmata la transazione. Le due cause sarebbero, quindi, diverse, per cui il Tribunale non poteva, nel giudizio odierno, ritenere esistente un giudicato preclusivo sul danno ulteriore, data la diversità delle parti, del petitum e della causa petendi. La diversità delle domande, del resto, emergerebbe anche dalla motivazione della sentenza qui impugnata, là dove il Tribunale afferma che la domanda di risarcimento del danno postumo sarebbe coperta dall’efficacia tombale della transazione. Ne consegue che, se si ritiene che il Tribunale abbia implicitamente respinto anche la domanda di risarcimento del danno psichico di origine traumatica in quanto ricompreso nella transazione, vi sarebbe violazione delle regole di interpretazione del contratto e delle norme relative alla transazione.

3. La Corte rileva che il ricorso principale è inammissibile.

Ed invero il Tribunale di Pavia, dopo aver disposto un’apposita c.t.u. finalizzata proprio all’accertamento dell’esistenza del nesso causale tra l’incidente stradale e la situazione di grave menomazione psichica patita da (omissis), che lo ha reso totalmente invalido, è pervenuto alla conclusione secondo la quale non poteva “assolutamente affermarsi” che tale nesso di causalità fosse risultato dimostrato.

La c.t.u. – che, in base a quanto riferito dal Tribunale, è stata svolta in modo estremamente scrupoloso, considerando tutti i criteri riconosciuti come validi dalla psichiatria forense – ha esaminato il caso alla luce dei criteri cronologico, topografico, di efficienza, di continuità fenomenica e di esclusione; e nessuno di questi ha supportato positivamente la tesi della ricorrente. Ed è giurisprudenza fermissima di questa Corte il principio secondo cui il giudice di merito, quando decida di condividere e fare proprie le conclusioni del c.t.u., non è tenuto a dare conto minutamente di tutte le singole contestazioni mosse al c.t.u. dal c.t. di parte.

A fronte della completezza delle argomentazioni rese dal Tribunale, il ricorso principale – redatto di per sé con una tecnica assai prolissa e tale da renderne difficile la lettura – non va oltre l’evidente tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito, posto che è palese che la Corte di legittimità non potrebbe comunque censurare la sentenza impugnata attraverso il riesame che la ricorrente oggi sollecita.

Quanto, poi, alla presunta omessa considerazione, da parte del Tribunale, della certificazione INPS che ha riconosciuto al (omissis) la totale e permanente inabilità lavorativa al 100 per cento, il Collegio si limita ad osservare, innanzitutto, che quella certificazione non può comunque tradursi in un vincolo nei confronti del giudice civile ai fini del riconoscimento del nesso di causalità tra l’incidente e lo stato di salute attuale del danneggiato. Oltre a questo, è appena il caso di osservare, ad abundantiam, che lo stralcio del provvedimento della Commissione medica superiore dell’INPS riportato alla p. 47 del ricorso non contiene – né potrebbe essere diversamente – alcun accertamento dell’esistenza dell’invocato nesso di causalità.

4. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale, la Corte deve compiere una premessa di carattere processuale.

4.1. Tale impugnazione è stata rivolta correttamente nei confronti della sentenza del Tribunale, posto che la Corte d’Appello aveva dichiarato l’appello inammissibile, ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., in quanto privo di ragionevoli probabilità di essere accolto.

Ora, com’è noto, ai fini del decorso del termine breve per il ricorso, l’art. 348-ter, terzo comma, cod. proc. civ. dispone, innovando rispetto alle regole generali in tema di impugnazioni (art. 326 cod. proc. civ.), che quel termine decorra “dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità”. Il che viene a significare che, a prescindere dalla notificazione (eventualmente) compiuta dalla controparte, il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione può decorrere anche dalla comunicazione dell’ordinanza da parte della cancelleria della Corte d’Appello.

Nel caso in esame, come risulta dalla documentazione che questa Corte ha acquisito d’ufficio, data la rilevanza pubblicistica del rispetto delle norme sui termini per le impugnazioni, la cancelleria della Corte d’Appello milanese ha comunicato a mezzo PEC a tutti i difensori, in data 21 settembre 2020, cioè lo stesso giorno del deposito, l’avvenuta pubblicazione dell’ordinanza di inammissibilità (fra i difensori destinatari risulta anche l’avv. (omissis), presso la quale l’appellante (omissis) era elettivamente domiciliata). Ne consegue che da quella data ha avuto inizio il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione; e poiché il ricorso incidentale è stato notificato il 29 dicembre 2020, esso è irrimediabilmente tardivo.

4.2. Si tratta a questo punto di valutare le conseguenze di tale tardività.

A norma dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., all’inammissibilità del ricorso principale dovrebbe far seguito la dichiarazione di inefficacia del ricorso incidentale tardivo, ma nel caso specifico tale esito è superato dall’inammissibilità di quest’ultimo.

Non è il caso di richiamare in questa sede le numerose pronunce emesse dalle Sezioni Unite di questa Corte nella materia in questione, potendosi limitare il Collegio a ricordare che queste ultime, con la recente sentenza 28 marzo 2024, n. 8486, sono tornate sull’argomento e hanno stabilito il principio secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando riveste le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale, in ragione del fatto che l’interesse alla sua proposizione può sorgere dall’impugnazione principale o da un’impugnazione incidentale tardiva.

Tale principio, tuttavia, è stato enunciato in relazione ad un caso diverso da quello in esame.

Nel giudizio odierno, infatti, il ricorso incidentale è stato proposto da una parte che era destinataria del ricorso principale solo ai sensi dell’art. 332 cod. proc. civ. e che non era la parte contro la quale l’impugnazione principale era diretta. In realtà, il nesso esistente fra la domanda proposta iure proprio da So.Ly. e quella da lei proposta quale amministratrice di sostegno del marito (omissis) si connotava come relativo ad un mero cumulo fra domande riferibili come parti sostanziali a due diversi danneggiati, titolari di distinti diritti risarcitori verso il danneggiante e, quindi, era riconducibile ad una mera connessione per il titolo (rappresentato dal sinistro come causa dei danni all’una e all’altro), ai sensi dell’art. 103 del codice di rito. Il litisconsorzio così insorto era, perciò, di natura facoltativa e le posizioni dei due danneggiati, e i conseguenti diritti da ciascuno di essi fatti valere, restavano distinti e governati da un interesse distinto. È indubbio che, in relazione ai fatti costitutivi delle due domande proposte, si presentava la comunanza del fatto costitutivo della fonte del danno, ma, come già detto, tanto integrava una mera connessione per il titolo, giustificativa della possibilità del litisconsorzio ai sensi dell’art. 103 suindicato.

Deve tuttavia sottolinearsi che, pur in presenza di un fatto costitutivo comune ai due distinti diritti risarcitori, la proposizione dell’impugnazione da parte di uno dei danneggiati non si ricollegava affatto ad un interesse comune, non sussistendo, nella specie, la figura dell’obbligazione solidale dal lato attivo, come accade quando “tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori” (art. 1292 cod. civ.). In presenza di un’obbligazione solidale, infatti, il diritto di credito è uno solo, sebbene spettante a più soggetti, ma esercitabile da ciascuno verso il debitore comune.

La sentenza n. 8486 del 2024 suindicata, invece, è stata pronunciata proprio in riferimento a un caso di obbligazione solidale. Hanno osservato le Sezioni Unite che, pur trattandosi di litisconsorzio facoltativo e, dunque, di un’ipotesi da inquadrare nell’art. 332 cod. proc. civ., per la particolarità della connessione riconducibile alla solidarietà, la fattispecie rimane sottratta alla disposizione dell’art. 334 cod. proc. civ., divenendo perciò ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proveniente (a) da parte del concreditore che non ha impugnato tempestivamente in via principale, avendo tempestivamente impugnato contro il debitore comune un altro concreditore, e (b) da parte del condebitore che non abbia impugnato tempestivamente in via principale, avendo tempestivamente impugnato contro il creditore comune un altro condebitore.

È peraltro evidente, ad avviso di questo Collegio, che le Sezioni Unite abbiano limitato il loro dictum – enunciato nell’interesse della legge e nella sostanza conforme a quanto esse avevano già statuito con la sentenza 27 novembre 2007, n. 24627 – esclusivamente all’ipotesi della connessione riconducibile alla figura delle obbligazioni solidali, come emerge in modo manifesto dall’osservazione, svolta dalle Sezioni Unite a pag. 23 della sentenza n. 8486, nel descrivere la situazione giurisprudenziale interna alla Corte (testualmente: “Il contrasto sulla legittimazione attiva a proporre impugnazione incidentale tardiva assume rilievo soprattutto, nel campo delle obbligazioni solidali a “interesse comune”, in quanto in ambiti in cui la connessione di cause è meno rilevante la giurisprudenza della Corte, sulla base dei diversi principi affermati, è giunta a conclusioni non contrastanti”).

La ricostruzione fin qui svolta conduce il Collegio odierno ad affermare che il recente intervento delle Sezioni Unite risulta privo di rilevanza in una situazione – com’è appunto quella odierna – di litisconsorzio facoltativo derivante da ragioni di connessione non riconducibili nell’ambito della figura della solidarietà. Rimane in simile ipotesi, allora, pienamente vigente il disposto dell’art. 334, secondo comma, cit., secondo cui il soggetto la cui posizione sia riconducibile all’art. 332 cit. e, naturalmente, non sia destinatario dell’impugnazione principale – come accaduto nel caso di specie – non può svolgere impugnazione incidentale tardiva (a seguito della notifica dell’impugnazione principale fattagli solo per notiziarlo dell’impugnazione).

Nel giudizio odierno, dunque, essendo pacifico che l’interesse del ricorrente principale e del ricorrente incidentale sono convergenti quanto all’accertamento del fatto che ha dato luogo alla responsabilità nei loro confronti, ma si riferiscono a diritti risarcitori distinti, nessun danno, per ovvie e comprensibili ragioni, potrebbe derivare al ricorrente incidentale dall’eventuale esito di accoglimento del ricorso principale. Ne consegue che il ricorrente incidentale non può giovarsi delle regole sull’impugnazione incidentale tardiva e avrebbe dovuto proporre il proprio ricorso tempestivamente.

In questa prospettiva, pertanto, rimane pienamente valido il principio di diritto, enunciato a suo tempo, secondo cui: “qualora distinti giudizi di responsabilità civile da circolazione dei veicoli, separatamente introdotti contro il responsabile ed il suo assicuratore da diversi danneggiati per il medesimo fatto, vengano ad essere successivamente riuniti avanti al medesimo giudice, il litisconsorzio che si realizza è di natura facoltativa, e tale rimane anche nella fasi di gravame, ancorché comune ai giudizi riuniti sia l’accertamento della responsabilità del sinistro. Ne consegue che l’impugnazione proposta da uno dei danneggiati, anche se notificata all’altro, non legittima quest’ultimo ad impugnare in via incidentale tardiva la negazione della responsabilità rispetto alla propria domanda, poiché l’impugnazione tempestiva non è contro di lui rivolta e non si verte in ipotesi di inscindibilità delle cause” (ordinanza 29 settembre 2017, n. 22809).

L’impugnazione incidentale deve essere, dunque, dichiarata anch’essa inammissibile, anche se per ragioni diverse da quelle che si sono viste a proposito del ricorso principale.

5. In conclusione, sono dichiarati inammissibili tanto il ricorso principale quanto quello incidentale.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale e condanna entrambi i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200 per ciascun controricorso, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2024.

Allegati

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