…omissis…
Ritenuto
con sentenza resa in data 2/08/2021, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto da G.M. e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la XX Insurance Plc (già XX s.p.a.) al risarcimento, in favore del G., delle spese mediche dallo stesso sostenute a seguito del sinistro stradale dedotto in giudizio, contestualmente rigettando il gravame del G. volto alla liquidazione di un maggior importo a titolo di danno biologico (liquidato dal primo giudice attraverso il riferimento alle c.d. tabelle di Roma) nonché al risarcimento del danno da invalidità lavorativa specifica;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto che la circostanza dell’avvenuta previa copertura assicurativa delle spese mediche da parte del danneggiato, e la conseguente liquidazione dell’indennità così ottenuta dalla propria compagnia assicurativa, non valessero a giustificare l’esclusione del risarcimento del danno in relazione al rimborso di tale spese in applicazione del principio della cosiddetta compensatio lucri cum damno, avuto riguardo alla diversità del titolo assicurativo personale rispetto a quello risarcitorio vantato nei confronti del danneggiante;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato la piena congruità della liquidazione operata dal primo giudice attraverso il riferimento alle cosiddette tabelle elaborate presso il Tribunale di Roma, nonché l’infondatezza della domanda del G. volta alla rivendicazione del risarcimento del danno patrimoniale da invalidità lavorativa specifica, non avendo il G. fornito alcuna prova adeguata di tale danno;
avverso la sentenza d’appello, la XX Insurance Company LTD propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;
G.M. resiste con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
N.A. e P.P. (conducente e proprietaria del veicolo danneggiante) non hanno svolto difese in questa sede;
la XX Insurance Company LTD e G.M. hanno depositato memoria.
Considerato
con l’unico motivo di impugnazione proposto, la compagnia assicuratrice ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1905 e 1223 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’applicazione, al caso di specie, del principio della cosiddetta compensatio lucri cum damno in violazione del c.d. principio indennitario in forza del quale dev’essere escluso il cumulo tra indennizzo assicurativo e risarcimento del danno al fine di impedire che, per effetto di tale cumulo, il danneggiato possa conseguire un ingiustificato arricchimento in conseguenza del fatto illecito denunciato;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, nell’assicurazione contro i danni, il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall’ammontare del danno risarcibile l’importo dell’indennità che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto, in quanto detta indennità è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall’assicurato in conseguenza del verificarsi dell’evento dannoso ed essa soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito (Sez. U., Sentenza n. 12565 del 22/05/2018, Rv. 648648 – 01; sul punto v. conf. Sez. 3, Ordinanza n. 9003 del 30/03/2023, Rv. 667243 – 02);
ciò posto, del tutto erroneamente la corte territoriale ha ritenuto legittimo il cumulo tra indennizzo assicurativo e risarcimento del danno, ritenendo peraltro erroneamente di avvalersi dei principi di diritto stabiliti da Sez. 3, Sentenza n. 9380 dell’8 aprile 2021, senza intenderne, né i contenuti né il significato, ossia senza prestare attenzione alla determinante distinzione tra il tipo contrattuale dell’assicurazione contro i danni dal tipo dell’assicurazione sulla vita, dovendo riconoscersi solo per tale ultimo tipo di polizza (in ragione della relativa funzione economico-sociale e della natura degli interessi destinati ad essere realizzati attraverso la relativa stipulazione) l’esclusione del principio della compensatio lucri cum damno, come peraltro affermato nella stessa sentenza delle Sezioni Unite più sopra richiamata, là dove ha sottolineato come, nel caso di assicurazione sulla vita, l’indennità si cumula con il risarcimento, perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi, e l’indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante (Sez. U., Sentenza n. 12565 del 22/05/2018, in motivazione, par. 5.7);
tali considerazioni valgono altresì a destituire di alcun fondamento quanto erroneamente ribadito sul punto dal G. nelle memorie da ultimo depositate;
con il primo motivo di ricorso incidentale, G.M. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 32 Cost., nonché degli artt. 2056,2059 e 1226 c.c., nonché dell’art. 113 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto congrua la liquidazione del danno biologico effettuata dal primo giudice sulla base delle c.d. tabelle romane, di per sé inidonee a costituire un parametro sufficiente per la giustificazione della decisione assunta, tenuto conto della “vocazione nazionale” viceversa attribuita dalla giurisprudenza di legittimità alle tabelle elaborate presso l’Osservatorio del Tribunale di Milano, nella specie totalmente disattese;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale, nel condividere la valutazione operata dal primo giudice in ordine liquidazione del danno, ha ulteriormente osservato come “le maggiori somme richieste dall’appellante a titolo di personalizzazione massima dei valori espressi dalle tabelle di Milano, che come noto già comprendono la sofferenza morale, non sono giustificate da particolari situazioni del danneggiato, né allegate ne provate” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);
ciò posto, al fine di assolvere adeguatamente agli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (e, dunque, ai fini dell’ammissibilità della censura avanzata in questa sede), il ricorrente incidentale avrebbe dovuto espressamente censurare tale motivazione attraverso l’indicazione di “quelle particolari situazioni” che avrebbero consentito di dar conto dell’errore del primo giudice nel non tener conto delle c.d. tabelle di Milano;
in particolare, il ricorrente incidentale ha trascurato di censurare tale motivazione, tanto nell’illustrazione del motivo in esame – essendosi limitato (v. pag. 28 del ricorso) all’indicazione di una serie di circostanze senza operarne la localizzazione in questo giudizio di legittimità, e senza indicare “da dove” e “come” dette circostanze sarebbero state fatte risultare al giudice di appello – quanto nell’esposizione dei fatti di causa, nella parte in cui viene riferito il contenuto del motivo di appello sul punto (punto a, alle pagg. 12-13 del ricorso);
le indicate omissioni valgono pertanto a precludere a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;
con il secondo motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 137 del codice ass. private, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 113 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da invalidità lavorativa specifica avanzata dal G., sulla base di un’errata valutazione degli elementi istruttori complessivamente acquisiti al giudizio, avendo il danneggiato ritualmente depositato in giudizio la documentazione relativa alle proprie dichiarazioni dei redditi così come espressamente previsto dall’art. 137 cit.;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come l’interpretazione prospettata dal ricorrente incidentale in relazione all’art. 137 cit. sembrerebbe individuare, nella trama di tale norma, l’imposizione di una sorta di prova legale che, al contrario, la lettura di detta non contempla in nessun caso;
varrebbe peraltro considerare come detta norma risulta dettata in relazione a una fattispecie non conforme a quella oggetto dell’odierno esame, essendo stato riconosciuto, nel caso di specie, a carico del G., un grado di invalidità permanente pari al 17% e, dunque, superiore ai limiti delle c.d. “microlesioni” (inferiori al 10%) considerate dalla disciplina richiamata dal ricorrente incidentale;
sotto altro profilo, pur assumendo come oggetto di critica l’effettiva motivazione della sentenza impugnata, là dove ha sottolineato la mancata offerta di elementi probatori utili al fine di ricollegare la contrazione reddituale ai postumi sofferti, l’evocazione, da parte del ricorrente, delle risultanze della c.t.u., non risulta corredata dall’indicazione dell’an e del quomodo della relativa prospettazione;
da tali premesse deriva la conclusione secondo cui la censura in esame si risolve in una sostanziale proposta di lettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, secondo una prospettiva critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sul motivo di appello proposto dal G. con riguardo all’errata valutazione delle prove e dei fatti non controversi in ordine a circostanze rilevanti e dedotte dalle parti, con specifico riferimento all’entità delle somme ricevute dal danneggiato in sede stragiudiziale dalla compagnia assicuratrice avversaria: somme che il giudice di primo grado ha erroneamente portato in detrazione dall’importo complessivo della condanna risarcitoria pronunciata;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia ritualmente pronunciato sulle domande relative alla liquidazione dei danni risarcibili in favore del danneggiato, ivi comprese le questioni connesse agli acconti ricevuti in sede stragiudiziale;
deve pertanto escludersi che la corte territoriale sia incorsa in una mancata pronuncia su tali questioni (e dunque in una violazione dell’art. 112 c.p.c.), dovendo piuttosto evidenziarsi l’illegittimità della pretesa del ricorrente incidentale di individuare la denunciata omissione in un’insufficiente considerazione del motivo dedotto: circostanza (l’insufficienza della considerazione del motivo di gravame) di per sé tale da non integrare in alcun modo il vizio di omessa pronuncia rilevante ai fini dell’art. 112 c.p.c.;
con il quarto motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte d’appello omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame avanzato dal G. in relazione all’invocata liquidazione in proprio favore delle spese del giudizio di primo grado diversamente da quanto disposto dal primo giudice;
l’accoglimento del ricorso principale vale ad assorbire la rilevanza della censura in esame, nella specie proposta con riguardo ai temi relativi alla liquidazione delle spese di lite destinati ad essere riconsiderati dal giudice del rinvio;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del ricorso principale e la complessiva infondatezza delle censure articolate nel ricorso incidentale, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione all’accoglimento del ricorso principale, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione all’impugnazione principale accolta e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
