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Cassazione civile, sez. III, 28/12/2023, n. 36294

Massima

È in linea con la giurisprudenza di legittimità la decisione di merito in cui il giudice abbia basato la sua statuizione ritenendo il preventivo un indizio che, unito con altri, l’ha indotto a ritenere provato il quantum debeatur (fattispecie in tema di domanda ex art. 2054 c.c. per il risarcimento del danno a sostegno della quale veniva prodotto un preventivo di spesa redatto da un’autocarrozzeria, non sottoscritto dal suo redattore, nonché due riproduzioni fotografiche della parte anteriore della autovettura, oltre alla prova per testi).

NDR: in tal senso Cass. 26/11/2021, n. 36900.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Con atto di citazione del 26/11/2018, D.B.G. conveniva, innanzi al Giudice di Pace di Pescara, la ditta S. di P.S. & C. snc, per sentirla condannare, ex art. 2054 c.c., al risarcimento del danno quantificato in Euro 1.139,00 o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia;

a sostegno del quantum debeatur, secondo quanto rappresenta la ricorrente, parte attrice produceva un preventivo di spesa redatto da un’autocarrozzeria, non sottoscritto dal suo redattore, nonché due riproduzioni fotografiche della parte anteriore della propria autovettura, con relativa targa; all’udienza del 4 aprile 2019 veniva escusso il teste D.P.E., il quale confermava l’avvenuto contatto tra le due autovetture, dichiarando di aver visto “che la Mercedes, facendo retromarcia, urtava il paraurti anteriore della Panda “, mentre sull’entità dei danni riferiva “nulla so in relazione al preventivo allegato a tale foto…”;

il Giudice di Pace di Pescara, con sentenza n. 477/2019, dichiarata la contumacia della ditta S., la condannava al pagamento della somma di Euro 893,63;

la ditta S. interponeva appello, dinanzi al Tribunale di Pescara, con cui chiedeva di dichiarare la nullità dell’atto di citazione e conseguentemente dell’intero giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di Pace di Pescara, per non avere parte attrice concesso i termini minimi a comparire di cui al combinato disposto dagli artt. 163 bis e 318 c.p.c.; in via subordinata, chiedeva il rigetto della domanda attorea o che la condanna fosse rideterminata nel quantum, sulla scorta di una espletanda CTU meccanica, nonché che fosse diversamente quantificata la somma dovuta per la diffida stragiudiziale dell’avvocato omissis del omissis;

il Tribunale di Pescara, con la sentenza n. 1436/2020, depositata il 21/12/2020, ha rigettato l’eccezione di nullità dell’atto di citazione e dell’intero conseguente giudizio, reputando il vizio sanato da una seconda notifica, effettuata il giorno tramite PEC, nella quale veniva indicata una nuova data di prima udienza di comparizione e, nel merito, pur riconoscendo espressamente in motivazione che il solo preventivo di spesa “non può costituire prova del danno del veicolo…”, ha comunque ritenuto che, sulla scorta delle due fotografie prodotte in giudizio da parte attrice e della deposizione del teste escusso in primo grado, il danno potesse essere quantificato come da preventivo;

la ditta S. ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi;

resiste con controricorso D.B.G.;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;

la ricorrente ha depositato memoria.

va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività sollevata dalla controricorrente, la quale sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla società S., la sentenza del Tribunale era stata notificata tramite pec in data 21 dicembre 2020, sicché il ricorso per cassazione avrebbe potuto essere notificato entro il 21 febbraio 2021; essendo stato notificato, invece, il 21 giugno 2021, il ricorso dovrebbe essere considerato tardivo;

la documentazione prodotta non costituisce la prova del perfezionarsi della notificazione della sentenza e non ha provocato il decorso del termine breve di sessanta giorni per impugnare il provvedimento con ricorso per cassazione, a decorrere dalla notifica stessa (Cass. 19/09/2017, n. 21597 e successiva giurisprudenza conforme); la notifica effettuata in data 21 dicembre 2020 non risulta conforme al modello normativo ratione temporis vigente, avendo la controricorrente documentato l’invio in allegato pdf della sentenza, del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, delle ricevute di avvenute consegna e accettazione, ma non anche della relata di notificazione, sottoscritta dal difensore, nonché della copia conforme della sentenza;

si può dunque passare allo scrutinio dei motivi;

2) con il primo motivo, la ricorrente denuncia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare degli artt. 163 bis e 318 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 4”;

evoca la giurisprudenza di questa Corte, in particolare Cass. 21652/2018, secondo cui “Ai fini del calcolo dei termini minimi a comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c., decorrenti dalla data di notifica dell’atto di citazione (in primo grado ed in appello), occorre fare riferimento alla data dell’udienza fissata in citazione, fermo restando che, in caso di inosservanza dei predetti termini, la nullità non è sanata quando essi risultino rispettati per effetto del differimento dell’udienza a norma dell’art. 168 bis c.p.c., commi 4 e 5”, e deduce che, dalla documentazione versata in atti, risulta che l’atto di citazione dinanzi al Giudice di Pace di Pescara è stato notificato in data 26 novembre 2018, a mezzo PEC, con indicazione della data di prima udienza al 18 dicembre 2018, pertanto intercorrendo tra la data di notificazione e quella indicata per la prima udienza di trattazione soltanto 21 giorni liberi, sussisteva una nullità insanabile, a prescindere dal differimento di udienza;

aggiunge che, al fine di evitare detta nullità, non poteva farsi riferimento alla notifica di un altro atto di citazione – avvenuta in data 27 novembre 2018 con prima udienza fissata per il 18 gennaio 2019, ove veniva affermato che la prima notifica avrebbe dovuto essere considerata tamquam non esset, perché la condotta dell’appellata aveva ingenerato un affidamento circa la data di udienza fissata in atto di citazione (18 dicembre 2018), inducendola a restare volutamente contumace, anche in considerazione del fatto che non “si può pretendere, da soggetto estraneo alle dinamiche processuali, una conoscenza tale da non considerare, secondo i criteri di ordinaria diligenza, che la seconda notifica di un atto, identico a quello ricevuto il giorno precedente, non fosse (come ragionevolmente avrebbe dedotto chiunque…) un semplice refuso, bensì contenesse la sola modifica della data di udienza, tanto da doverne dare immediata comunicazione al sottoscritto difensore, cosa ovviamente non avvenuta”; né assume rilevanza, ad avviso della ricorrente, l’eccezione di controparte circa il riferimento all’istituto della litispendenza che, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., si applica ai casi in cui “…stessa causa è proposta davanti a giudici diversi……”, vieppiù in considerazione del fatto che, quand’anche avesse dovuto applicarsi la litispendenza, il giudice successivamente adito avrebbe dovuto disporre con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo, sicché, essendo la pendenza del giudizio determinata dal primo atto – quello nullo – la conseguenza non sarebbe stata diversa; precisa, ancora, che nel procedimento dinanzi al Giudice di Pace l’iscrizione a ruolo e conseguente costituzione dell’attore non deve rispettare il termine di cui all’art. 165 c.p.c., potendo avvenire sino al giorno prima della data di udienza indicata da parte attrice, circostanza che non induce il convenuto ad assicurarsi se, effettivamente, la causa sia stata o meno iscritta;

precisato che oggetto di censura è solo la statuizione del giudice a quo e non la ricostruzione in sentenza del contenuto della pronuncia impugnata e rilevato che il giudice a quo ha correttamente disatteso l’eccezione dell’odierna ricorrente, uniformandosi alla giurisprudenza di legittimità secondo cui qualora una citazione nulla, per inosservanza dei termini di comparizione, sia stata rinnovata, prima della declaratoria di detta nullità, in questo caso su iniziativa dell’attore il rapporto processuale si costituisce validamente con decorso dalla notificazione del nuovo atto introduttivo (Cass. 15/03/1995, n. 3036 e successiva giurisprudenza conforme), il motivo va rigettato;

con il secondo motivo al Tribunale si imputano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che esclude che il preventivo di spesa costituisca prova del danno per cui si chiede il risarcimento, trattandosi di un elemento indiziario, in quanto redatto da soggetto terzo estraneo alla controversia, che può essere valutato dal giudice soltanto unitamente ad altri elementi, altrettanto indiziari, quali la prova testimoniale del suo redattore, il listino prezzi ufficiale dei pezzi di ricambio, il prezziario della manodopera ed anche le foto del mezzo incidentato (presenti nel caso, ma assolutamente inidonee a corroborare il preventivo prodotto in atti): se nemmeno la fattura, ove non accompagnata da regolare quietanza, costituisce prova del danno (Cass. 20/07/2015, n. 15176; Cass. 12/02/2018 n. 3293), a maggior ragione – conclude la ricorrente – alcun valore può assumere un semplice preventivo, non firmato dal suo redattore, non confermato in udienza e non accompagnato da listino prezzi ufficiale su ricambi e manodopera;

il motivo è inammissibile;

le censure alla sentenza impugnata non si correlano al contenuto della stessa;

a differenza di quanto afferma parte ricorrente, il giudice a quo non ha affatto basato la sua statuizione esclusivamente sul preventivo di spesa, ma, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto il preventivo un indizio (Cass. 26/11/2021, n. 36900) che, unito con altri, l’ha indotto a ritenere provato il quantum debeatur;

con il terzo motivo è denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non essersi il Tribunale espresso sulla congruità della somma di Euro 300,00, ove parametrata alla richiesta risarcitoria di Euro 839,63, richiesta dal legale di parte attrice per l’iniziale diffida ad adempiere inviata alla controparte e liquidata dal Giudice di prime cure;

il motivo è inammissibile;

anche senza considerare che erroneamente il vizio denunciato è stato ricondotto alla categoria giuridica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ed è stato, sia pure non soddisfacendo gli oneri di allegazione che incombono su chi denunci il vizio di omesso esame del fatto decisivo, anche illustrato come vizio di omesso esame di un fatto; a p. 8 del ricorso si legge, infatti: “si ritiene costituisca un sacrosanto diritto della parte quello di conoscere le motivazioni di un provvedimento censurato. L’argomento risulta essere stato, nel corso del giudizio di appello, oggetto di discussione delle parti e riportato nei propri scritti difensivi, pertanto può considerarsi decisivo…”), al fine di essere scrutinato come vizio di omessa pronuncia, parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che al giudice del merito era stata rivolta una domanda autonomamente apprezzabile, ritualmente e inequivocabilmente formulata, per la quale quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile, e riportare detta istanza puntualmente, nei suoi esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del suo contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali era stata proposta, onde consentire a questa Corte di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (Cass. 05/08/2019, n. 20924);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per porre a carico della società ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Allegati

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