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Cassazione civile sez. III, 28/12/2023, n. 36182

Massima

Va affermato che in tema di responsabilità civile da sinistro stradale, ai fini dell’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti, idonea a determinare il superamento della presunzione ex art. 2054 c.c., comma 2, non è sufficiente la prova relativa all’avvenuta infrazione al C.d.S. essendo, altresì, necessaria la dimostrazione della sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento integrante detta violazione e l’evento dannoso, posto che la presunzione in parola opera sul piano della causalità, sicché la violazione amministrativa deve aver avuto un’incidenza causale per aver rilievo in termini di responsabilità civile. Non possono pertanto essere confusi il piano della violazione amministrativa, rilevante ai fini della colpa specifica, e quello della causalità materiale, rispetto al quale interviene il disposto di cui all’art. 2054, comma 2 (è quindi infondato il motivo con cui si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 154 e 149 C.d.S. dolendosi che, accertato che l’autoveicolo aveva effettuato una repentina e non segnalata ripartenza dalla posizione di sosta, doveva essere fatta applicazione dell’art. 154, quale norma speciale rispetto all’art. 2054 c.c., comma 2, e dunque con esonero per il danneggiato dalla prova liberatoria, e che alla stessa conclusione doveva pervenirsi con riferimento all’art. 149, relativo al rispetto della distanza di sicurezza in modo da arrestare tempestivamente la marcia).

NDR: in tal senso Cass. n. 8311 del 2023.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Rilevato

P.M. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli Assicurazioni XX s.p.a. (poi XX Italia s.p.a.), quale impresa designata per la Regione Campania dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada chiedendo il risarcimento del danno cagionato da sinistro stradale a seguito dell’investimento, a tergo e da destra, mentre procedeva a bordo del proprio motociclo, da un’autovettura che improvvisamente, senza azionare la freccia per segnalare lo spostamento, si era immessa sulla strada dalla posizione di sosta, allontanandosi poi senza prestare soccorso. Il Tribunale adito, previo riconoscimento della pari responsabilità nella determinazione del sinistro, per non avere l’attore provato di avere tenuto un’andatura adeguata alle condizioni della strada, e della invalidità permanente nella misura del 23%, condannò la convenuta al pagamento, per il danno alla persona, della somma di Euro 165.705,71, oltre interessi e rivalutazione. Avverso detta sentenza propose appello la società convenuta ed appello incidentale l’attore.

Con sentenza di data 27 ottobre 2022 la Corte d’appello di Napoli “in parziale accoglimento degli appelli proposti, condann(ò) la XX Italia S.p.A., quale impresa designata per il Fondo di garanzia vittime della strada, al pagamento, in favore di P.M., di Euro 561,36 (anziché Euro 165.705,71), in aggiunta alla somma di Euro 58.188,30 già versata dopo la sentenza di primo grado, con gli interessi legali (su Euro 556,17) successivi al 22 settembre 2022, fino al saldo”.

Si trascrive la parte della motivazione che qui rileva: “sebbene entrambi (i testi) riferiscano che il P. procedeva a bassa velocità nel momento in cui è stato urtato dall’auto del danneggiante, l’anzidetta ricostruzione dell’evento conferma la valutazione del primo giudice. Invero, come si evince in maniera indiretta dalle ricostruzioni testimoniali e direttamente dalle fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi e i danni riportati dal motociclo, si deve avanzare l’ipotesi secondo cui il P. percorresse la — a un’andatura sostenuta, tutt’altro che bassa come riferito: in quest’ultimo caso, infatti, il motociclo si sarebbe abbattuto su stesso provocando certamente la caduta del P. e i danni da lui riportati ma non anche lo “slittamento” del motoveicolo fino alla —. Se, invece, egli avesse tenuto un’andatura moderata, avrebbe presumibilmente avvistato per tempo la manovra dell’altro conducente, onde non può negarsi il contributo causale al sinistro della sua condotta imprudente. Stante quest’ultima considerazione si conviene con quanto deciso dal tribunale in primo grado circa l’individuazione di un concorso di colpa nella causazione dell’evento dannoso e dei successivi danni, e comunque non si ravvisa l’esistenza di prove adeguate e sufficienti idonee a far venir meno la presunzione di cui dell’art. 2054 c.c., comma 2, dovendosi pertanto ritenere infondati entrambi gli appelli sul tema della responsabilità per l’incidente”.

Ha proposto ricorso per cassazione P.M. sulla base di cinque motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Il Pubblico Ministero non ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria da entrambe le parti.

Considerato

Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del controricorso in quanto tardivo. A fronte del ricorso notificato in data 10 gennaio 2023, il controricorso è stato tardivamente depositato telematicamente in data 3 marzo 2023.

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 154 e 149 C.d.S., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, denunciando un vizio di sussunzione, e segnatamente la mancata applicazione delle norme richiamate in rubrica, che, accertato che l’autoveicolo aveva effettuato una repentina e non segnalata ripartenza dalla posizione di sosta, doveva essere fatta applicazione dell’art. 154, quale norma speciale rispetto all’art. 2054 c.c., comma 2, e dunque con esonero per il danneggiato dalla prova liberatoria, e che alla stessa conclusione doveva pervenirsi con riferimento all’art. 149, relativo al rispetto della distanza di sicurezza in modo da arrestare tempestivamente la marcia.

Il motivo è infondato. La censura si basa sull’argomento singolare che le disposizioni del C.d.S., in quanto norme speciali, opererebbero una deroga all’art. 2054, comma 2, che dunque non dovrebbe trovare applicazione. Al riguardo è sufficiente affermare che, in tema di responsabilità civile da sinistro stradale, ai fini dell’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti, idonea a determinare il superamento della presunzione ex art. 2054 c.c., comma 2, non è sufficiente la prova relativa all’avvenuta infrazione al C.d.S. essendo, altresì, necessaria la dimostrazione della sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento integrante detta violazione e l’evento dannoso, posto che la presunzione in parola opera sul piano della causalità, sicché la violazione amministrativa deve aver avuto un’incidenza causale per aver rilievo in termini di responsabilità civile (Cass. n. 8311 del 2023). Non possono pertanto essere confusi il piano della violazione amministrativa, rilevante ai fini della colpa specifica, e quello della causalità materiale, rispetto al quale interviene il disposto di cui all’art. 2054, comma 2.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2054 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, si trattò, come affermato dall’attore già nel primo grado, non di un urto laterale, ma di un tamponamento, compiuto dall’autovettura dopo che il motoveicolo aveva già superato il veicolo in sosta sul lato destro della strada, e che tale errata ricostruzione del fatto ha determinato l’erronea applicazione delle norme. Aggiunge che l’erronea ricostruzione del fatto ha condotto ad un’irragionevole applicazione del nesso di causalità e degli artt. 1227 e 2054 c.c., non potendosi comprendere come il ricorrente avrebbe potuto evitare il tamponamento, per cui avrebbe dovuto essere riconosciuta la responsabilità esclusiva dell’autoveicolo. Osserva ancora che costituisce una condotta imprevedibile ed anomala l’immissione improvvisa nella circolazione, uscendo da un parcheggio, senza preventiva segnalazione. Aggiunge, infine, che ricorre anche il vizio di motivazione apparente alla luce della imprevedibilità della condotta del conducente l’autovettura.

Il motivo è inammissibile. L’intera censura, sia nella parte asseritamente relativa alla falsa applicazione della norma di diritto, che in quella della denuncia di motivazione apparente, muove da un presupposto di fatto diverso da quello accertato dal giudice del merito. Lo scrutinio del motivo impone pertanto un’indagine di merito preclusa, come è noto, nella presente sede di legittimità. Il sindacato svolto da questa Corte si muove sulla base del fatto così come accertato dal giudice del merito, salvo la denuncia di vizio motivazionale, nella specie non specificatamente proposta, e fatto salvo il limite di cui all’art. 360 c.p.c., comma 4.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la motivazione si basa su congetture derivanti dal mero convincimento soggettivo, senza tenere conto di una serie di massime di esperienze basate sull’id quod plerumque accidit, violando così le regole della logica e della ragionevolezza. Aggiunge che risultano violati i principi in materia di nesso di causalità, non specificatamente indicati dalla corte territoriale nella motivazione.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente denuncia il difetto del requisito motivazionale sulla base di un parametro estraneo al giudizio civile di cassazione, e dunque ad elementi aliunde, e che riprende invece il paradigma penalistico. Dal punto di vista del giudizio civile, la motivazione apparente o inesistente è rinvenibile allorquando la sentenza, per le sue intrinseche caratteristiche e senza alcun riferimento alle risultanze processuali, non consenta di cogliere la ratio decidendi. Il motivo di censura, per esercitare la critica della sentenza impugnata, attinge invece al sindacato di legittimità sulla motivazione in sede penale, avente ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull’”id quod plerumque accidit” (Cass. pen. 16523 del 2020; n. 25616 del 2019). Si invoca quindi un parametro di valutazione estraneo al codice processuale civile.

Quanto alla violazione dei criteri giuridici in materia di causalità materiale, va ricordato che l’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico spetta al giudice di merito, trattandosi di un giudizio di fatto (Cass. n. 14358 del 2018), mentre compete a questa Corte, salvo il sindacato in ordine alla denuncia di vizio motivazionale, il controllo se nello svolgimento del giudizio di fatto il giudice di merito abbia rispettato le connotazioni normative del rapporto causale fra condotta e danno (cfr. Cass. n. 21772 del 2019). La censura, sul punto, viene articolata secondo il paradigma del vizio motivazionale in ambito penalistico. L’esito della censura, in tal modo, è quello non del mancato rispetto delle coordinate normative del nesso eziologico, ma è quello di una confutazione della motivazione che rifluisce in una denuncia di cattiva valutazione delle circostanze di fatto relative al rapporto causale.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 2043,2054 e 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonché omesso esame di fatto decisivo. Osserva la parte ricorrente, in via subordinata, che la decisione è basata su mere ipotesi tratte dalla “scienza privata” del giudice, come la valutazione che il motoveicolo non si adagiò su se stesso, ma scivolò in avanti per alcuni metri, e che risulta omessa la ragione per la quale, in luogo di un più ragionevole prevalente concorso di colpa (anche al 75%), è stato applicato un semplicistico concorso di colpa al 50%.

Il motivo è inammissibile. Ancora una volta la censura, sotto le spoglie di un non comprensibile richiamo alla “scienza privata” del giudice in funzione di critica della decisione, è formulata in termini di confutazione del giudizio di fatto, preclusa nella presente sede di legittimità. Quanto al resto la censura non aggredisce la ratio decidendi, costituita dal giudizio di inesistenza di prove adeguate e sufficienti idonee a far venir meno la presunzione di cui dell’art. 2054 c.c., comma 2, ed è pertanto priva di decisività.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 347, 132 bis att., artt. 115,244 c.p.c., artt. 2054 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che la sentenza è fondata su congetture che rendono la motivazione apparente, e non sull’esame delle dichiarazioni testimoniali e delle fotografie, per non essere stato acquisito, in violazione di legge, il fascicolo d’ufficio di primo grado. Aggiunge che è stata recepita acriticamente la motivazione del primo giudice e che se le testimonianze e le fotografie fossero state acquisite con il fascicolo d’ufficio la decisione sarebbe stata differente, considerando, ad esempio, che lo “scivolamento” è una conseguenza naturale e dinamica di qualsiasi sinistro da tamponamento che veda coinvolto anche un motoveicolo.

Il motivo è inammissibile. L’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., non costituisce condizione essenziale per la validità del giudizio d’appello, con la conseguenza che la relativa omissione non determina un vizio del procedimento o della sentenza di secondo grado, bensì, al più, il vizio di difetto di motivazione, a condizione che venga specificamente prospettato che da detto fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non rilevabili “aliunde” ed esplicitati dalla parte interessata (fra le tante, da ultimo, Cass. n. 10202 del 2023; n. 9498 del 2019). In primo luogo, anche voler riqualificare la censura in termini di vizio motivazionale (il ricorrente ha formalmente denunciato la violazione di legge), viene in rilievo l’art. 360 c.p.c., comma 4, quanto alle medesime ragioni di fatto a sostegno della decisione di primo grado e di quella di secondo grado. In secondo luogo, non risulta specificatamente illustrata la decisività degli elementi in questione, essendosi il ricorrente limitato a trascrivere le testimonianze, ma non a sottolineare i profili di decisività delle dichiarazioni testimoniali. In terzo luogo, non risulta chiarito se il contenuto delle testimonianze non sia stato riportato negli atti processuali di parte (cosa che invece, secondo la controricorrente, sarebbe avvenuto). In quarto luogo, l’ipotetica nullità derivante dalla decisione senza il fascicolo d’ufficio di primo grado sarebbe stata provocata anche dal ricorrente, il quale, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non ha specificato se abbia lamentato la mancata acquisizione innanzi al giudice di appello, sollecitando l’acquisizione del fascicolo. In mancanza di tale specificazione, ai sensi dell’art. 157, comma 3, deve concludersi che, avendo causato l’ipotetica nullità con la sua inerzia, il ricorrente non può rilevarla (secondo il principio di diritto di cui a Cass. n. 21381 del 2018 e successive conformi).

Quanto al resto, la censura rifluisce nuovamente nell’invocazione di un inammissibile sindacato sul giudizio di fatto.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione, stante la tardività del controricorso.

Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Allegati

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