Massima

In materia di responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., l’accertamento dell’efficacia causale esclusiva della condotta della vittima, tale da integrare il caso fortuito e interrompere il nesso eziologico con la cosa in custodia – in ragione della visibilità dell’ostacolo e dell’omessa adozione dell’ordinaria diligenza da parte del danneggiato – costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato dal giudice di merito.

Supporto alla lettura

Responsabilità cose in custodia

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto. pertanto, ai fini della responsabilità delle cose in custodia è sufficiente la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità fra cosa in custodia e danno.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

A.A., con atto di citazione del 19.11.2019, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Nuoro la (omissis) Srl, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lei patiti a seguito della rovinosa caduta occorsale nel piazzale del punto vendita della convenuta, in data 21.4.2018 alle ore 10,10 circa, mentre, accompagnata da un suo dipendente, stava visitando la esposizione di piastrelle che intendeva acquistare. Dedusse in particolare che, giunta nel piazzale al seguito del commesso che si aggirava tra le cataste del materiale, essa attrice aveva urtato una sporgenza di un bancale di legno e, perso l’equilibrio, era caduta a terra, riportando lesioni. La (omissis), costituitasi nel giudizio, negò ogni responsabilità.

Istruita la causa, l’adito Tribunale rigettò la domanda con sentenza del 22.11.2021, negando la sussistenza del nesso di causalità tra la res custodita e l’evento e rilevando che l’incidente era riconducibile alla mera distrazione dell’attrice, tanto più che “proprio la circostanza che l’attrice stesse percorrendo un percorso tanto ristretto, da consentire a mala pena il passaggio di una persona, avrebbe dovuto suggerirle di prestare ancora più attenzione a dove poggiare i piedi”. L’attrice propose gravame, lamentando l’errata valutazione delle prove, anche documentali, la violazione dell’art. 2051 c.c. e l’omessa pronuncia sull’intera domanda (atto di appello). Nella resistenza della società, l’adita Corte d’Appello isolana rigettò il gravame con sentenza dell’8.7.2022, osservando in via generale che la fattispecie era stata correttamente ricondotta nell’ambito dell’art. 2051 c.c., che prevede una responsabilità di tipo oggettivo a carico del proprietario custode del bene e che il danneggiato ha il solo onere di provare l ‘esistenza del nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito; che nella specie, all’esito dell’istruttoria e al contrario di quanto considerato dal primo giudice, “poteva, dunque, essere agevolmente affermata la sussistenza del nesso causale tra la res e l’evento, restando del tutto irrilevante ai fini della verifica del nesso causale se l’urto al pallet fosse avvenuto sullo spigolo o sulla scheggia dello stesso”. Tuttavia, ha proseguito la Corte, la sentenza di primo grado andava comunque confermata, risultando provato che il sinistro era avvenuto all’esterno in pieno giorno nel mese di maggio, con luce naturale che consentiva buona visibilità dei luoghi e degli spazi e che, come da fotografie in atti, gli spazi e i camminamenti tra i pallet – seppure non tracciati con apposita segnaletica – erano ben visibili e comunque percorribili, “restando irrilevante, nella valutazione del caso concreto, l’accertamento della sussistenza o meno della violazione delle disposizioni di prevenzione degli infortuni sul lavoro poste anche a tutela dei terzi. Neppure risulta provato in giudizio che nel percorso compiuto dalla A.A. per visionare i materiali edilizi nel deposito esterno e specificamente nel punto in cui la stessa è inciampata, vi fossero ingombri che ostacolavano la visibilità dello spigolo o scheggia del pallet, oppure vi fossero ingombri che occultassero la disposizione degli stessi pallet in fila con le loro sporgenze di conformazione”. Pertanto, da un lato “la intrinseca staticità dei pallet” e dall’altro la visibilità della conformazione del percorso erano “elementi dirimenti per valutare del tutto anomala e insolita la condotta tenuta dalla A.A. in relazione al contesto… quindi idonea, ex se, ad assumere efficacia causale unica ed esclusiva dell’evento dannoso, interruttiva del nesso causale, che ha reso la res una mera occasione della caduta, con conseguente esenzione della società da ogni responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.”.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione A.A., sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso la (omissis) Srl

In data 5.12.2023 è stata comunicata alle parti proposta di definizione anticipata del giudizio, nel senso della inammissibilità del ricorso, per investire esso mere questioni fattuali, riservate alla valutazione del giudice di merito. La ricorrente ha tempestivamente depositato istanza per la definizione del giudizio. Fissata l’odierna adunanza camerale, le parti hanno depositato memoria. Il Collegio ha riservato il deposito della ordinanza entro sessanta giorni.

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Si evidenzia che la Corte d’Appello, pur dissentendo dalla motivazione con cui era stata rigettata la domanda in primo grado (con cui si era rilevato che le modalità di accadimento del sinistro narrate dall’attrice non erano state confermate dall’istruttoria svolta), ha però ritenuto, in assenza di prove in tal senso, la sussistenza del caso fortuito, che aveva interrotto il nesso causale tra la res custodia e il danno, e ciò per la pretesa disattenzione della danneggiata, altresì dichiarando irrilevante l’inosservanza delle norme antinfortunistiche da parte del custode.

1.2 Col secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 26972728 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte è giunta alla finale affermazione della esclusiva efficacia causale del comportamento di essa A.A. esonerando la convenuta dalla prova del caso fortuito e ricorrendo ad una serie di presunzioni basate su fatti di per sé inadeguati e inconferenti per consentire la sequenza del ragionamento inferenziale con cui ha giustificato la dichiarazione di interruzione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno.

2.1 Ritiene la Corte di dover convintamente ribadire la valutazione di inammissibilità di entrambi i motivi del ricorso, già formulata con la proposta di definizione anticipata del giudizio.

3.1 Iniziando dal primo mezzo, è noto che la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è di natura oggettiva: in epoca recente, il Massimo Consesso (Cass., Sez. Un., n. 20943/2022) ha infatti definitivamente chiarito, con argomenti del tutto condivisibili, che “La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode”.

Pertanto, rapportando il suddetto insegnamento alle concrete circostanze di causa, una volta appurata la sussistenza del nesso di causalità tra la res custodita (il pallet e la sua relativa sporgenza) e la caduta accidentale occorsa alla A.A., il custode può andare esente dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. solo alle seguenti condizioni (per tutte, si veda la recente Cass. n. 8346/2024, richiamata anche dalla ricorrente in memoria; ma v. anche, tra le molte, Cass. n. 1404/2025):

a) la responsabilità del custode è esclusa dalla prova del “caso fortuito”;

b) il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d’un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato, oppure in un comportamento della vittima;

c) se il caso fortuito è consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile;

d) se il caso fortuito è consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri:

d’) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno;

d”) valutare se il danneggiato ha rispettato il “generale dovere di ragionevole cautela”;

d”’) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza “irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”;

d””) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.

3.2 Ora, la Corte isolana ha correttamente applicato detti principi, perché – avendo ritenuto visibile l’ingombro – ha ritenuto integrata la prova del caso fortuito, mandando assolta la convenuta da responsabilità, proprio in quanto la danneggiata avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno, usando l’ordinaria diligenza.

Il primo motivo, dunque, non denuncia un error iuris, ma proprio quaestiones facti, perché si lamenta la valutazione operata dalla Corte d’Appello circa la mancanza di prova che l’ingombro non fosse visibile dalla danneggiata, la ritenuta irrilevanza della violazione della normativa antinfortunistica e la stessa valutazione del comportamento della A.A. come anomalo. Si tratta, in sostanza, di questioni che incidono sulla valutazione circa l’idoneità di una o più circostanze ad integrare il caso fortuito (ut supra declinato), ossia appunto questioni meramente fattuali, rimesse all’esclusivo apprezzamento del giudice del merito, se congruamente motivate (come nella specie), donde l’inammissibilità del mezzo in esame.

Quanto al profilo motivazionale, è appena il caso di precisare – al lume di quanto argomentato in memoria, al riguardo, dalla ricorrente – che il motivo in esame non offre spunti per considerare che detto profilo sia stato adeguatamente e sostanzialmente proposto dalla ricorrente ed in tal guisa valutabile da questa Corte, non sussistendo le condizioni di cui all’invocato insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 17931/2013 e stante la natura vincolata del giudizio di legittimità.

4.1 Considerazioni analoghe possono svolgersi in ordine al secondo motivo.

Anzitutto, la Corte isolana non ha addossato l’onere della prova sulla parte che non vi era per legge tenuta, giacché nel periodo della motivazione a p. 5 (quello che inizia con le parole “Neppure risulta provato…”), il giudice d’appello non intende riferirsi al mancato superamento della prova da parte di chicchessia, ma semplicemente al fatto, emergente dalle prove acquisite, che non risultano elementi da cui desumere che l’ostacolo fosse coperto alla vista del passante. Sul punto, quindi, la censura (anche in relazione alla pretesa violazione dell’art. 2728 c.c.) si rivela aspecifica, perché non viene colta la effettiva ratio decidendi dell’impugnata sentenza.

4.2.1 Quanto alla pretesa erronea valutazione del materiale indiziario, il motivo è del pari inammissibile.

Esso, infatti, sotto le vesti della violazione di legge, maschera una censura diretta contro la valutazione delle prove e degli indizi per come compiuta dalla Corte d’Appello. Non è, tuttavia, consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex multis, Cass. n. 7394/2010Cass. n. 13954/2007Cass. n. 12052/2007Cass. n. 7972/2007Cass. n. 5274/2007Cass. n. 2577/2007).

In ordine ai presupposti (ed ai limiti) entro i quali è denunciabile in sede di legittimità la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nella più recente giurisprudenza di questa Corte può assumersi quale punto di partenza, da cui muovere, l’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, che (in motivazione) ha così statuito: “la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.

Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi”.

In proposito, è stato anche di recente acutamente osservato (Cass. n. 14207/2024, non massimata) come il suddetto insegnamento non implichi affatto che la valutazione con cui il giudice di merito abbia reputato “gravi”, “precisi” e “concordanti” gli indizi a sua disposizione (ovvero ne abbia escluso la gravità, la precisione e la concordanza) possa essere sindacata sic et simpliciter in sede di legittimità. Il significato del principio prima riportato, infatti, è stato esattamente ricondotto alla possibilità di censurare in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione delle norme sulla prova presuntiva solo in due ipotesi limitate e residuali: a) la prima ipotesi è che il giudice di merito, dopo aver egli stesso qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi disponibili, ne escluda l’efficacia probatoria; b) la seconda ipotesi, speculare, è quella in cui il giudice, dopo aver egli stesso qualificato gli indizi disponibili come “non gravi, imprecisi e discordanti”, li utilizzi come fonte di prova.

In tale ultima ipotesi ricorre il c.d. “vizio di sussunzione”. Tale vizio, però, ricorre non già per il solo fatto che il giudice di merito abbia interpretato gli indizi in un modo piuttosto che in un altro, come pure mostra di ritenere la ricorrente, ma quando il giudice di merito pervenga al giudizio di “gravità, precisione e concordanza” degli indizi violando il corretto metodo di valutazione di tali concetti, ossia: (i) applicando il ragionamento probabilistico per valutare la gravità; (ii) stimando il grado di probabilità dell’ipotesi rispetto al fatto, per valutare la precisione; (iii) mettendo in relazione ogni indizio con tutti gli altri, per valutare la concordanza. È il rispetto di questa metodologia valutativa – prosegue, ancora, la citata Cass. n. 14207/2024 – che la Corte di cassazione può sindacare sotto il profilo del vizio di sussunzione e non certo l’esito finale cui il giudice di merito sia approdato (si vedano, in tal senso, la citata Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, par. 4.1, lettera (bb), della motivazione; nonché Cass. n. 20417/2023Cass. n. 13209/2020Cass. n. 3546/2020Cass. n. 3541/2020Cass. n. 19485/2017).

La critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito non è, invece, sindacabile in sede di legittimità quando “si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo…, o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito” (così Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, cit.). La valutazione degli indizi compiuta dal giudice di merito, dunque, è incensurabile non solo quando sia l’unica possibile, ma anche quando sia solo una tra le tante plausibili.

4.2.2 È dunque evidente che la censura, per come sviluppata dalla ricorrente, non è conforme a tali canoni, giacché non ricorre nessuna delle due ipotesi ricordate al par. precedente, nemmeno prospettate. Il vero è che l’intera censura in esame censura il risultato della valutazione indiziaria, ma non il metodo, donde la sua inammissibilità.

5.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., dalla conformità della presente decisione rispetto a quanto prospettato alle parti in seno alla proposta di definizione accelerata del giudizio, deriva che la ricorrente va anche condannata ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come da dispositivo.

In relazione alla data di proposizione del ricorso, può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Infine, vista la causa petendi, va disposto l’oscuramento dei dati della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge; condanna altresì la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di Euro 3.000,00, nonché in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, rispettivamente commi 3 e 4, c.p.c.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi della ricorrente.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 10 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2025.

Allegati

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