Con citazione notificata il 4-7 giugno 1979 il (omissis), premesso quanto sopra, conveniva per il risarcimento dei danni subiti, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i soggetti suindicati (per lo (omissis), deceduto, i di lui eredi (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis)), nonché la (omissis) Assicurazioni e la (omissis) Assicurazioni presso le quali erano assicurate per la R.C.A. rispettivamente le auto Mercedes e Peugeot.
Con sentenza del 9 marzo 1985 il Tribunale respingeva la domanda nei confronti del “gruppo Peugeot”, accogliendola, invece, nei confronti del “gruppo Mercedes” con il concorso di colpa del 30% a carico della vittima. Quantificati, quindi, i danni in Lit 35.763.000 per danno da invalidità permanente, in Lit. 3.000.000 per danno alla vita di relazione, in Lit 5.000.000 per danno morale e in Lit 730.840 per rimborso spese di cura, e così per un totale di Lit 44.493.840, ridotte a Lit. 31.145.700 per effetto del citato concorso, e stabilita una rivalutazione monetaria del 20o% condannava la (omissis), nei limiti del massimale di Lit. 15.000.000 come sopra rivalutato, a pagare la somma di Lit. 45.000.00, con gli interessi legali dal 18.1.1976 (scadenza dello “spatium deliberandi”) oltre alle spese processuali in Lit. 5.920.000 e il (omissis), in solido con il contumace (omissis), a pagare la residua somma di Lit. 48.437.100 con gli interessi legali dal 22.8.1975 (data del sinistro).
Avverso tale sentenza proponevano appello il (omissis) in via principale e il (omissis) in via incidentale.
In corso di causa era disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della (omissis), la quale nel costituirsi, pur rilevando che non erano state avanzate istanze nei suoi confronti, chiedeva che venisse disattesa ogni ulteriore richiesta eventualmente formulata in tal senso.
Con sentenza n. 2110-91 del 4 ottobre 1991 la Corte d’Appello di Napoli confermava la responsabilità dell’incidente a carico del (omissis) e del (omissis) secondo il concorso di colpa ritenuto in primo grado; escludeva il danno da invalidità permanente, ritenendo che il (omissis), titolare di pensione e in servizio presso l’Ispettorato del Lavoro, non avesse subito danni patrimoniali da lucro cessante, eccezione fatta per le spese di cura; elevava ad otto milioni e dieci milioni di lire rispettivamente il danno morale e quello alla vita di relazione; stabilendo inoltre un tasso di rivalutazione monetaria fino alla pronuncia di secondo grado del 300%, elevava a Lit. 74.923.000 l’importo complessivo del danno pari a Lit. 18.730.000 al momento del sinistro (da Lit. 8.000.000 + Lit. 10.000.000 + Lit. 730.840 arrotondate a Lit. 730.000 per spese); quindi, ridotto per il concorso di colpa tale importo a Lit. 52.546.352 e rilevatane la capienza nel massimale rivalutato nella stessa misura del 300% (Lit. 60.000.000), condannava la Compagnia assicuratrice nella nuova denominazione sociale di (omissis).
Assicurazioni al pagamento di detta somma, oltre al rimborso di Lit. 395.000 per spese di C.T.U. anticipate dal (omissis).
A seguito di istanza di revocazione avanzata in via principale dalla (omissis) e in via incidentale dal (omissis), la Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 2647-93 dell’11 novembre 1993 in parziale accoglimento della prima, revocata la precedente sentenza n. 2110-91 nel punto in cui pronunciava la condannava della S.p.A. (omissis) al pagamento di Lit. 52.446.352, condannava quest’ultima al pagamento della diversa somma di Lit. 12.821.140 in favore del (omissis), con gli interessi legali dal 17.4.1985, nonché il (omissis) e lo (omissis) al pagamento in favore del (omissis) di Lit. 19.740.800 con gli interessi legali dal 22.8.1975.
Riteneva la Corte con quest’ultima decisione che nella sentenza impugnata era ravvisabile un errore di fatto consistente nell’omessa considerazione dell’avvenuto pagamento da parte della (omissis) in data 17.4.1985 dell’importo di Lit. 77.154.832 in esito alla pronuncia di primo grado provvisoriamente esecutiva; che, tenuto conto della somma liquidata a titolo risarcitorio in appello di Lit. 18.730.000 all’epoca del sinistro e graduato opportunamente, anche per il massimale, il tasso di rivalutazione per effettuare i calcoli in termini monetari omogenei, ne derivava alla data del pagamento predetto una differenza a carico della (omissis) di Lit. 8.842.168 rivalutata all’attualità in Lit. 12.821.140; che conseguentemente residuava a carico dei danneggianti (omissis) e (omissis) l’importo risarcitorio eccedente il massimale (danni Lit. 68.364.500 – massimale rivalutato Lit. 54.750.000) pari a Lit. 13.614.500 alla data del 17.4.1985, rivalutato all’attualità in Lit. 19.740.800.
Per la cassazione delle predette sentenze della Corte d’Appello di Napoli ha proposto ricorso il (omissis) esponendo due motivi, cui hanno resistito con distinti controricorsi il (omissis), la (omissis).
Assicurazioni (omissis) S.p.A. e la (omissis) Assicurazioni S.p.A., proponendo i primi due anche ricorsi incidentali basati rispettivamente su sei e due motivi, illustrati da memoria. La Società (omissis) ha infine prodotto ulteriore controricorso avverso il ricorso incidentale del (omissis).
Diritto
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente va disposta ex art. 335 C.P.C. la riunione di tutti i ricorsi.
2. – Ricorso principale del (omissis).
Con il primo motivo, deducendo la violazione degli art. 1227 e 2056 C.C. e il vizio di motivazione il ricorrente censura le sentenza di revocazione (n. 2647-93) della Corte napoletana in relazione ai seguenti profili:
a) erroneità nei conteggi del giudice a quo per aver omesso di decurtare i danni liquidati a favore del (omissis) in complessive Lit. 18.730.000 all’epoca del sinistro della percentuale del 30% per l’accertato concorso di colpa di quest’ultimo;
b) omessa declaratoria dell’inammissibilità della richiesta restitutoria della (omissis) a carico del (omissis), avendo questi ricevuto il pagamento non in base alla sentenza d’appello revocata (art. 402 C.P.C.);
c) omessa declaratoria di inammissibilità della impugnazione incidentale in revocazione del (omissis) in quanto tardiva e non concernente, nè oggettivamente nè soggettivamente, i capi della sentenza impugnata in via principale;
d) non ipotizzabilità di alternative interpretazioni (se cioè sotto il profilo del lucro cessante o del danno biologico) del danno da invalidità permanente liquidato in primo grado ex art. 2056 C.C.
Il predetto motivo va accolto per quanto di ragione.
In particolare risulta fondata la censura sub a) che integra un evidente vizio di omessa motivazione: una volta riconosciuta l’esistenza del riferito concorso di colpa non si giustifica – nè viene in alcuna maniera giustificato in sentenza – il suo mancato computo nella liquidazione del risarcimento del danno in relazione al combinato disposto degli artt. 2056 e 1227 comma primo C.C., che prevedono la riduzione del risarcimento in caso del concorso del fatto colposo del creditore.
Risultano invece irrilevanti la censura sub b), non avendo la sentenza impugnata disposto alcunché in ordine alla richiesta restitutoria della (omissis), e la censura sub d) essendo il dilemma interpretativo prospettato dal giudice a quo del tutto incidentale e inifluente ai fini del decisum in sede revocatoria.
Infondata è, infine, la censura sub c) di inammissibilità della impugnazione incidentale in revocazione del (omissis), in quanto per giurisprudenza ormai consolidata il gravame incidentale anche se tardivo è proponibile ex art. 334 C.P.C. contro qualsiasi capo della sentenza, ancorché autonomo rispetto a quello investito dal gravame principale (da ultimo v. Cass. n. 1652-94, 10333-93).
Con il secondo motivo il (omissis) censura la sentenza d’appello (n. 2110-91) della Corte napoletana per violazione degli artt. 2054 e 2056 C.C., nonché per vizio di motivazione, in relazione alla preannunciata esclusione della presunzione di pari responsabilità di tutti i soggetti coinvolti nel sinistro, ivi compreso lo (omissis), proprietario dell’auto Peugeot.
Il motivo va disatteso, in quanto da un lato l’applicazione della presunzione di cui all’art. 2054 C.C. ha carattere sussidiario ed opera solo nel caso – diverso da quello in esame – in cui non sia possibile accertare in concreto le cause e il grado della colpa nella determinazione dell’evento, dall’altro il (omissis) non risulta aver mai dedotto in primo grado alcuna responsabilità dello (omissis), per cui tale richiesta di addebito appare proposta dal (omissis) per la prima volta in grado di appello in violazione dell’art. 345 C.P.C.
Comunque il giudice d’appello, nel confermare con motivazione esauriente e giuridicamente corretta, quanto statuito dal Tribunale in ordine alla responsabilità del (omissis) e del (omissis) nella causazione del sinistro, ha implicitamente escluso la corresponsabilità del gruppo Peugeot (vedi più diffusamente appresso sub. 4).
3. – Ricorso incidentale della (omissis).
Va respinta preliminarmente l’eccezione formulata dal (omissis) d’inammissibilità per tardività del controricorso e contestuale ricorso incidentale (adesivo e autonomo) della (omissis) notificati il 20 – 23 maggio 1994, posto che l’ultima notifica del ricorso principale del (omissis) risulta effettuata a (omissis), residente in Germania, il 25 maggio 1994 dal Tribunale tedesco richiesto all’uopo dal Consolato italiano, giusta documentazione in atti e quindi quando il termine di 40 giorni previsto dal combinato disposto degli artt. 369, 370 e 371 C.P.C., per la notifica del controricorso e del ricorso incidentale doveva ancora iniziare.
Con il ricorso incidentale autonomo la società assicuratrice deduce ex art. 112 C.P.C. un vizio di extrapetizione (concernente la sentenza d’appello e di riflesso quella di revocazione) relativamente alla statuizione di primo grado che la riguarda con la quale essa (omissis) è stata condannata a pagare a titolo di indennizzo al (omissis) la somma di Lit. 45.000.000 oltre interessi dal 18.1.1976.
La fondatezza del mezzo – peraltro implicante la formazione di un giudicato interno, come tale rilevabile d’ufficio – risiede nel fatto pacifico che in appello non venne formulato alcun motivo di gravame, nè avanzata alcuna istanza, al fine di ottenere la riforma della pronuncia adottata in primo grado in ordine al quantum liquidato a carico della (omissis), tant’è che il (omissis) nelle conclusione finali in secondo grado (ud. 25.11.1988) aveva quale appellato e appellante incidentale chiesto addirittura “la dichiarazione di passaggio in giudicato dell’impugnata sentenza…. nei confronti della (omissis) Assicurazioni Autoveicoli S.p.A.”, e l’appellante principale (omissis) aveva, riportandosi alle conclusioni come da citazione, chiesto, tra l’altro, “dichiarare che quanto versato dalla (omissis) Assicurazioni al (omissis), a seguito della sentenza di primo grado” copriva “abbondantemente in percentuale il diritto al risarcimento del (omissis) stesso”.
È, quindi, ravvisabile nelle censurate pronunce in sede di appello e di revocazione (entrambe comportanti ulteriore condanna della (omissis)) il denunciato vizio di extrapetizione con susseguente riconoscimento, sul capo della decisione di primo grado in questione, di un giudicato interno, da cui il giudice di rinvio dovrà trarre le dovute conseguenze in ordine alla posizione della (omissis), non potendo essere prese in considerazione richieste incidenti su quanto definitivamente deciso nei suoi confronti dal Tribunale.
L’accoglimento del ricorso incidentale autonomo sopra delineato determina l’assorbimento di quello adesivo al primo motivo del ricorso principale del (omissis) sul punto riduzione del 30% delle somme liquidate in favore del (omissis) con la sentenza di revocazione, attesa la definitività per quanto concerne la (omissis) della liquidazione operata in primo grado.
Conseguentemente, in una valutazione complessiva del ricorso incidentale in esame, ne va pronunciato l’accoglimento per quanto di ragione.
Non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 384 comma primo C.P.C. (Nuovo Testo, stante il disposto dell’art. 389 C.P.C. in merito ad eventuali restituzioni di somme come reclamate dalla ricorrente (omissis) e implicando comunque la relativa disamina, specie con riferimento alla chiesta rivalutazione (recte, maggior danno da svalutazione) delle norme stesse, specifici accertamenti di fatto, non consentiti in questa sede.
4. – Ricorso incidentale del (omissis).
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 217, comma primo C.P.C., 115, 117 R.D. n. 1740-33 (Codice della Strada) e 546 del relativo Regolamento, nonché il vizio di motivazione.
Egli si duole che il giudice d’appello abbia omesso di pronunciare sulla corresponsabilità dello (omissis), proprietario dell’auto Peugeot, malgrado il (omissis) ed esso (omissis) avessero formulato istanza in tal senso.
In subordine il ricorrente deduce che lo Stanziale avrebbe dovuto essere considerato in colpa per violazione della richiamata normativa stradale, avendo lasciato l’auto in sosta in prossimità di una curva (a 70 mt) senza adottare tutte le opportune cautele atte ad evitare incidenti, nonché di apporre il segnale di pericolo generico previsto per i veicoli fermi in curva e non visibili ad una distanza di 100 mt. da chi proviene da tergo.
Il motivo va disatteso per la ragione, già enunciata nell’esaminare il secondo motivo del ricorso (omissis), in base alla quale la corresponsabilità dello Stanziale risulta implicitamente valutata ed esclusa in appello.
La Corte territoriale, che pure aveva richiamato nell’esposizione in fatto le istanze degli appellanti contro lo (omissis), nel ricostruire la dinamica del sinistro sulla scorta delle risultanze probatorie acquisite, ha infatti chiaramente addebitato l’esclusiva responsabilità dell’evento dannoso – conformemente a quanto deciso dal tribunale – al (omissis) e al (omissis), affermando che costoro lo avevano causato con la loro condotta colposa, per avere il primo violato le più elementari norme di prudenza e l’art. 101 cod. strad. nell’effettuare la manovra di retromarcia e il secondo tenuto una velocità eccessiva in relazione alle condizioni di tempo e di luogo (curva destrosa a visuale non libera e presenza di un’auto al centro strada).
È evidente da quanto sopra che la presenza dell’auto in sosta al margine della strada è stata ritenuta non influente nella causazione del sinistro, così come affermato dal Tribunale che aveva posto in evidenza come l’auto, per la sua posizione, non costituisce ostacolo improvviso o intralcio alla circolazione veicolare.
Trattati di valutazione di merito non suscettibile di sindacato da parte della Corte di Cassazione, in quanto il ricorrente intende, malgrado il formale riferimento al vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 C.P.C., ottenere inammissibilmente in sede di legittimità una nuova valutazione, in senso a lui sfavorevole, delle risultanze processuali che invece il giudice di merito ha sottoposto ad esame critico, dando ragione della decisione cui è pervenuto con una motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori giuridici.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce, con riferimento alla decisione d’appello, omessa e insufficiente motivazione ex n. 5 art. 360 C.P.C. e violazione degli artt. 112 e 342 C.P.C., nonché violazione dell’art. 2043 C.C. in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 30.6.1986 e dell’art. 32 Costituzione.
Censura la predetta sentenza di appello:
a) per aver escluso il danno da invalidità permanente riconosciuto dal Tribunale, ritenendo erroneamente trattarsi di danno patrimoniale da lucro cessante non sussistente per il (omissis) siccome titolare di redditi da pensione a da lavoro subordinato, mentre in realtà trattasi di danno biologico, come tale da lui richiesto e liquidato dal Tribunale che aveva in proposito fatto riferimento alla capacità lavorativa generica intesa quale attribuito dell’uomo medio;
b) per avere,, con violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, inciso su una parte della decisione di primo grado non oggetto del gravame, avendo il (omissis) impugnato la liquidazione del danno patrimoniale, mai richiesto e liquidato;
c) per aver liquidato il danno biologico esclusivamente sotto l’aspetto del danno alla vita di relazione.
Il motivo va accolto per quanto di ragione.
È opportuno richiamare i seguenti principi di diritto desumibili dalle più recenti pronunce di questa Corte.
La richiesta risarcitoria di tutti i danni (patrimoniali e non patrimoniali) comprende necessariamente quella del danno biologico, anche se dovesse mancare una specifica domanda in proposito, in quanto la richiesta, per la sua omnicomprensività, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, dovendosi peraltro tener conto della evoluzione degli orientamenti interpretativi – anche in sede di giurisprudenza costituzionale (sent. nn. 184-86 e 372-94 e della Corte di Cassazione – circa l’individuazione delle varie voci di danno e la natura giuridica del danno biologico (vedi Cass. nn. 8216-95, 1955-95, 8787-94).
Il danno biologico (o alla salute) inteso quale menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sè e per sè considerata e quindi correlato al danno specifico della sfera non patrimoniale di estrinsecazione dei valori umani perduti – costantemente presente in ogni fatto illecito che rechi danno alla persona – ha una portata più ampia e assorbente rispetto al danno della vita di relazione comprendendo anche altri tipi di danno non bene definiti (ad es. il danno estetico e quello alla sfera sessuale), e si distingue da quello patrimoniale in quanto prescinde dalla capacità di produrre reddito (cfr. Cass. nn. 5271-95, 3239-95, 3119-95, 11169-94, 10539-94, 9170-94, 10153-93, 2008-93, 12911-92).
Nella liquidazione del danno biologico l’eventuale invalidità permanente va considerata solo in relazione alla sua negativa incidenza sul bene della salute, per cui assume preminente rilievo la gravità dell’inabilità (cfr. Cass. nn. 11616-92, 2840-92, 5161-91).
Nel caso di specie, pur rilevandosi che non vi è stata extrapetizione da parte del giudice di appello, avendo esso preso in esame quella parte della decisione di primo grado, in cui si liquidava il danno da invalidità permanente, specificamente impugnata dal (omissis), si osserva che in effetti detto giudice, nell’escludere la risarcibilità dei danni patrimoniali richiesti dal (omissis) (al riguardo ved. atto di citazione introduttivo ove, tra l’altro, il (omissis) chiese “…. b) il risarcimento danni da lucro cessante per invalidità permanente residua come postumo…) e nel ritenere che tali danni fossero liquidati dal Tribunale con riferimento all’invalidità permanente, non ha minimamente preso in considerazione il danno biologico, pur collegato a detta invalidità, se non nel passo della sentenza in cui nell’aumentare la liquidazione del danno alla vita di relazione lo dichiara “rientrante nella categoria del danno biologico”.
A tale stregua la motivazione appare carente in quanto alla luce dei ricordati principi giurisprudenziali il giudice a quo avrebbe dovuto: a) valutare se la domanda risarcitoria del (omissis) era riferibile anche al danno biologico; b) una volta accertata positivamente tale circostanza valutare se il Tribunale avesse nella liquidazione complessiva del danno, ancorché riferita all’invalidità permanente, preso in considerazione il danno biologico; c) procedere, in caso di mancata o ridotta valutazione di tale danno in prime cure, alla liquidazione dello stesso nella sua intierezza (e non limitarsi a quello riferibile alla vita di relazione), ferma restando l’esclusione del risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante sulla cui non spettanza non si sollevano obiezioni, in linea di principio, dal Parrillo.
Al giudice di rinvio competerà, quindi, ovviare alle citate carenze motivazionali in base al sopra delineato procedimento valutativo.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando la violazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 1224 C.C. e il vizio di motivazione, censura la sentenza d’appello e quella di revocazione, dolendosi della limitata, ingiustificata rivalutazione monetaria apportata a quella fissata in primo grado (da 200% a 300%).
Anche tale motivo va accolto per quanto di ragione.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la misura della svalutazione ai fini della determinazione del danno da fatto illecito è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Qualora egli però non ritenga di avvalersi degli indici ISTAT, il diverso criterio deve essere sorretto da sufficiente motivazione, la quale non può esaurirsi nella mera assunzione della ritenuta equità della valutazione adottata, senza l’indicazione di elementi specifici che consentano il controllo in sede di legittimità (cfr. Cass. nn. 7267-95, 3046-95, 3144-94).
Nella specie risulta, relativamente alla sentenza d’appello, che la rivalutazione da 200% a 300% venne effettuata con il semplice ed esclusivo riferimento agli anni trascorsi dal sinistro e quindi con motivazione solo apparente implicando necessariamente la rivalutazione l’intempestività dell’adempimento, mentre lo stesso giudice della revocazione incidentalmente ha rilevato che quella effettivamente maturata all’epoca era pari al 500% circa.
Tale discorso non può valere per la sentenza di revocazione, che sostanzialmente indica nel 10% l’ulteriore rivalutazione da apportare rispetto alla data della sentenza di secondo grado, posto che il giudice della revocazione, conformemente alla citata giurisprudenza, richiama espressamente i “rilevamenti statistici”, vale a dire gli indici ISTAT.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1219, 1224 C.C. e il vizio di motivazione.
Egli censura la sentenza d’appello per la omessa liquidazione degli interessi legali dal 22.8.1975 (data del sinistro) al 18.1.1976 (termine dello spatium deliberandi di cui all’art. 22 legge n. 990-69) sulla somma di Lit. 45.000.000 posta dal Tribunale a carico della (omissis), interessi che andavano comunque liquidati anche se a carico di soggetti diversi dall’assicuratore, spettando in ogni caso al creditore per le obbligazioni da fatto illecito (mora ex re).
Il rilievo è infondato, in quanto trattasi di interessi compensativi che vengono aggiunti alla somma capitale riconosciuta titolo di indennizzo e quindi computati a carico dell’assicuratore anche al fine di riscontro dell’eventuale superamento del massimale di polizza (cfr. Cass. nn. 1831-88, 2150-89, 10931-91).
E l’esistenza di una siffatta operazione non risulta oggetto di specifica contestazione.
Con il quinto motivo il (omissis) lamenta errori di calcolo e il vizio di motivazione in relazione al conteggio effettuato dal giudice della revocazione circa il rimborso delle spese processuali effettivamente operato dalla (omissis) -.
La doglianza non può essere presa in considerazione in questa sede, in quanto, riguardando esclusivamente la (omissis), risulta assorbita dall’accoglimento del ricorso incidentale di quest’ultima (ante sub 3).
Infondato è anche il sesto ed ultimo motivo con il quale il (omissis), associandosi alla doglianza del (omissis) (v. ante sub 2 lett. b), eccepisce la violazione dell’art. 402 C.P.C. in relazione alla richiesta restitutoria della (omissis) -.
Al riguardo è sufficiente richiamare quanto esposto in precedenza sul punto.
5. – In conclusione vanno accolti per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale, il ricorso incidentale della (omissis), il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale del (omissis), con assorbimento del quarto e il rigetto degli altri motivi di questo ricorso, nonché del secondo motivo del ricorso principale.
Ne consegue la cassazione, in relazione a quanto sopra deciso, delle impugnate due sentenze e poiché non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 384 comma primo C.P.C. (Nuovo Testo), va disposto il rinvio della causa per il nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli la quale si atterrà ai richiamati principi giuridici e alle esposte considerazioni di questa Corte, provvedendo altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 1995.
