Avverso il suddetto decreto proponeva opposizione il (omissis), il quale – dopo aver premesso che era assegnatario di alloggio di edilizia residenziale popolare (realizzato ai sensi della legge regionale n. 15/1986), chiedeva che: in via preliminare, fosse dichiarata l’inefficacia del decreto, in quanto notificato oltre il termine di sessanta giorni ex art. 644 c.p.c.; fosse dichiarato il difetto di valida procura, nonché il difetto di legittimazione attiva da parte dell’Istituto di Catania, essendo invece competente quello di Acireale; nel merito, che fosse annullato il decreto, in quanto emesso in assenza dei requisiti di legge, per un importo superiore a quello dovuto, in relazione ad un credito comunque prescritto; in via subordinata, chiedeva disporsi la rateizzazione dei canoni ai sensi della legge regionale siciliana n. 11/2002, nonché la declaratoria di inefficacia del precetto per assenza di valido titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.; infine, in via riconvenzionale, chiedeva disporsi la compensazione con le spese sostenute per la manutenzione straordinaria.
Si costituiva l’Istituto, il quale contestava in fatto e in diritto l’opposizione avversaria.
Esperito inutilmente il tentativo di mediazione, la causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti.
Il Tribunale di Catania con sentenza n. 4452/2019 rigettava l’opposizione, condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello il (omissis).
Si costituiva nel giudizio di appello l’Istituto, il quale contestava la impugnazione ex adverso proposta e chiedeva la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n.1657/2020, rigettava l’impugnazione, confermando integralmente la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il (omissis).
Nessuna difesa è stata svolta da parte intimata.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre parte ricorrente ha con memoria insistito nell’accoglimento del ricorso.
2.Orbene, il (omissis) affida il ricorso a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “ex art. 360 n. 3 error in procedendo ed in iudicando – violazione dell’art. 12 c.p.c. -abrogazione dell’art. 32 del RD n. 1165/1938 – inapplicabilità per gli alloggi ex Gescal – abrogazione tacita da parte della legislazione regionale art. 20 LRS 15/86 e art. 784 L. n. 392/1978 – violazione dell’art. 3 e 24 della Costituzione”
Si duole che la corte territoriale: a) nulla ha motivato sulla eccezione di abrogazione (implicita) dell’art. 32 del RD n. 1165/1938 ad opera dell’art. 84 della legge n. 392/1978; b) detto decreto, proprio perché abrogato, non avrebbe dovuto essere ritenuto applicabile per gli alloggi assegnati e realizzati ai sensi della LRS n. 15/1986, mentre avrebbe dovuto essere applicata la normativa nazionale, data con legge n. 392/1978 (alla quale la normativa regionale rinviava non solo per la determinazione del canone ma anche per la regolarizzazione del rapporto locativo).
Sottolinea che il procedimento di sfratto, a cui fa riferimento la LRS, è quello previsto dall’art. 658 c.p.c., ma che il conduttore alla
prima udienza può chiedere l’applicazione dell’art. 55 della legge n. 392/1978.
Osserva che il procedimento di revoca, sospensione ed annullamento della assegnazione e revoca del contratto stipulato è espressamente disciplinato dal D.P.R. n. 1035/1972, con la conseguenza che, in caso di morosità, deve essere applicata anche da parte dello Istituto la normativa in detto decreto prevista.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. letteralmente che: “La legge regionale siciliana n. 15/1986 prevale sulla normativa generale, in quanto destinata a regolare la costruzione, assegnazione e revoca degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata alla particolare categoria dei lavori dipendenti”.
Sostiene che la LRS n. 15/1986 è quella che disciplina il complesso degli alloggi di cui fa parte l’alloggio a lui assegnato, in quanto norma speciale che interviene in materia di competenza esclusiva regionale. In particolare, nel caso di specie avrebbe dovuto essere applicato l’art. 21 di detta legge regionale, a norma del quale “A tale fine gli enti gestori assegnano ai suddetti assegnatari un termine perentorio di mesi tre, trascorso infruttuosamente il quale, con provvedimento motivato, revocano l’assegnazione e procedono allo sfratto, dandone comunicazione all’Assessorato regionale dei lavori pubblici”.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 “error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 20 L.R.S. n. 15/1986 in relazione agli artt. 12 e ss. della legge n. 392/1978”.
Osserva che in materia di edilizia residenziale pubblica il canone di locazione non è rimesso alla libera contrattazione delle parti, ma è determinato sulla base di norme di legge. Detta norma, per gli alloggi di e.r.p. sovvenzionata, era la LRS n. 18/1994, che agli artt. 3 e 4 rinvia all’Assessorato Regionale la determinazione dei criteri di calcolo; mentre, per gli alloggi di e.r.p. sovvenzionata per lavoratori dipendenti, era la legge nazionale n. 392/1978 (e in particolare gli artt. 12 e seguenti).
Sottolinea che lo Iacp di Catania non ha indicato nel contratto di locazione una serie di elementi, normativamente previsti (dagli artt. 12-14 della legge nazionale n. 392/1978), che sarebbero stati rilevanti, in quanto concorrono nella determinazione del canone.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 “violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del codice digitale amministrativo e dell’art. 2702 e 2719 c.c. – produzione documentale priva di attestazione di autenticità”.
Sostiene che la documentazione, ex adverso prodotta, in quanto priva dell’attestazione di autenticità che deve essere rilasciata da parte del procuratore, non ha valore nel giudizio.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia “ex art. 360 n. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1219,2943,2934 c.c. – mancanza di valido atto di messa in mora valido per l’interruzione della prescrizione”.
Si duole che la corte etnea ha ritenuto che le missive, a lui inviate dall’Istituto in busta chiusa, fossero sufficienti ad interrompere la prescrizione, anche se da lui non ricevute.
Osserva che, per giurisprudenza consolidata, un atto, per avere efficacia interruttiva della prescrizione, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione (o richiesta scritta) di adempimento; e, trattandosi di atto recettizio, deve pervenire a destinazione del soggetto, mentre le lettere ex adverso prodotte sono prive dei requisiti previsti dalle norme denunciate e non erano state portate validamente a conoscenza del destinatario.
3. Alla disamina dei singoli motivi di ricorso può essere utile premettere quanto segue.
3.1. L’edilizia residenziale pubblica (ERP) rappresenta una soluzione abitativa cruciale per persone che si trovano in difficoltà economiche e non possono permettersi una casa di proprietà o affrontare i canoni di locazione del mercato libero. Essa rappresenta, quindi, un pilastro fondamentale per garantire il diritto all’abitazione, soprattutto in un contesto di crescenti difficoltà economiche per ampie fasce della popolazione.
Gli alloggi di ERP, conosciuti anche come case popolari, sono destinati a chi ha specifici requisiti economici e sociali.
In particolare, gli edifici di edilizia residenziale pubblica sono quelli, definiti per legge, che sono stati realizzati o finanziati attraverso il contributo dello Stato, delle Regioni, delle Province, o di altri enti pubblici.
Tra questi l’Istituto autonomo case popolari (IACP), che è un ente pubblico che si occupa della gestione dell’ERP a livello territoriale; e, in particolare, di costruire nuovi alloggi; gestire quelli esistenti; assegnarli a coloro che ne hanno maggiormente bisogno, seguendo procedure trasparenti e criteri prestabiliti. In sintesi, essi sono responsabili della gestione e dell’assegnazione delle abitazioni ai soggetti aventi diritto, seguendo criteri di equità e bisogno.
L’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica è riservato a: persone e famiglie con reddito inferiore ai limiti di legge; portatori di handicap e disabilità; genitori single con figli a carico; cittadini senza fissa dimora.
La verifica dei requisiti avviene tramite la partecipazione a bandi pubblici, che sono periodici e specificano i requisiti per la partecipazione, tra cui l’assenza di proprietà immobiliari o la presenza di esigenze abitative particolari.
I principali requisiti per l’accesso agli alloggi di ERP includono: non essere proprietari di altri alloggi adeguati alle esigenze familiari; non essere stati sfrattati o occupanti abusivi di case popolari negli ultimi cinque anni; essere residenti nel territorio di riferimento; non superare una soglia di reddito massimo, proporzionata al numero dei membri della famiglia.
3.2. Va poi aggiunto che, secondo l’ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 14956/2011; n. 3623/2012; n. 20589/2013, n. 9694/2013; n 24148/2017), nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, ed anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 133 del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (codice del processo amministrativo), va tenuta distinta la prima fase antecedente all’assegnazione, di natura pubblicistica, caratterizzata dall’esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici, e correlativamente da posizioni di interesse legittimo del privato, da quella successiva, di natura privatistica, nella quale la posizione dell’assegnatario assume natura di diritto soggettivo, in forza della diretta rilevanza della regolamentazione del rapporto tra ente ed assegnatario.
In particolare, è stato precisato che: a) al di fuori di un ipotetico procedimento amministrativo di assegnazione cui l’occupante partecipi (non in quanto detentore di quel dato alloggio, ma) come titolare d’un interesse legittimo pretensivo ad essere utilmente collocato nella graduatoria di assegnazione, si radica la giurisdizione del giudice ordinario (Cass. SU n. 24148/2017); b) l’ordinanza di sgombero costituisce (non un atto autoritativo, ma) un titolo esecutivo apprestato unilateralmente dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che la controversia avente ad oggetto la contestazione circa la pretesa di rilascio di un bene da altri detenuto senza titolo rientra nell’ambito della giurisdizione ordinaria, in quanto attiene pur sempre al diritto di agire esecutivamente nella specifica situazione (cfr. S.U. 24148 del 2017 cit.; n. 9694/2013; n. 3623/2012; n. 14956/2011; n. 24764/2009).
4. Tanto premesso, va dato atto che i motivi di ricorso, come articolati dal Difensore del (omissis), sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli articolati dallo stesso Difensore in altro ricorso sul quale questa Corte ha provveduto con ordinanza n. 19391/2023; e, come quelli, vanno dichiarati inammissibili.
4.1. Il primo motivo è inammissibile sotto più profili.
In primo luogo, è inammissibile la censura di omessa pronuncia su motivo di gravame sia perché il motivo non è compiutamente riportato nella sua integralità nel ricorso (v. Cass. n. 17049/2015), sia perché non è comunque precisato se il motivo è stato mantenuto nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (v. Cass. n. 5087/2010). Dalla suddetta inammissibilità discende anche l’inammissibilità della prospettazione delle questioni agitate in questa sede, per la prima volta, con il motivo in esame, non risultando esse trattate, né ritualmente dedotte nel giudizio di merito.
Inoltre, il motivo è inammissibile in quanto omette di farsi carico della motivazione della sentenza della corte etnea e, dunque, per ciò solo, dovendo il motivo necessariamente criticare la motivazione della sentenza di merito e, dunque, farsene carico, impinge nel consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, ribadito, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass. Sez. Un., n. 7074 del 2017.
Ed ancora, l’inammissibilità del motivo deriva dal rilievo che la norma di cui si deduce la tacita abrogazione o l’inapplicabilità nella specie non ha avuto diretta applicazione nella sentenza impugnata, la quale ha confermato una decisione resa all’esito di un giudizio di ordinaria cognizione (instaurato a seguito dell’opposizione della ingiunto) diretto all’accertamento della sussistenza della morosità e dei relativi effetti risolutivi sul rapporto e nel quale perdevano ormai rilevanza eventuali vizi della procedura monitoria, salvo eventualmente per le sole spese; mette conto comunque incidentalmente osservare che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (v. Cass. n. 354/1993), i lineamenti dell’istituto di cui all’art. 32 r.d. cit., così come tratteggiati, evidenziano che non si verte in tema di intimazione di sfratto, bensì di procedimento ingiuntivo, adattato alla particolare natura degli Istituti autonomi per case popolari, ai quali viene consentito, per esigenze di speditezza processuale, di ottenere contestualmente l’ordine di pagamento e, in caso di inottemperanza, quello di sfratto.
Nelle stesse coordinate ermeneutiche, del resto, si era già mossa la Corte costituzionale, allorquando ha dichiarato la illegittimità dell’art. 32 nelle parti in cui per il pagamento dei canoni scaduti e per l’opposizione al decreto fissa termini diversi da quelli previsti dall’art. 641 cod. proc. civ., per l’ordinario procedimento ingiuntivo (sentenza n. 159/1969); con ciò evidentemente inquadrando la procedura per cui è ricorso nell’ambito del procedimento d’ingiunzione (e non di quello per convalida di sfratto); va peraltro rammentato che, più di recente, la Corte costituzionale è tornata sull’argomento dichiarando, con sentenza n. 203/2003, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, che prevede che gli istituti per le case popolari possano ottenere un ordine di sfratto nei confronti dell’inquilino moroso emesso inaudita altera parte, rilevando che : “nel solco delle sentenze n. 159/1969 e n. 419/1991 di questa Corte, si deve confermare che la peculiarità di disciplina sostanziale delle locazioni di edilizia residenziale pubblica comporta che anche il loro trattamento processuale può essere diverso da quello delle altre locazioni ad uso abitativo. Se, dunque, la previsione di siffatta tutela è di per sé espressione di discrezionalità legislativa, ne discende che è ininfluente, ai fini della proposta questione di legittimità costituzionale, l’enunciazione delle differenze riscontrabili tra questo procedimento e quelli cui possono ricorrere i locatori nelle comuni locazioni abitative (ma anche, in alternativa, come ammette la giurisprudenza, gli stessi enti gestori di edilizia residenziale), ossia il processo di cognizione secondo il rito dell’art. 447-bis cod. proc. civ. e quello per convalida di sfratto. Del resto, secondo la costante giurisprudenza della Corte, il legislatore può nella sua discrezionalità prevedere differenziate tipologie di procedimenti, in ragione di esigenze che le giustifichino, non essendo costituzionalmente tenuto ad una costante uniformità di disciplina “.
Ricostruito il quadro normativo nei termini che precedono, nessuna rilevanza possono avere le successive innovazioni evocate in ricorso, le quali non hanno certamente escluso l’applicabilità anche ai rapporti locativi nascenti dalla assegnazione di alloggi di e.r.p. – e tale è anche quello per cui è causa – dei comuni istituti processuali a tutela delle pretese da tali rapporti nascenti; tanto meno alcuna incidenza su tale piano potrebbe avere mai avuto la legge regionale evocata, non essendo quella processuale materia attribuita alla competenza, nemmeno concorrente, delle Regioni.
4.2. Inammissibile è anche il secondo motivo.
In disparte la novità della questione, che non risulta trattata nel giudizio di merito, è dirimente che, come sopra rilevato, eventuali vizi propri della fase monitoria e del contenuto dell’ingiunzione emessa, sono rimasti assorbiti e sono divenuti irrilevanti una volta che, a seguito dell’opposizione, si è instaurato un giudizio di ordinaria cognizione vertente sulla fondatezza delle pretese azionate dall’ente locatore sul fondamento della dedotta (e per vero non contestata) morosità della conduttrice.
4.3. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Invero il ricorrente non indica in quale parte della sentenza la Corte di merito avrebbe affermato di dover applicare una regola di giudizio diversa da quella desumibile dalle norme secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità, circa i criteri da utilizzare per la corretta determinazione della misura del canone dovuto, né da quale affermazione se ne dovrebbe comunque desumere una chiara e univoca difforme applicazione, ma ben diversamente ne prospetta la violazione quale conseguenza di una diversa valutazione degli elementi di fatto – peraltro nemmeno precisamente indicati né essendo nemmeno detto se e in quale sede processuale acquisiti, tanto meno nel rispetto dell’onere di specifica indicazione dettato dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. – il che pone (non una quaestio iuris, ma) inammissibilmente una quaestio facti, insindacabile nella presente sede.
4.4. Inammissibile è il quarto motivo.
Invero il ricorrente ripropone argomento di critica già confutato nella sentenza impugnata senza in alcun modo confrontarsi con la motivazione al riguardo addotta (con la quale la Corte di merito ha evidenziato l’irrilevanza di eventuali irregolarità della documentazione prodotta in fase monitoria, una volta instaurato, con l’opposizione, il giudizio di ordinaria cognizione: v. sentenza impugnata, pag. 4), ma limitandosi ad una mera contraria asserzione.
Inoltre, anche tale censura si appalesa inosservante dell’onere di specifica indicazione dei documenti richiamati, in manifesta violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
4.5. Infine, inammissibile il quinto motivo, sia perché anch’esso non si confronta con la decisione impugnata, ma si risolve nell’asserzione di un fatto esattamente opposto a quello invece accertato in sentenza (ossia la provata ricezione di idoneo atto interruttivo), sia, comunque, per inosservanza dell’onere di specifica indicazione dei documenti richiamati, in palese violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
5. L’inammissibilità di tutti i motivi rende il ricorso inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso non consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in difetto di difese da parte dell’Istituto, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2024.
