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Cassazione penale sez. III, 27/06/2017, n. 39543

Massima

La configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (previsto dall’art. 600-quater, comma secondo, cod. pen.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche).

Supporto alla lettura

PEDOPORNOGRAFIA

La pedopornografia è la pornografia (ossia la rappresentazione di atti sessuali) in cui sono raffigurati soggetti pre-puberali. Spesso viene confusa con la pornografia minorile (materiale pornografico in cui sono coinvolti soggetti minorenni che però hanno già subito le trasformazioni fisiche e mentali derivanti dalla pubertà), poichè in molte legislazioni viene considerata illegale e punita non la pedopornografia in quanto tale, ma qualsiasi forma di pornografia minorile, ossia la produzione, distribuzione e detenzione di materiale pornografico che coinvolge i minori.

La norma codicistica italiana intende come pedopornografico quel materiale che ritrae o rappresenta visivamente un minore implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica. Ciò si applica anche ai fotoritocchi, fotomontaggi e in generale a immagini fotorealistiche realizzate utilizzando scatti o parti di scatti di soggetti minorenni, ciò vale anche per attività sessuali o analoghe e anche se i fotomontaggi non ritraggono scene realmente accadute.

La legge italiana non si applica ai disegni che siano chiaramente riconoscibili come tali e non come fotorealistici, mentre anche solo il semplice possesso di materiale pornografico coinvolgente minori costituisce reato.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano, giudicando in sede di secondo rinvio disposto dalla Corte di cassazione, ha confermato, per quanto qui interessa, la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Milano, emessa in data 14 aprile 2011 a seguito di giudizio abbreviato così come modificata nei confronti del ricorrente dalla pronuncia della Corte di appello di Milano in data 10 luglio 2015 resa all’esito del primo annullamento con rinvio.

1.1. Al ricorrente erano stati contestati i reati (a) il reato di induzione alla prostituzione minorile continuata (art. 81 cpv. c.p. e art. 600-bis c.p., comma 1), ai danni di vittime di età inferiore agli anni 18, mediante offerta di ricariche telefoniche in cambio di mms raffiguranti le persone offese nude ovvero primi piani delle loro parti intime; (b) il reato di pornografia minorile continuata (art. 81 cpv. c.p. e art. 600-ter c.p., comma 1), per aver utilizzato due minorenni, entrambe di età inferiore agli anni 18, per la produzione di materiale fotografico, consistente in mms raffiguranti le persone offese nude ed in atteggiamenti provocatori, nonchè primi piani delle medesime; (c) il reato di atti sessuali continuati con minorenne (artt. 81 cpv. e 609-quater c.p.), per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti sessuali con persona offesa, minore infraquattordicenne; atti consistiti in rapporti completi, nonchè toccamenti nelle parti intime; (d) il reato di violenza sessuale continuata (artt. 81 cpv. e 609-bis c.p.), per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza consistita in schiaffi, morsi al viso, all’addome, ai glutei ed alla schiena, costretto la vittima a subire atti sessuali (in particolare, in più occasioni, il ricorrente costringeva la ragazza, nonostante il suo esplicito dissenso ed i suoi tentativi di resistenza, a rapporti sessuali completi); (e) il reato di detenzione di ingente quantità di materiale pornografico (art. 600-quater c.p., commi 1 e 2), per avere consapevolmente detenuto su supporti informatici, in data anteriore e prossima al 30 ottobre 2008, una ingente quantità di materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18, consistente in fotografie e video raffiguranti ragazzine adolescenti nude oppure intente a compiere atti sessuali tra di loro o con adulti.

1.2. La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’appello proposto, tra gli altri, dall’odierno ricorrente, con sentenza del 25 ottobre 2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado:

– riqualificò il reato di cui al capo b) come detenzione di materiale pornografico ex art. 600-quater c.p. (e non come pornografia minorile ex art. 600-ter c.p., comma 1);

– escluse la continuazione interna tra i capi a) e b) della rubrica assolvendo l’imputato dai suddetti capi limitatamente ad una sola delle vittime.

1.3. Quanto in particolare alla posizione dell’odierno ricorrente, la Sezione Terza di questa Corte, investita dal ricorso, con sentenza 4 dicembre 2014, nel rigettarlo parzialmente, annullava la sentenza impugnata, limitatamente al reato di prostituzione minorile di cui al capo a), perchè il fatto non sussiste, e rigettava nel resto i ricorsi, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio quanto ai residui reati.

1.4. La Corte di appello di Milano, in diversa composizione, con la sentenza impugnata, emessa in sede di rinvio in data 10 luglio 2015 ad esito di giudizio di rinvio, ha rideterminato la pena nei confronti dell’odierno ricorrente nella misura di anni tre e mesi dieci di reclusione.

1.5. Impugnata tale ultima sentenza, la sezione Quarta della Corte di cassazione ha annullato la pronuncia, emessa nei confronti dell’odierno imputato, limitatamente ai punti concernenti l’aggravante dell’art. 600-quater c.p., comma 2 e l’attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., u.c..

1.6. La Corte di appello di Milano, giudicando in sede di secondo rinvio, ha escluso la configurabilità della reclamata attenuante e ha ritenuto la sussistenza della contestata aggravante.

2. Per l’annullamento di tale ultima sentenza il ricorrente, tramite il difensore, solleva tre motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 609-bis c.p., u.c., e art. 609-quater c.p., comma 3).

Sostiene che la Corte di appello ha erroneamente negato l’applicabilità dell’attenuante del fatto di minore gravità in conseguenza di soggettive valutazioni facendo in tal modo degradare il giudizio da cognitivo a potestativo e la verità processuale da verità empirica a convincimento intimamente soggettivo.

Argomenta, a tale proposito, come la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato che la gravità della condotta realizzata dalla ricorrente nei confronti della vittima fosse consistita non soltanto nell’aver consumato rapporti sessuali non consenzienti con persona minore incapace di prestare un valido consenso ma di avere preteso dalla stessa la consumazione di rapporti sessuali allorquando la minore dimostrava contrarietà e che durante i rapporti, anche consenzienti, il ricorrente si fosse comunque comportato con violenza. Con ciò la Corte di appello avrebbe stabilito una arbitraria restrizione della portata della norma che non si può ricavare dal diritto positivo e ha riferito la gravità anzichè al fatto concreto al tipo di reato che ha già formato oggetto di valutazione da parte del legislatore nella fissazione della pena edittale. La legge infatti ha già tenuto conto per tali reati della particolare natura dell’illecito e la Corte di appello, anzichè tenere conto della significatività del disvalore del caso concreto, ha escluso l’attenuante sulla base dell’indole grave del reato; ha errato quindi nella interpretazione della norma, determinando il contenuto della regula iuris e la sua portata generale ed astratta in modo dissonante da quello che è il significato che assume nell’ordinamento; ha attribuito ad essa un contenuto che non le appartiene; infine, anzichè riferirsi alla gravità del fatto, si è riferita alla personalità morale dell’imputato, discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità alla quale pure ha affermato di aderire, facendo in sostanza un cattivo uso del potere discrezionale (vincolante) conferito dalla legge.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione su punti decisivi per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)).

Premette che il vizio di motivazione denunciato risulta dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti processuali indicati nel motivo di ricorso (relazione clinica del (omissis) decreto pronunciato il 4 dicembre 1998 dal tribunale per i minorenni di Milano, lettera del 26 aprile 2007, dedica del 4 giugno 2007, verbali di assunzione di informazioni elencati nel motivo di ricorso).

Osserva che l’art. 609-bis c.p., u.c., come pure l’art. 609-quater c.p., comma 3, fa perno sull’impiego di termini valutativi, trattandosi di norme che postulano l’esistenza di fatti ma ricollegano la loro rilevanza giuridica all’esito di una valutazione che si fonda su parametri fissati a priori dal legislatore. Nella sentenza impugnata si legge che la vittima era affetta da disturbi della personalità e tuttavia dai decreti del tribunale per i minorenni di Milano e dalle relazioni svolte dai servizi sociali del predetto tribunale, in atti, non è stato segnalato alcun disturbo della personalità che invece è stato diagnosticato esclusivamente nella relazione clinica del dottor (omissis) del (omissis).

Dopo aver diffusamente riportato i dati desumibili dalla predetta relazione clinica e dopo avere enunciato, per stralci, gli esiti delle sommarie informazioni testimoniali ritenute sul punto rilevanti e gli altri elementi desumibili dal corredo processuale (ed il tutto da pagina 8 a pagina 24 del ricorso), il ricorrente conclude che la Corte di appello non avrebbe giudicato secondo il dictum stabilito dalla sentenza di annullamento che ha ritenuto fondate le ragioni di gravame relative alla omessa motivazione in ordine alla mancata concessione del fatto di minore gravità, assumendo che la Corte di appello, quando ha affermato che le risultanze processuali contrastavano con le argomentazioni poste a fondamento dei rilievi difensivi secondo i quali la vittima aveva ammesso di aver avuto nello stesso periodo incontri sessuali anche con altri soggetti e che la relazione con il ricorrente era sostenuta dal carattere sentimentale di essa, non avrebbe indicato le fonti del suo convincimento e non avrebbe motivato sugli elementi, sui risultati di prova, sulla conclusione probatoria e sui criteri inferenziali utilizzati, incorrendo perciò nel vizio di motivazione denunciato, nonostante la difesa avesse richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui la circostanza attenuante della minore gravità è riferibile tanto alle condotte di violenza sessuale quanto all’ipotesi di atti sessuali con minorenne e che, ai fini della configurabilità dell’attenuante, debba farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, dove assumono perciò rilevanza i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali questa, le caratteristiche psicologiche in relazione all’età, in funzione dell’intensità dell’aggressione patita dalla persona offesa, al bene interesse tutelato dalla norma violata nonchè del danno da quella pattuita anche in termini psichici, con la conseguenza che è da escludersi che la sola tipologia dell’atto possa essere sufficiente per ravvisare o negare la ricorrenza della circostanza attenuante in questione.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 600-quater c.p., comma 2).

Assume il ricorrente che, con riferimento all’aggravante di cui all’art. 600-quater c.p., comma 2, la valutazione del carattere ingente del materiale detenuto deve riferirsi sia al numero dei supporti che al numero di immagini e, siccome all’imputato è stato sequestrato un numero limitato di supporti e all’interno di essi vi era anche materiale non pedopornografico (come risulta dalla consulenza tecnica), l’aggravante, che ha natura oggettiva e fa riferimento a un dato meramente quantitativo, deve allora essere esclusa ma la Corte di appello, nel trascurare che la norma richiede un quantitativo molto elevato, ha dato, invece, rilievo alla qualità e al carattere delle immagini, incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denunciato.

2.4. Il ricorrente ha presentato memoria a corredo delle tesi esposte con i motivi di ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. Il primo ed il secondo motivo, che possono essere valutati congiuntamente essendo tra loro strettamente connessi, sono inammissibili per manifesta infondatezza.

3. In relazione al richiesto riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., e all’art. 609-quater c.p., comma 4, la Corte di appello ha ritenuto insussistente nella fattispecie i presupposti richiesti per il suo riconoscimento escludendo che il fatto potesse essere qualificato di minore gravità, mentre al contrario, nel caso in esame, i fatti posti in essere dal ricorrente apparivano di gravità molto rilevante. A questo proposito il giudice del rinvio ha considerato che l’ipotesi attenuata ricorre quando la libertà sessuale della persona offesa risulti lesa in misura meno rilevante, tenuto conto delle circostanze di fatto.

Nel caso in esame, il ricorrente è stato condannato per aver intrattenuto con la persona offesa, dal febbraio all’agosto del 2007, quando la minore aveva meno di (omissis) anni mentre l’imputato che aveva (omissis), una relazione sessuale con ripetuti e frequenti congiungimenti. La Corte del merito ha osservato che il difensore, nell’udienza di discussione, ha sostenuto che la libertà sessuale della minore era stata lesa in maniera meno rilevante, in quanto questa aveva ammesso di aver avuto nello stesso periodo incontri sessuali anche con altri soggetti e in quanto la relazione intrattenuta con il ricorrente aveva carattere sentimentale.

Secondo la Corte del merito invece le risultanze processuali contrastano con dette argomentazioni difensive, poichè da un lato è risultato dalle dichiarazioni rese dalla minore, giudicate attendibili dal primo giudice, che proprio con il ricorrente, al quale aveva detto di avere tredici anni, la minore aveva avuto il suo primo rapporto sessuale completo e gli incontri successivi, che avevano sempre ad oggetto congiungimenti carnali, erano stati frequentissimi, nella misura da due fino a quattro alla settimana. E’ risultato altresì che nella relazione tra i predetti non vi era assolutamente nulla di sentimentale, almeno da parte dell’uomo, considerato che in una mail spedita allo stesso dalla ragazzina in data 23 aprile 2007 e quindi di contenuto spontaneo e perciò del tutto attendibile, questa si lamentava per il fatto che, quando usciva con lui, era costretta a nascondersi nel bosco e perchè nuovo pensava solo ad avere rapporti sessuali. La gravità della relazione è stata ribadita dalla minore nel corso delle dichiarazioni rese 29 maggio 2008 quando ha precisato che tutti gli incontri erano finalizzati al sesso, che lei ed il ricorrente non erano mai andati a cinema o stati insieme a mangiare una pizza e neppure usciti in coppia con qualche altro, risultando perciò evidente, secondo la Corte del merito che tale tipo di impostazione del rapporto non poteva che ulteriormente avere una incidenza negativa sull’armonico sviluppo della personalità della minore in ambito sessuale.

La Corte territoriale ha poi rilevato che il ricorrente aveva approfittato di una condizione già di particolare fragilità della minore, che aveva una problematica situazione familiare ed infatti era stata per un periodo ospite della comunità che accoglieva ragazze anche con problemi di salute psichica, come disturbi della personalità, da cui anche la persona offesa era affetta, come risultato dalle numerose relazioni in atti. Ciò ha reso, secondo la Corte del merito, assolutamente grave la condotta tenuta nei confronti della vittima da parte del ricorrente posto che questi non si limitava a consumare rapporti sessuali consenzienti, ma pretendeva di averne anche quando la minore dimostrava contrarietà e, come riferito dalla predetta agli educatori della comunità, la schiaffeggiava quando faceva qualcosa di sgradito e, se si opponeva al rapporto, il ricorrente si imponeva andando avanti egualmente. Il giudice del rinvio ha poi evidenziato come risultasse che l’uomo preferiva non usare il preservativo, come chiedeva la ragazza, e che durante i rapporti anche consenzienti era sempre comunque violento, giungendo anche a morderla, tanto che a volte la minore si metteva a piangere. Da ciò la Corte di appello ha tratto argomento per ritenere del tutto evidente che il ricorrente aveva utilizzato la minore, contattata su Internet, per soddisfare le sue esigenze sessuali e in particolare per sfogare le sue perversioni, ledendo gravemente la libertà sessuale della stessa, che aveva già una fragilità psicologica per problemi familiari e un disturbo della personalità. Dalla relazione clinica in atti della neuropsichiatra del (omissis), quindi risalente proprio al periodo della relazione tra la vittima ed il ricorrente, risulta per la prima “una condizione posta traumatica molto forte” proprio dipendente dai rapporti sessuali, anche in relazione a quelli riferiti come consenzienti. In definitiva, sulla base di ciò, la Corte di appello ha escluso il riconoscimento della invocata attenuante.

4. La giurisprudenza della Corte è ormai univoca nel ritenere che, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto (ex multis, Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S., Rv. 260501; Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, C., Rv. 259196; Sez. 3, n. 1057 del 19/12/2006, dep. 2007, Sala, Rv. 236024; Sez. 3, n. 5002 del 07/11/2006 dep. 2007, Mangiapane, Rv. 235648; Sez. 3, n. 47730 del 28/10/2003, El Kabouri, Rv. 226865).

Nel quadro di tale consolidato orientamento e in continuità con l’indirizzo nomofilattico della Corte in precedenza esposto, è stato anche sostenuto che, mentre per il riconoscimento della diminuente occorre che, a seguito della valutazione del fatto nella sua globalità, la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave e che il danno arrecato sia stato significativamente contenuto, invece per il suo diniego è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, dep. 2017, L., Rv. 269600; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, K., Rv. 263821).

In particolare è stato sostenuto che l’applicabilità della diminuente dei casi di minore gravità non può essere riconosciuta quando gli abusi sessuali sono reiterati nel tempo, assumendo la caratteristica dell’abitualità, perchè il perdurante attentato alla libertà sessuale della vittima determina un approfondimento dell’illecito compromettendo al massimo grado l’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e ponendosi pertanto in collisione con la ratio che governa l’attenuante speciale (Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, cit.; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, cit.; Sez. 3, n. 21458 del 29/01/2015, T., Rv. 263749 Sez. 3, n. 24250 del 13/05/2010, D., Rv. 247286; Sez. 3, n. 2001 del 13/11/2007, dep. 2008, R., Rv. 238847).

La Corte di appello si è ampiamente attenuta ai suesposti principi di diritto, sottolineando l’esistenza di molteplici aspetti ostativi alla concessione dell’attenuante, tra cui il fatto che il bene giuridico veniva leso da due a quattro volte la settimana, e i rapporti, superata la fase del consenso invalido, erano anche pretesi con la costrizione della vittima.

5. Il terzo motivo non è fondato.

5.1. La Corte di appello, riguardo all’aggravante dell’ingente quantità, ha osservato che l’imputato non deteneva soltanto qualche foto o video ritraenti soggetti minorenni ma, come desunto dalla relazione tecnica in atti eseguita sul materiale sequestrato dagli operanti, è risultato in possesso di 46 video che aveva scaricato da Internet, aventi contenuto pedopornografico e di centinaia di immagini raffiguranti ragazze di cui alcune in età preadolescenziale, in pose ammiccanti e lascive, intente a compiere atti sessuali tra di loro e con adulti.

5.2. La giurisprudenza di legittimità, nell’esaminare gli elementi costitutivi dell’aggravante in parola, ha avuto modo di chiarire che la configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p., comma 2) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sè indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene (Sez. 3, n. 17211 del 31/03/2011, R., Rv. 250152).

Con tale arresto, la Corte ha affermato che l’aggravante in esame ha connotazioni fattuali di carattere obiettivo attenendo ad una valutazione di carattere quantitativo di tipo oggettivizzato e che ricalca circostanze di analoga portata previste dal codice o da leggi speciali rispetto alle quali sono stati anche superati dubbi di costituzionalità sollevati con riferimento alla apparente indeterminatezza della nozione di “ingente quantità” (così, Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, dep. 2008, Putrone, Rv. 2385589).

La sentenza afferma che l’apprezzamento come “ingente”, del quantitativo di materiale posseduto, è da ritenersi correlato al dato numerico delle immagini contenute nei supporti più vari, tanto sul rilievo che l’uso del termine generico “materiale” legittima tale conclusione.

Ne consegue che la valutazione del carattere, ingente o meno, del materiale va fatta con riferimento, non solo, al numero di supporti (CD/DVD) – dato che, già di per sè, può risultare indiziante – ma anche al numero di “immagini” (da considerare come obiettiva unità di misura) che ciascuno di essi contiene, dovendosi considerare che il legislatore, nel disciplinare l’ipotesi di chi si procura o detiene materiale pedo-pornografico, ha inteso differenziare le pene per chi abbia solo “alcune” immagini rispetto a chi disponga di un quantitativo di esse tale da potersi definire “molto grande, rilevante, consistente” (cosi come desumibile dallo stesso significato letterale annesso, nel dizionario della lingua italiana, all’aggettivo “ingente”), con la conseguenza che, ai fini della ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 600-quater c.p., comma 2, è definibile di “ingente quantità” quel “materiale” che offra la disponibilità di un numero “molto grande, rilevante o consistente” di immagini pedo-pornografiche si da contribuire concretamente ad incrementare il perverso mercato.

Su questa scia, la Corte ha ribadito che la configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p., comma 2) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sè indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene (Sez. 3, n. 35876 del 21/06/2016, B., Rv. 268008).

Il Collegio intende dare continuità ai precedenti orientamenti, osservando innanzitutto come la nozione di materiale pornografico vada principalmente riferita al materiale che ritrae visivamente un minore degli anni diciotto in atteggiamenti sessuali espliciti, reali o simulati, secondo la definizione data dall’articolo 2 della direttiva 2011/92/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, definizione che comprende, nella nozione di materiale pedopornografico, anche la rappresentazione degli organi sessuali di un minore per scopi prevalentemente sessuali; il materiale che ritrae visivamente una persona che sembra un minore in atteggiamenti sessuali espliciti, reali o simulati, oppure la rappresentazione per scopi prevalentemente sessuali degli organi sessuali di una persona che sembra un minore; oppure le immagini realistiche di un minore in atteggiamenti sessuali espliciti o immagini realistiche degli organi sessuali di un minore, per scopi prevalentemente sessuali.

La giurisprudenza di legittimità era già giunta ad analoghi approdi sulla base della decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio affermando che “materiale pornografico”, oggetto materiale della condotta criminosa prevista dall’art. 600-ter e quater c.p., può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica (Sez. 3, n. 10981 del 04/03/2010, Khan, Rv. 246351) ovvero quello di contenuto lascivo, idoneo ad eccitare le pulsioni erotiche del fruitore, sicchè in esso vanno ricomprese non solo le immagini raffiguranti amplessi ma anche corpi nudi con i genitali in mostra (Sez. 3, n. 8285 del 09/12/2009, dep. 2010, R., Rv. 246231).

Da ciò consegue che l’ingente quantità, che configura l’aggravante prevista dall’art. 600-quater c.p., comma 2, è integrata da un numero di immagini che, parametrate ad una sola unità di misura, superano notevolmente detta unità, conseguendo un’entità molto grande rispetto a detta unità per il loro cospicuo numero, non limitato ad un insieme riconducibile alle unità o alla decina di immagini ma integrato almeno a partire da un centinaio di esse, limite che rendere in maggior misura percepibile il pericolo di implementazione del mercato illecito, che costituisce la ratio dell’inasprimento sanzionatorio fondante l’aggravante de qua, tant’e che l’aumento del carico sanzionatorio allinea tendenzialmente, quoad poenam, il reato aggravato di cui all’art. 600-quater c.p., alle ipotesi base di reato di cui all’art. 600-ter c.p., commi 3 e 4, che si pongono in progressione illecita ed assorbente rispetto alla consapevole detenzione di detto materiale.

La Corte di appello si è attenuta a questo criterio avendo ritenuto correttamente configurata l’aggravante in considerazione della detenzione di 46 video e di centinaia di immagini raffiguranti ragazze di cui alcune in età preadolescenziale, in pose ammiccanti e lascive, intente a compiere atti sessuali tra di loro e con adulti.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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