• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, n. 8451

Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, n. 8451

Massima

Il modello cid non ha rilievo probatorio se l’incidente non si e’ verificato.

Supporto alla lettura

MODULO DI CONSTATAZIONE AMICHEVOLE

La compilazione della constatazione amichevole di incidente è la maniera più semplice per poter ottenere il giusto indennizzo per il risarcimento danni in seguito a un sinistro tra due o più veicoli. La compilazione è consigliabile sia effettuata appena il sinistro si verifica, per poter descrivere nel dettaglio e senza errori la reale dinamica dell’accaduto.

Le istruzioni per la compilazione dei 15 punti che compongono il modulo sono riportate sull’ultimo foglio del modulo, e le informazioni necessarie per poter riempire correttamente la constatazione amichevole, oltre che data ora e luogo dell’incidente, sono:

  • dati anagrafici e numeri di telefono dei conducenti e dei proprietari degli autoveicoli (se diversi dai conducenti);
  • RC Auto, tipo e targa dei mezzi coinvolti;
  • generalità di eventuali feriti;
  • generalità di eventuali testimoni;
  • autorità eventualmente intervenute.

Nel caso di constatazione amichevole, le rispettive compagnie non hanno la necessità di verificare le modalità del sinistro, dato che sono disponibili presso la controparte: ne consegue che allo scadere di 30 giorni dalla data dell’incidente verrà effettuata l’offerta di risarcimento, a patto che non vi siano stati danni alle persone. Qualora invece la costatazione amichevole non fosse compilata da tutte le parti coinvolte nel sinistro, l’offerta della compagnia (sempre ammesso che non ci siano feriti) deve arrivare entro 60 giorni. Sono 90 invece i giorni previsti per l’offerta di risarcimento nel caso di incidenti con persone rimaste ferite.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. (omissis) ricorre per cassazione, sulla base di sei motivi, per l’annullamento della sentenza n. 2192/15 del 18 novembre 2015, del Tribunale di Siracusa, che – rigettando il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza del Giudice di pace di Augusta, n. 206/11 del 20 luglio 2011 – ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria, per danni alle cose, esperita dall’odierno ricorrente nei confronti di (omissis) e della società (omissis) (oggi (omissis), d’ora in poi “(omissis)”), relativamente al sinistro occorsogli il giorno 8 dicembre 2007, lungo la strada provinciale n. 3 Augusta-Catania.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver convenuto in giudizio i predetti soggetti, riferendo che – nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio indicate, mentre viaggiava in direzione Catania (o meglio, Augusta, come corretto in corso di causa) la propria autovettura (una (omissis)) sarebbe stata “violentemente investita” da quella condotta e di proprietà dell'(omissis)
(una (omissis)), assicurata per la RCA con la società (omissis).

In particolare, il veicolo antagonista avrebbe invaso la corsia di marcia opposta a quella in cui egli procedeva, andando a collidere con quella dell’odierno ricorrente “con lo spigolo anteriore sinistro”, tanto che in conseguenza del “violento urto ed anche a causa dell’abbondante pioggia che rendeva viscido il selciato” il (omissis) avrebbe perso il controllo del mezzo, andando a sbattere, “finendo la sua corsa”, contro “un muretto presente alla sua destra”. Per effetto di tale sinistro, pertanto, il veicolo di proprietà dell’odierno ricorrente avrebbe riportato “ingenti danni alla parte anteriore e alla fincata laterale destra”, dei quali il (omissis) ha chiesto il ristoro ai soggetti convenuti in giudizio.

Costituitasi la sola (omissis) istruita la causa mediante interrogatorio formale dell’attore e prova per testi, nonché mediante svolgimento di CTU, l’adito Giudice di pace rigettava la domanda attorea, con decisione confermata dal Tribunale di Siracusa, all’esito di gravame proposto dall’odierno ricorrente.

Riteneva, infatti, il giudice di appello che il cd. “modello CAI” prodotto dal (omissis) non avesse “efficacia vincolante verso nessuna delle parti convenute”, ed in particolare che esso avesse generato una mera “presunzione semplice”, che, nella specie, sarebbe stata superata sulla base delle risultanze della CTU. Essa, infatti, aveva accertato che “non vi era rilevazione del sinistro da parte delle autorità competenti e che non era possibile esaminare i mezzi coinvolti”, e ciò “in quanto non più disponibili”, non essendo stato, pertanto, possibile “ricostruire la dinamica del sinistro”. La sentenza, inoltre, dava atto che l’ausiliario – sulla scorta di fotogrammi allegati dalle parti – aveva rilevato sulla vettura dell'(omissis) “una leggera striatura sul parafango ant. sx ma di altra natura (ostacolo fisso)”, mentre quella del (omissis) presentava “danni da striscio antero­posteriore sulla porta anteriore sx e sulla porta posteriore sx”, ritenendo (soltanto) “possibile” che i danni «de quibus» si fossero verificati a seguito di scontro dei mezzi. Siffatta valutazione non era, però, condivisa dal Tribunale, il quale – presa visione dei fotogrammi suddetti – rilevava l’assenza sulla vettura del (omissis) di “alcun danno significativo al paraurti anteriore, sul lato sinistro, se non qualche lievissima striatura, così come affermato dal CTU”, ciò che, a dire del giudice di appello, escluderebbe esservi stato “scontro violento tra i veicoli”. Si rilevava, inoltre, come l’ausiliario non avesse adeguatamente valutato che la “differenza di massa tra i due veicoli” (a vantaggio di quello del ricorrente), circostanza che avrebbe dovuto comportare la presenza di danni maggiori alla vettura del supposto investitore, giacché essa, e non l’altra, avrebbe dovuto essere sbalzata contro il muro. La presenza, per contro, di semplici “striature sulle fiancate” delle due automobili induceva il Tribunale ad ipotizzare una “collisione per strisciamento e non per scontro”, valorizzando altresì – per escludere la dinamica del sinistro, come risultante dalla domanda attorea – la circostanza che il (omissis) avesse inizialmente indicato verso Catania la direzione lungo la quale viaggiava (salvo poi assumere il contrario), nonché il fatto che l’unico teste escusso, un automobilista che avrebbe seguito con la sua auto quella condotta dall'(omissis) , non seppe riferire se, nel punto in cui costui ebbe ad invadere l’opposta corsia di marcia, la strada presentasse andamento curvilineo o rettilineo.

3. Avverso la sentenza del Tribunale siracusano ha proposto ricorso per cassazione il (omissis), sulla base – come detto – di sei motivi.

3.1. Il primo motivo deduce – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 143 cod. assicurazioni, oltre che degli artt. 2727, 2728, 2967 e 2968 cod. civ., nonchè “contrasto con l’interpretazione delle norme regolatrici fornite dalla giurisprudenza di legittimità”.

Richiamato il disposto dell’art. 143 cod. assicurazioni, secondo cui, quando il modulo di constatazione amichevole “sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”, il ricorrente assume che la sentenza impugnata, benché le parti convenute “non abbiano fornito prova contraria idonea a superare la presunzione” suddetta, “piuttosto che ritenere provata, «de plano», la dinamica del sinistro siccome descritta in citazione”, l’ha, invece, disattesa.

3.2. Il secondo motivo deduce – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 143 cod. assicurazioni, oltre che degli artt. 2727, 2728, 2967 e 2968 cod. civ.

Ci si duole del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto che potesse integrare prova contraria della presunzione suddetta ogni “risultanza di causa”, ed in particolare quelle della CTU, sebbene essa non costituisca mezzo di prova, risultanze utilizzate “in luogo” della prova contraria, che avrebbe dovuto essere offerta dalla parte onerata, ed impiegate, per giunta, non per aderire ad esse, bensì per disattenderle.

3.3. Il terzo motivo deduce – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 2 e 3 Cast., dell’art. 143 cod. assicurazioni, oltre che degli artt. 2727, 2728, 2967 e 2968 cod. civ.

Si lamenta il fatto che la presunzione suddetta è stata considerata alla stregua di una presunzione semplice e non, qual è, di “praesumptio iuris“.

3.4. In via di subordine, con il quarto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 2 e 3 Cast. e dell’art. 2054 cod. civ., giacché la sentenza impugnata avrebbe dovuto almeno applicare, in presenza di scontro tra veicoli, la presunzione di eguale responsabilità dei conducenti ex art. 2054, comma 2, cod. civ.

3.5. Il quinto motivo deduce – ai sensi, congiuntamente, dei nn. 3), 4) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti”, nonché “nullità della sentenza per omessa motivazione” e, dunque, in relazione a tale profilo, “violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., oltre che dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost.

Si censura la sentenza impugnata laddove – condividendo analoga valutazione compiuta dal primo giudice – ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni del teste escusso, omettendo, però, di esaminare i fatti e gli elementi, “oltremodo rilevanti per la decisione”, dedotti nell’atto di appello dall’odierno ricorrente, volti ad evidenziare l’errore del primo giudice; di qui i vizi ipotizzati, anche sul piano dell’assenza di motivazione circa le ragioni del rinnovato giudizio di inattendibilità del testimone.

3.6. Connesso a quello che lo precede è il sesto motivo, che ipotizza – di nuovo ai sensi, congiuntamente, dei nn. 3), 4) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti”, nonché “nullità della sentenza per omessa motivazione” e, dunque, in relazione a tale profilo, “violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., oltre che dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., oltre che per violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 cod. proc. civ.

Si contesta la sentenza impugnata per non avere esaminato i motivi di gravame volti a censurare la decisione del primo giudice, consistita nel mettere in dubbio, sulla base della CTU, la stessa verificazione del sinistro, “con l’aggravante” che, nel reiterare tale valutazione, il giudice di appello ha valorizzato una serie di ”personali considerazioni relative alla massa dei mezzi”, in ordine alle quali non vi era stato neppure contraddittorio tra le parti.

4. Ha resistito all’impugnazione (omissis), che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Evidenzia che, sulla scorta di quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (è citata Cass. Sez. Un., sent. 5 maggio 2006, n. 10311), la sottoscrizione congiunta del “CAI” determina una presunzione superabile in qualsiasi modo, anche attraverso altra presunzione, giacché essa, altrimenti, determinerebbe – con conseguenze di dubbia costituzionalità – effetti vincolanti per un soggetto, l’assicuratore, rimasto estraneo alla formazione di quel documento.

Nella specie, poi, il giudice di appello avrebbe del tutto adeguatamente chiarito le ragioni per le quali ha disatteso la ricostruzione della dinamica del sinistro risultante dal suddetto documento, con motivazione tutt’altro che mancante, bensì esaustiva ed immune da vizi logici, all’uopo utilizzando – sebbene in chiave di riesame critica della stessa – la stessa CTU, conformemente alla funzione della stessa di mezzo istruttorio ad esclusiva disposizione del giudice. D’altra parte, poiché la sentenza impugnata è pervenuta alla conclusione di escludere l’esistenza del sinistro, neppure poteva porsi la questione relativa all’applicazione dell’art. 2054 cod. civ.

5. Entrambe le parti hanno presentato memorie, ex art. 378 cod. proc. civ., insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso va rigettato.

7.1. I motivi primo, secondo e terzo, e con essi anche il sesto, possano trattarsi congiuntamente, risultando non fondati.

Essi, infatti, mirano a porre in discussione – sotto diversi angoli visuali – il potere del giudice di appello (anzi, di entrambi i giudici di merito) di disattendere la presunzione di cui all’art. 143 cod. assicurazione (motivi primo e terzo), all’uopo utilizzando le risultanze istruttorie, ed in particolare della disposta CTU, ipotizzando pure che, attraverso l’impiego di siffatto “modus operandi“, la sentenza impugnata abbia “supplito” all’onere probatorio gravante sui convenuti (motivo secondo), valorizzando elementi “eccentrici” rispetto a quelli oggetto di discussione tra le parti, in violazione del principio del contraddittorio (motivo sesto).

7.1.1. Siffatte censure, tuttavia, non sono fondate, e ciò alla stregua del principio secondo cui, “in materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente (cosiddetto C.I.D.) deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio” (Cass. Sez. 3, sent. 25 giugno 2013, n. 15881, Rv. 626890-01, in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 17 settembre 2013, n. 21161, Rv. 627956- 01; Cass. Sez. 3, ord. 20 febbraio 2018, n. 4010, non massimata).

In particolare, è stata fatta salva – nella giurisprudenza di questa Corte – la possibilità per l’adito giudicante di accertare “che la dichiarazione resa [ … ] nel modulo di contestazione amichevole di incidente” sia “incompatibile con la dinamica del sinistro”, e ciò proprio in base ad elementi come quelli valorizzati, nella specie, dalla sentenza impugnata, ovvero, “alla luce dell’entità dei danni riportati” dal veicolo dell’attore, “della situazione dei luoghi”, nonché “della mancanza di un qualsivoglia danno a carico del conducente” antagonista. Difatti, la verifica di tale “incompatibilità logica” – secondo questa Corte – “si pone come una sorta di momento antecedente rispetto all’esistenza ed alla valutazione della dichiarazione confessoria” contenuta nel “CID”, fermo, peraltro, restando (essa precisa) che essa resterebbe “oggetto, comunque, di libera valutazione nei confronti dell’assicuratore, ai sensi dell’art. 2733, terzo comma, cod. civ., e dell’art. 23 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nonché della sentenza 5 maggio 2006, n. 10311, delle Sezioni Unite di questa Corte” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 15881 del 2013, cit.).

D’altra parte, si è anche affermato che “tra le prove idonee a vincere la suddetta presunzione rientra ovviamente anche la incompatibilità materiale tra i danni riportati tra i due veicoli coinvolti nel sinistro” (così, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 aprile 2018, n. 13951, non massimata), ovvero proprio taluno degli elementi valorizzati dalla sentenza sottoposto al vaglio di questa Corte

7.1.2. Quanto poi, in particolare, alla censura – su cui insiste il quinto motivo – di violazione dell’art. 101 cod. proc. civ., fondata sull’assunto che il Tribunale siracusano avrebbe, con decisione “a sorpresa”, operato una “rilettura” delle risultanze della CTU, è sufficiente qui ribadire quanto segue. Ovvero, come sia da respingere ogni interpretazione del “divieto” delle “sentenze della terza via”, “secondo la quale, ogniqualvolta il giudicante intendesse accingersi a dare di uno degli atti del giudizio una lettura diversa da quella prospettata dalla parte, dovrebbe prima sottoporre quest’ultima alle parti”, non tutelandosi, infatti, attraverso tale divieto “il diritto al contraddittorio fino al punto da garantire alla parte di interloquire sui singoli passaggi argomentativi e prima che essi siano anche solo ipotizzati «in mente sua» dal giudicante”, trattandosi di “momenti obiettivamente riservati al foro interno del decidente e propri della sua attività propriamente intellettiva di elaborazione del materiale” istruttorio, dovendo alle parti assicurarsi solo la facoltà di “dire” e “contraddire” in “merito all’oggetto della questione nel suo complesso” (si veda, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16504, Rv. 644957-02).

7.2. Anche il quarto e per il resto il quinto motivo di ricorso non sono fondati.

7.2.1. Infatti, quanto al primo di essi, deve osservarsi – come nota, del resto, la controricorrente – che, messa in dubbio dal giudice di merito la stessa esistenza del sinistro (affermando la sentenza impugnata che “alla luce di tutti gli elementi emersi la sentenza di primo deve essere confermata non essendo stato provato che un sinistro vi sia stato”), neppure può porsi in astratto la questione dell’art. 2054, comma 2, cod. civ., a prescindere da ogni esame della sua novità.

7.2.2. In relazione, invece, al secondo di tali motivi, deve osservarsi – in ordine, in particolare, al dedotto supposto vizio di “omesso esame” – che il ricorrente neppure ha assolto, in relazione ai fatti e agli elementi che assume “oltremodo rilevanti per la decisione”, gli oneri di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., giacché avrebbe dovuto dimostrare il “dato”, testuale o extratestuale, da cui essi risultino esistente, il “come” e il “quando” tali fatti siano stato oggetto di discussione processuale, oltre alla loro decisività (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).

Quanto, invece, al supposto difetto di motivazione, si è sopra riassunto il ragionamento svolto dal Tribunale di Siracusa per superare la presunzione ex art. 143 cod. assicurazioni, che deve ritenersi del tutto adeguato sul piano del rispetto dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ.

Difatti, va qui ribadito che il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza – a seguito della “novellazione” del testo del n. 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. (disposta dall’art. 54, comma 1, lett. d, del d. I. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, in I. 7 agosto 2012, n. 134) – deve intendersi ormai circoscritto alla verifica del rispetto del cd. “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché – ex multis – Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01).

Ne consegue che il vaglio di questa Corte non potrà più tradursi in un sindacato sulla “sufficienza” della parte motiva che sorregge la sentenza impugnata, sicché la sola carenza idonea a giustificare l’annullamento della pronuncia impugnata è quello della “motivazione apparente”. Tale evenienza, tuttavia, è ipotizzabile solo quando la motivazione, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01).

8. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.

9. A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e, per l’effetto, condanna (omissis) a rifondere alla società (omissis) le spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15°/o ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 giugno 2018.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi