Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2006 (omissis) convenne dinanzi al Tribunale de L’Aquila la Presidenza del consiglio dei Ministri, il Ministero dell’economia, il Ministero dell’istruzione, il Ministero della salute e l’Università degli studi de L’Aquila, esponendo che:
-) dopo avere conseguito la laurea in medicina, si era iscritto nel 1996 ad una scuola di specializzazione in chirurgia generale dell’Università de L’Aquila, di durata esaennale;
-) durante il periodo di specializzazione aveva percepito la borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257;
-) gli emolumenti percepiti a tale titolo erano tuttavia inferiori a quelli che gli sarebbero legittimamente spettati, e ciò sotto due aspetti:
(-) sia perchè la misura della borsa di studio doveva essere aggiornata ogni tre anni, e non lo era stata;
(-) sia, soprattutto, perchè la Direttiva 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, aveva imposto agli Stati membri di erogare ai medici specializzandi una adeguata retribuzione; tale direttiva era stata recepita solo nel 1999 (col D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368), e per di più la concreta applicazione delle misure previste da tale decreto era stata successivamente differita al 2006, per effetto del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, per essere infine attuate solo dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266.
Concludeva pertanto l’attore chiedendo sia “l’adeguamento” della borsa di studio concessagli ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991; sia la condanna delle amministrazioni convenute a pagargli, a titolo di risarcimento per tardiva attuazione delle direttive comunitarie, la differenza tra la remunerazione prevista dalla L. n. 266 del 2005, e quella effettivamente percepita.
2. Il Tribunale de L’Aquila, dopo avere rigettato con sentenza non definitiva del 24.6.2011 n. 445 le eccezioni preliminari sollevate dai convenuti, con sentenza definitiva del 9.10.2013 n. 577 accolse la domanda proposta da (omissis).
3. La Corte d’appello de L’Aquila, con sentenza 16.9.2015 n. 1035, accolse in parte il gravame dell’Università, e dichiarò il difetto di legittimazione (sostanziale) dell’ateneo.
Rigettò, invece, tutti i motivi di appello proposti dalle altre amministrazioni.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del consiglio e dai tre ministeri dell’istruzione, della salute e delle finanze, con ricorso unitario fondato su due motivi.
(omissis) ha resistito con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Questioni preliminari:
1.1. (omissis) ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività (p. 7-8 del controricorso).
Deduce che la sentenza d’appello venne notificata dalla cancelleria della Corte d’appello, a mezzo PEC, a tutti i difensori; e che dalla data di tale notifica sarebbe iniziato a decorrere il termine di 60 giorni per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 325 c.p.c..
1.2. L’eccezione è infondata.
Salvo che la legge non disponga altrimenti (ad esempio, nel caso in cui il giudizio d’appello si concluda con ordinanza d’inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c.), la comunicazione da parte della cancelleria del testo della sentenza conclusiva del giudizio non è idonea a far decorrere il termine c.d. “breve” di cui all’art. 325 c.p.c., il quale decorre ope legis solo dalla notificazione della sentenza (art. 326 c.p.c.).
1.3. Questa Corte è stata chiamata più volte a stabilire se la notificazione della sentenza, ai fini del decorso del termine per impugnare, sia un atto che ammetta o meno equipollenti.
A tale problema questa Corte ha dato risposta fissando una regola, ed individuando un’eccezione ad essa.
La regola è che la notificazione della sentenza è atto che non ammette equipollenti ai fini del decorso del termine di cui all’art. 325 c.p.c.. Non basta, in particolare, per far partire il decorso di quel termine, il semplice fatto che la parte abbia avuto conoscenza quomodo libet della sentenza o del suo contenuto.
In applicazione di tale principio si è escluso, ad esempio, che possa far decorrete il termine per impugnare:
(-) la produzione della sentenza in altro giudizio (Sez. U, Sentenza n. 11366 del 31/05/2016, Rv. 639924);
(-) la proposizione dell’istanza di correzione di errore materiale (Sez. 2, Sentenza n. 17122 del 09/08/2011, Rv. 618916);
(-) la lettura del dispositivo ex art. 281 sexies c.p.c. (Sez. 1, Sentenza n. 12515 del 28/05/2009, Rv. 608346).
1.4. Alla regola secondo cui la notificazione della sentenza non ammette equipollenti, per i fini di cui all’art. 326 c.p.c., si fa tuttavia eccezione in un caso: quando la parte abbia non solo acquisito conoscenza legale – e non di mero fatto – della sentenza, ma l’abbia acquisita con un atto non ad altro destinato, che a provocarne l’impugnazione, ovvero ad impugnarla (così già Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1539 del 02/02/2012, Rv. 621568, in motivazione; nonchè, più esplicitamente, Sez. 3, Sentenza n. 5793 dell’8.3.2017).
In virtù di questo principio si è affermato, ad esempio, che il termine di cui all’art. 325 c.p.c., decorre:
(-) per il notificante, dalla notificazione della sentenza compiuta alla controparte, ai sensi dell’art. 326 c.p.c., sebbene la norma non preveda espressamente tale ipotesi (ex multis, Sez. 2, Ordinanza n. 13732 del 12/06/2007, Rv. 597323);
(-) dalla notifica d’una impugnazione inammissibile od improcedibile (Sez. U, Sentenza n. 12084 del 13/06/2016, Rv. 639972);
(-) per il notificante, dalla notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello (Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 19/06/2007, Rv. 596981);
(-) per il riassumente, dalla data della riassunzione dopo che il giudice inizialmente adito abbia declinato la propria giurisdizione in favore di un altro giudice (Sez. 1, Sentenza n. 19654 del 13/09/2006, Rv. 592200);
(-) dalla notifica di un regolamento preventivo di giurisdizione (Sez. L, Sentenza n. 16535 del 22/11/2002, Rv. 558672);
(-) per chi l’ha proposta, dalla proposizione di una istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza d’appello, ex art. 373 c.p.c. (Sez. 3, Sentenza n. 5793 dell’8.3.2017).
1.5. Alla luce di questi principi, è agevole concludere che la comunicazione della sentenza integrale a mezzo PEC da parte della cancelleria è inidonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c., perchè quella comunicazione è un atto che, se consente al destinatario di acquisire la legale scienza dell’avvenuto deposito, non può però dirsi “un atto non ad altro destinato, che a provocare l’impugnazione”.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Ritiene questa Corte che vada esaminato per primo il secondo motivo di ricorso.
Esso infatti, per quanto si dirà, è di per sè idoneo a definire il giudizio, e può dunque essere esaminato per primo anche se dal punto di vista della logica formale appaia subordinato all’altro motivo: ciò in virtù del principio c.d. della “ragione più liquida”, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014) ed ormai divenuto jus receptum.
2.2. Col secondo motivo le amministrazioni ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di una nutrita serie di norme (tra le quali, per quanto effettivamente qui rileva, il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6; il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, artt. 37,39,41 e 46; il D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 8; la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300).
L’illustrazione del motivo contiene una censura così riassumibile:
-) l’attore domandò, in primo grado, il risarcimento del danno da essa subito in conseguenza della tardiva attuazione, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie volte a disciplinare il reciproco riconoscimento, tra gli Stati membri, dei diplomi di specializzazione in medicina;
-) a fondamento di tale domanda l’attore dedusse che la Direttiva 93/16/Cee del Consiglio, del 5.4.1993, imponeva all’Italia di erogare agli specializzandi una remunerazione nella misura che, invece, lo Stato italiano introdusse solo nel 1999, e cominciò concretamente ad applicare nel 2006;
-) una simile domanda si sarebbe dovuta dichiarare infondata dalla Corte d’appello, in quanto:
(a) all’epoca in cui l’attore iniziò la specializzazione (2002), la direttiva che imponeva agli Stati membri di corrispondere una adeguata remunerazione agli specializzandi in medicina (e cioè la Direttiva 82/76/Cee del Consiglio, del 26 gennaio 1982) era già stata attuata dal D.Lgs. n. 257 del 1991;
(b) la direttiva 16/93 non aveva introdotto alcun nuovo obbligo per gli Stati membri, ma solo coordinato le disposizioni precedenti raccogliendole in un testo unitario;
(c) lo stabilire, poi, in che misura remunerare gli specializzandi, ed a partire da quando far decorrere gli aumenti, è questione riservata alla discrezionalità del legislatore, ed estranea al diritto comunitario.
2.3. Il motivo è fondato, in virtù dei principi già ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui “la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al D.Lgs. cit.” (tra le ultime decisioni, in tal senso, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24805 del 9.10.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24804 del 9.10.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24803 del 9.10.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24802 del 9.10.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24708 del 8.10.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20419 del 2.8.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6355 del 14/03/2018, Rv. 648407 – 01, e Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13445 del 29/05/2018, Rv. 648963 – 01; Sez. L -, Sentenza n. 4449 del 23/02/2018, Rv. 647457 – 01).
Ai principi affermati dalle suddette decisioni può dunque in questa sede farsi rinvio, dal momento che esse hanno già affrontato e risolto tutte le eccezioni sollevate dall’odierna controricorrente nel proprio controricorso: sulla pretesa retroattività del D.Lgs. n. 368 del 1999; sulla parità di trattamento tra specializzandi iscritti alle scuole di specializzazione prima e dopo il 2006; sulla natura di lavoro subordinato o meno dell’attività svolta dagli specializzandi; sulla conformità del D.Lgs. n. 368 del 1999 al diritto dell’Unione Europea; sulla conformità a costituzione dei D.Lgs. n. 368 del 1999, D.Lgs. n. 517 del 1999, e L. n. 266 del 2005.
3. Il primo motivo di ricorso.
3.1. Col primo motivo di ricorso (riferibile solo ai tre Ministeri ricorrenti, non alla Presidenza del consiglio dei ministri), le amministrazioni ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 101 c.p.c., e D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, art. 3.
Deducono che la domanda accolta dalla Corte d’appello andava qualificata come domanda di risarcimento del danno da tardiva attuazione di una direttiva comunitaria, e della tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria può essere chiamato a rispondere solo lo Stato – persona in quanto tale, non certo i Ministeri.
3.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del motivo precedentemente esaminato.
Ritiene comunque utile questa Corte ricordare, ad abundantiam, che quando una domanda giudiziale, proposta contro lo Stato, sia notificata – oltre che della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che dello Stato ha la rappresentanza in giudizio – anche a singoli Ministeri, ciò non comporta alcuna conseguenza in termini di legittimazione sostanziale, dal momento che i singoli ministeri costituiscono interna corporis del governo (Sez. 3, Sentenza n. 765 del 19/01/2016, Rv. 638326 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 6029 del 25/03/2015, Rv. 634892 – 01); e che comunque la circostanza che l’attore, invece di citare la Presidenza del consiglio, citi in giudizio singoli ministeri, legittima le amministrazioni convenute non già a negare la propria legittimazione sostanziale, ma solo a chiedere la rimessione in termini, ai sensi della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 23202 del 15.11.2016, p.p. 2.3 e ss. dei “Motivi della decisione”).
4. La ritenuta fondatezza del ricorso non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
Infatti, non essendo ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa nel merito, rigettando la domanda così come proposta da (omissis).
5. Le spese.
5.1. Le spese del presente giudizio e quelle dei gradi di merito (cui in questa sede occorre provvedere, in conseguenza della ritenuta possibilità di decidere la causa nel merito) vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione delle incertezze giurisprudenziali sulla questione oggetto del contendere, e del fatto che solo a febbraio del 2018 (e quindi dopo la proposizione del presente ricorso) l’orientamento di questa Corte si sia consolidato in senso sfavorevole all’odierno controricorrente.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da (omissis);
(-) compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2019
