Massima

In tema di immissioni intollerabili provenienti da un immobile concesso in locazione, la responsabilità del proprietario-locatore ai sensi dell’art. 2043 c.c. non è presunta, ma sussiste solo qualora egli abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso. Tale concorso si configura se, al momento della stipula del contratto, il locatore poteva prevedere con l’ordinaria diligenza che il conduttore avrebbe causato immissioni pregiudizievoli a terzi.

Supporto alla lettura

Locazione

La locazione (o affitto) viene definita come quel contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile, per un determinato periodo di tempo, dietro pagamento di un corrispettivo concordato tra le parti (art. 1571 c.c.). Il contratto di locazione ad uso abitativo è quel particolare tipo di locazione avente ad oggetto immobili che siano locati allo scopo di essere abitati dal conduttore o dalla sua famiglia. Trova la propria disciplina nella legge 431/1998 e, limitatamente agli articoli non abrogati, nella legge 392/1978. La locazione di immobili ad uso abitativo può essere oggetto di varie forme contrattuali, in base alle intenzioni ed esigenze del conduttore e del locatore, sull’unità abitativa. Le diverse possibilità di pattuizione possono essere così riassunte: locazione a canone libero (durata anni 4+4); locazione a canone concordato (durata anni 3+2); locazione per studenti universitari (durata da 6 a 36 mesi); locazione a uso transitorio (durata da 1 a 18 mesi). La normativa delle locazioni immobili ad uso commerciale è prevista dall’art. 27 L. 392/1978 e prevede una durata minima di 6 anni, con rinnovo automatico di altri 6 e una durata massima di 30 anni. La durata della locazione è elevata a 9 anni per gli immobili a destinazione alberghiera come pensioni, locande o alberghi.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. (Omissis) e (Omissis) hanno acquistato un immobile sito in Asti, (Omissis), inserito in un condominio.

L’appartamento era posto al primo piano, mentre a quello sottostante operava un’attività di ristorazione e vendita di kebab, tenuta da tale (Omissis), che aveva il locale in conduzione dalla società (Omissis).

L’attività gastronomica, posta al piano sottostante, secondo i ricorrenti, era fonte di intollerabili immissioni: il locale restava aperto fino alle prime ore dell’alba, e gli avventori facevano schiamazzi. Per contro, quando essi avevano acquistato l’immobile, il venditore aveva garantito che si trattava di una attività di produzione di pizza al taglio, senza dunque consumazione in presenza, e con orari ben diversi.

2. I due acquirenti, oggi ricorrenti, hanno dapprima iniziato una procedura d’urgenza (art. 700 c.p.c.) nei confronti sia dei locatori, ossia i proprietari del locale in cui si svolgeva l’attività, sia del Condominio di (Omissis), che del titolare della attività di ristorazione, quale diretto responsabile delle immissioni.

Il Tribunale di Asti ha accolto la domanda solo nei confronti di quest’ultimo, accertando l’illegittimità della sua condotta, ossia l’intollerabilità delle immissioni prodotte: non ha emesso provvedimenti di inibitoria, in quanto, nel frattempo, il ristoratore aveva lasciato il locale, anche per via della morosità che aveva accumulato.

3. I due acquirenti hanno dunque introdotto la causa di merito. In primo grado, sempre il Tribunale di Asti, ha ribadito le decisioni della fase cautelare, ritenendo illegittima l’attività del ristoratore, ma non quella degli altri due convenuti; questa decisione è stata confermata in appello, dove si è precisato che, quanto al locatore, non vi era prova che costui potesse prevedere la lesività della condotta del conduttore, e, quanto al condominio, che non era tenuto ad intervenire, né poteva rispondere delle violazioni altrui.

Ed inoltre che, semmai, a dover rispondere della inerzia nel far cessare le immissioni di un condominio doveva essere l’amministratore in quanto tale.

4. Questa sentenza è qui impugnata dai due acquirenti con tre motivi di ricorso.

Resistono con distinti controricorsi il Condominio di (Omissis) e (Omissis).

I ricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta difetto di motivazione nonché travisamento della prova.

La ratio decidendi, sotto questo aspetto, e relativamente alla posizione del locatore, è nel senso che costui avrebbe potuto, in ipotesi, rispondere ex art. 2043 c.c. delle immissioni causate dal conduttore, ove avesse potuto prevedere, al momento del contratto, di locazione, che, per l’appunto, il conduttore le avrebbe provocate.

Ma non vi era alcuna prova di tale prevedibilità. La tesi dei ricorrenti è che invece la prova era emersa: risultava dalla CTU e soprattutto dal verbale ARPA, secondo cui le strutture dell’immobile non erano adeguate a contenere il rumore provocato dai clienti del ristorante. Ed inoltre il venditore, che poi era la stessa società locatrice dell’immobile al ristoratore, aveva garantito che quest’ultimo avrebbe fatto un’attività diversa nel locale, e meno rumorosa.

1.1. Il motivo è inammissibile. Per due ragioni.

La prima è che pretende un diverso esame dei fatti, ed una diversa valutazione delle prove in ordine all’elemento qui controverso.

La seconda è che la decisione impugnata ha altresì una ratio decidendi, sul punto, che non è invece contestata, e che da sola può sorreggere la decisione, ossia che il proprietario aveva locato in vista di un determinato uso (pizzeria ed altri alimenti da asporto) ed invece il conduttore, violando l’autorizzazione ricevuta, ne ha svolta un’altra e più rumorosa (p. 10 della sentenza).

Dunque, al di là della idoneità della struttura, l’incolpevolezza del locatore è desunta da tale dato, qui non smentito.

2. Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c.

Secondo i ricorrenti il locatore, in quanto custode della cosa locata, ha la responsabilità delle immissioni causate dal conduttore, che si concretizza, in questo caso, nel fatto di non avere modificato le strutture, onde impedire le immissioni, e di non avere assunto iniziative verso il conduttore onde impedirgli di produrre immissioni.

2.1. Il motivo è infondato. Sta e cade con il precedente.

Va premesso che è principio di diritto, correttamente richiamato dalla sentenza impugnata che “in materia di immissioni intollerabili, allorché le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 c.c., per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi” (Cass. civ. 11125/2015)”. Dunque, il locatore deve concorrere e non basta che ometta di diffidare il conduttore, e questo suo concorso può anche consistere nel fatto di locare ben sapendo che il conduttore produrrà immissioni (Cass. 4908/2018).

Ma ciò presuppone, per l’appunto, la prova che il locatore poteva prevedere, usando l’ordinaria diligenza, che il conduttore avrebbe prodotto immissioni nocive: prova che però, come si è detto, in precedenza, è del tutto mancata, secondo l’apprezzamento incensurabile dei giudici di merito.

Né conta il rapporto di custodia, che rispetto alle immissioni non rileva: il custode risponde dei danni causati dalla cosa, che si ripartisce tra locatore e conduttore a seconda delle parti – strutture o accessori- da cui deriva il danno, ossia a seconda delle parti dell’immobile che si hanno rispettivamente in custodia (Cass. 21788/2015; Cass. 10983/2023).

Ma non si può ipotizzare una custodia dell’attività illecita altrui (le immissioni fatte dal conduttore): rispetto a quest’ultima si può solo predicare un concorso da parte del locatore, nei termini in cui lo configura la giurisprudenza di questa Corte, prima citata.

 

3. Il terzo motivo prospetta anche esso violazione degli articoli 2051 e 2043 c.c.

È riferito questa volta alla condotta del condominio.

Secondo i ricorrenti, i giudici di appello non hanno sufficientemente tenuto in conto la circostanza che il ristoratore, conduttore di un immobile posto nel condominio, aveva violato i regolamenti condominiali (oltre alle altre regole) e che tale violazione era presupposto delle immissioni o, meglio, le consentiva.

Il condominio doveva ritenersi responsabile di non avere dunque impedito che il conduttore producesse immissioni.

 

3.1. Il motivo è inammissibile.

A tacer d’altro, non coglie la ratio decidendi, che è un’altra.

Sostengono i giudici di merito che “curare l’osservanza del Regolamento di Condominio è compito precipuo affidato dall’art. 1130 c.c. all’amministratore, il quale pertanto è senz’altro abilitato ad agire e resistere nei pertinenti giudizi, senza che occorra apposita autorizzazione assembleare (Cass. civ. 21841/2010); è l’amministratore ad essere eventualmente “responsabile nei confronti dei condomini per i danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e, in genere, da qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari” (Cass. civ. 35315/2021), (p. 12 della sentenza) e che “dall’omesso adempimento dell’obbligo dell’amministratore di curare l’osservanza del regolamento di condominio ex articolo 1130 c.c., comma 1, n. 1, non ridonda, invero, alcuna automatica responsabilità ricadente nella sfera giuridica dell’intero condominio” (Cass. civ. 35315/2021)”. Questa ratio decidendi non è impugnata. I ricorrenti ribadiscono soltanto che il condominio in quanto tale avrebbe dovuto vigilare sull’osservanza del regolamento ed impedire che venisse violato producendo immissioni intollerabili.

Ma non discutono la ratio, che da sola giustifica il rigetto della domanda nei confronti del condominio, secondo cui non è quest’ultimo il soggetto tenuto ad intervenire, bensì l’amministratore.

 

4. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, nella misura di 2.000,00 euro, oltre 200,00 di esborsi, oltre spese generali al 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

 

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2025.

 

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2025.

Allegati

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